La blocco nel minerale

  • 19 Luglio 2006

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Carbonatazione minerale: una alternativa allo stoccaggio geologico della CO2. Una tecnica promettente, ma che ha ancora dei limiti sia di prezzo, sia di velocità di processo. di Marco Mazzotti e Renato Baciocchi

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La scala dell’impegno richiesto per una riduzione sostanziale dei quantitativi di CO2 immessi in atmosfera entro il 2050 rende necessario lo sviluppo di diverse tecniche di stoccaggio, in modo da avere a disposizione entro 10-15 anni una rosa di processi disponibili per l’implementazione in scala reale. La principale opzione per il sequestro della CO2 consiste nello stoccaggio geologico in-situ in acquiferi salini o giacimenti di olio o gas, durante o dopo il periodo di sfruttamento (www.ipcc.ch). La ricerca in questo settore è concentrata nel chiarire i meccanismi di fissaggio della CO2 nelle formazioni geologiche, con l’obiettivo di prevedere il destino della CO2 e di mettere a punto tecniche di monitoraggio affidabili.

Un approccio completamente diverso è alla base del processo di carbonatazione minerale, nel quale la CO2 catturata viene fatta reagire ex-situ con un minerale contenente ossidi di metalli alcalini, a formare i corrispondenti carbonati e silice. A tale scopo possono essere utilizzati silicati naturali, come olivina o serpentino, ovvero residui industriali alcalini, come loppe d’altoforno o ceneri da impianti di combustione ed incenerimento.
I prodotti della carbonatazione minerale sono solidi stabili, già presenti in natura, in grado di stoccare la CO2 in maniera sicura e definitiva per tempi di scala geologica. Va inoltre considerato che i giacimenti mondiali di minerali a base di magnesio e calcio sono cosi’ abbondanti da garantire il sequestro delle emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di tutte le riserve di combustibili fossili note.

Il principale limite ad una immediata applicazione in scala industriale della carbonatazione minerale è costituito dalla ridotta velocita’ del processo, che richiede l’attivazione del minerale o l’aggiunta di addittivi che debbono essere recuperati e riciclati. Il miglior processo sperimentato ad oggi, prevede l’utilizzo di 1.8 tonnellate di olivina per tonnellata di CO2 sequestrata, con un costo tra 40 e 80 Euro per tonnellata di CO2 sequestrata.

Le attivita’ di sviluppo in corso presso i nostri gruppi di ricerca riguardano da un lato l’ottimizzazione dei processi di dissoluzione dei silicati e di precipitazione dei carbonati, con l’obiettivo di individuare condizioni operative meno onerose (Hänchen et al., www.ghgt-8.no); in secondo luogo, è stata valutata la fattibilita’ di processi di carbonatazione basati sull’utilizzo di ceneri volanti provenienti da impianti di incenerimento (Baciocchi et al., www.ghgt-8.no) ed è attualmente allo studio l’utilizzo di altre tipologie di residui alcalini. La carbonatazione di residui alcalini, che avviene in condizioni operative piu’ blande rispetto a quella dei minerali naturali, potrebbe configurarsi come un mezzo per l’introduzione e dimostrazione della tecnologia.

Marco Mazzotti, ETH Zurich ([email protected])
Renato Baciocchi, Universita’ di Roma “Tor Vergata” (baciocchi@ing,uniroma2.it)

19 luglio 2006

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