Il clima è di casa

  • 11 Maggio 2006

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Risanamento energetico delle pre-esistenze architettoniche. L'esperienza di Bolzano

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La mia esperienza di amministratore è iniziata nel giugno del 2000 (si è conclusa nel maggio 2005). Meno di sei anni, eppure le cose nel settore edile ed energetico sono cambiate in maniera sostanziale.

Nel 2000, in Italia, a conoscere le case ad alta efficienza energetica e il loro straordinario potenziale ambientale ed economico erano in pochissimi. L’accademia italiana ha storicamente prediletto la ricerca formale, e i legislatori, forse di conseguenza, al di là della legge 10/91 (peraltro assi poco rispettata) non sono andati. Neppure con la recente 192 che, se possibile, peggiora il quadro complessivo.
Fatto non marginale, ancora nel 1998 il prezzo del barile di petrolio era di 10$ (oramai siamo prossimi agli 80 e pare lanciato in una prospettiva di medio termine a 100) e l’approvvigionamento del gas non aveva ancora mostrato i limiti della sua rigidità (per l’Italia 4 tubi e 4 fornitori, Russia, Libia, Algeria e Nord Europa). In poche parole; perché mai bisognava costruire diversamente da quanto si era fatto fino a quel momento?

Nel 2000 i problemi in Italia erano quindi: 
–  dimostrare che si poteva tecnicamente costruire case a basso consumo 
–  dimostrare che i costi di costruzione/gestione erano competitivi 
–  spiegare i motivi, soprattutto ambientali (poiché il costo dell’energia e la sua disponibilità non rappresentavano un problema sostanziale) della necessità di una conversione dell’attività edilizia a favore dell’efficienza 
– spiegare agli operatori del mercato edilizio (professionisti, imprenditori, ente pubblico) come dovevano cambiare i processi di progettazione e di costruzione 
–  trovare uno strumento normativo e un criterio di misurazione dell’efficienza energetica di un edificio facilmente fruibile anche dai progettisti meno evoluti 
– creare uno strumento capace di dare indicazioni vincolanti ma di tipo “prestazionale” e non prescrittivo, per non limitare la libertà progettuale 
–  occuparsi essenzialmente di energia termica

Il Comune di Bolzano ha cercato di rispondere con iniziative concrete a queste problemi introducendo fin dal 2001 la certificazione energetica CasaClima. E’invece dell’autunno del 2004 l’estensione all’ambito provinciale della stessa normativa.
Nel 2005 si può dire che almeno nel mercato locale la pratica edilizia secondo i criteri CasaClima sia un fatto consolidato. Si aprono quindi nuovi fronti in quegli ambiti in cui uno strumento vincente come CasaClima non riesce a dare da solo risposte risolutive.

Sia chiaro; CasaClima rappresenta uno straordinario strumento di maturazione e responsabilizzazione degli operatori nel settore edilizio, nonché, ed è la cosa più importante, di effettiva efficacia tecnica. Ma come è ovvio la sua azione iniziale si è rivolta alle architetture di nuova edificazione. Se si vuole però incidere veramente sui consumi energetici bisogna pensare di ridurre innanzi tutto i consumi termici delle preesistenze, specialmente quelle precedenti all’entrata in vigore della legge 10/91. Cioè il vero vulnus del sistema energetico nazionale, se è vero che più o meno il 95% del patrimonio edilizio italiano ha consumi compresi tra i 250 e i 300 kwh/mq/anno.

Rispetto al 2000 il problema non è più tecnico (come fare?) ma economico (come finanziare gli interventi?) e normativo (quale strumento utilizzare?). Quest’ultimo è fondamentale, poiché deve essere capace di scardinare gli impedimenti naturali al risanamento che caratterizzano la gran parte delle pre-esistenze; la proprietà frammentata e la disomogeneità economico/sociale della stessa.

Una traccia di possibile soluzione del problema la possiamo trovare nell’azione politica locale della municipalità di Monaco di Baviera, che ha redatto un piano di dimezzamento dei consumi di energia (e quindi di impatto ambientale) da realizzarsi tra il 2005 e il 2030, attraverso un piano d’azione con tappe definite.
Esso prevede marginali interventi su traffico e consumi industriali (Monaco è già dotata di una rete di trasporto pubblico efficiente e le leggi sulle attività industriali sono più restrittive delle nostre). L’obiettivo si raggiunge appunto, soprattutto attraverso il risanamento energetico delle preesistenze, per le quali si prevede di dimezzarne i consumi. Lo strumento su cui fa affidamento l’amministrazione è il contacting, che in Italia vede i suoi primi vagiti attraverso l’azione delle cosiddette Esco, ovvero società private che si offrono di risanare gli edifici a loro totale o parziale spesa in cambio dei vantaggi economici per tot anni derivati dalla conquistata efficienza energetica dell’edificio.

Se si vuole che in Italia il contracting prenda piede ritengo indispensabile creare uno strumento normativo/fiscale del tutto nuovo che incentivi il processo, agendo a livello locale, cioè regionale o addirittura comunale, escludendo interventi di tipo esentivo su ICI (unica forma di autonomia fiscale dei comuni) o abbattimenti fiscali sugli interventi edili (che comunque non risolvono il problema della disomogeneità economico/sociale della proprietà).

Dalla mia personale esperienza di amministratore propongo i seguenti tre possibili provvedimenti normativi; 
–  La certificazione CasaClima obbligatoria per tutte le preesistenze (così come da spirito della direttiva europea e per fondamentale dato conoscitivo finalizzato alla pianificazione) 
–  5% di cubatura disponibile in più per tutte le preesistenze ante ’91 ( anche se in zone urbanisticamente sature) che prevedono il risanamento energetico. La ratio è quella di far mettere d’accordo i condomini di un edificio obsoleto sulla possibilità (se tecnicamente compatibile…) di costruire l’equivalente di (più o meno) un nuovo alloggio di proprietà comune. La sua vendita dovrebbe essere in grado di finanziare le spese di risanamento. Ovviamente a fronte del totale reinvestimento di quanto guadagnato e all’interno di elenchi definiti di interventi ammessi e di interventi obbligatori. Esempio di “intervento ammesso”: il cappotto termico (e la pittura della casa solo se accompagnata dalla sua installazione), la sostituzione di tutte le finestre, il rinnovo della centrale termica, il rifacimento del tetto se adeguatamente isolato, ecc.); esempio di “intervento obbligatorio”: l’installazione di pannelli solari e di pannelli fotovoltaici. In questo senso si potrebbe prevedere l’attivazione non tanto direttamente dei privati (pur non escludendolo), bensì di imprese edili, cooperative di artigiani, società con nuove specializzazioni, che in questo senso troverebbero le formule più convenienti di contracting da proporre ai singoli condomini. 
–  Creazione di un’agenzia di gestione dei fondi per il risanamento delle preesistenze. Per ovviare alla disparità che il provvedimento precedente potrebbe creare tra zone con gradi di pregio commerciale differente (le zone pregiate godrebbero di una rendita di posizione e di conseguenti risorse economiche disponibili anche nel caso di eventuali risanamenti energetici) e per impedire flussi di denaro in nero, si dovrebbe creare un soggetto(agenzia ad hoc, ufficio comunale, ecc.) in grado di redistribuire i proventi ottenuti dalla edificazione del 5% di cubatura che si verrebbe a mettere a disposizione. Lo schema che propongo è il seguente:
– chi costruisce il 5% ella cubatura e lo mette sul mercato potrà reimpiegare per i provvedimenti di risanamento energetico il 70-80-90% delle guadagno ottenuto. La fascia di reinvestimento disponibile dovrebbero decrescere con l’aumentare del livello di pregio commerciale della zona.
– La quota residua (30-20-10%) confluirebbe in un fondo di solidarietà che dovrà finanziare gli edifici il cui risanamento energetico non potrà godere dell’aumento di cubatura (per motivi statici, di tutela monumentale e paesaggistica, ecc.). L’unico criterio di priorità per l’ottenimento del contributo dovrebbe essere il basso livello di prestazione energetica degli edifici (non subentrano criteri sociali, redittuali, familiari, ecc.), per sottolineare gli obbiettivi del provvedimento, cioè ambientali e di risparmio energetico.

Utopia? Forse. Ma faccio 2 considerazioni. La prima; quali altri provvedimenti potrebbero essere davvero efficaci, dovendo essere questo in grado di creare un effetto di massa e non di nicchia? La seconda; non è stato forse anche il CasaClima un’utopia nella testa di un paio di visionari, prima di diventare una realtà e un esempio per tante amministrazioni italiane?

Stefano Fattor, architetto, già assessore della giunta comunale di Bolzano

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