Cernobyl vent’anni dopo

  • 26 Aprile 2006

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Il ventesimo anniversario del disastro di Cernobyl ci riporta alla necessità di indagare meglio le conseguenze ambientali e sanitarie di quel tragico evento nel lungo periodo. Con questo obiettivo Greenpeace ha raccolto, in questo rapporto, i contributi di una sessantina di scienziati e ricercatori di Ucraina, Bielorussia e Russia.

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Il maggiore disastro nucleare della storia si è registrato in una piccola città ucraina, sulle rive del fiume Pripyat. Ancora oggi milioni di persone continuano a vivere in un’area che rimarrà pesantemente contaminata dalle radiazioni per molti anni a venire. Le conseguenze radiologiche e sanitarie dell’incidente si sentiranno per secoli. L’impatto non ha riguardato solo Ucraina, Bielorussia e Russia: più della metà del Cesio 137 rilasciato in atmosfera ha raggiunto altri Paesi europei tra i quali l’Italia.

Gli impatti delle radiazioni sulla salute umana sono estremamente diversi, complessi e fortemente significativi. L’incertezza riguardo alla quantità totale di particelle radioattive liberate, l’irregolare distribuzione di radioattività, gli effetti dell’esposizione multipla a diversi radioisotopi, i limiti nel monitoraggio medico, nella diagnostica e nel trattamento delle malattie, rendono l’incidente del tutto unico e inapplicabili e inadeguati gli standard e i metodi conosciuti.

Una valutazione complessiva delle conseguenze sulla salute umana del disastro di Cernobyl è impossibile, pertanto la vera dimensione della mortalità e delle malattie non può essere completamente stimata.
Da questo rapporto si possono, tuttavia, trarre due importanti conclusioni.
Per prima cosa è fondamentale che una gran quantità di dati, inclusi quelli presentati in questo rapporto, vengano presi in considerazione dalla comunità internazionale, per comprendere la dimensione dell’impatto sulla popolazione. In particolare, le ragioni della grossa discrepanza tra le valutazioni più approfondite e quelle accettate dall’Aiea e dall’Oms potranno essere chiarite accuratamente.

In secondo luogo, in assenza di un monitoraggio internazionale sull’incidenza di tumori e altre malattie nelle zone contaminate (in particolare in Ucraina, in Bielorussia e nella Russia Federale), è stato tralasciato lo studio delle conseguenze a lungo termine di un tale disastro. Inoltre, si è persa l’opportunità di intervenire nei primi stadi con appropriati programmi di controllo medico e cure.

Leggi il rapporto di Greenpeace, in formato Pdf 1,8 Mb

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