Clima, la resa dei conti

  • 7 Aprile 2006

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La Cina verso il sorpasso degli USA nelle emissioni climalteranti. Le possibilità italiane di ridurre. Costi elevati per Kyoto

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di Gianni Silvestrini

A meno di due anni dall’inizio del conteggio delle emissioni previsto dal Protocollo di Kyoto è possibile fare alcune considerazioni sull’evoluzione della produzione di anidride carbonica nel mondo. Rispetto al 1990, data di riferimento del Protocollo, nel 2004 si è registrato un incremento della CO2 pari al 26%. Attenzione però che, estrapolando al 2010 il trend degli ultimi 5 anni, l’aumento delle emissioni mondiali salirebbe al 47%, molto più delle originali previsioni. Questo balzo è dovuto in parte agli Usa, ma soprattutto all’imprevisto boom cinese.

Le emissioni americane sono, infatti, aumentate del 19,4% rispetto al 1990, un incremento in tonnellate pari a due volte il contributo annuale dell’Italia. Passando alla Cina, la sua crescita economica ha comportato addirittura un raddoppio dell’anidride carbonica prodotta e prima del 2010 avrà sorpassato gli Usa divenendo il numero uno nel mondo. Per comprendere la rapidità dell’evoluzione in atto basti dire che l’incremento verificatosi nel solo 2004 (+14%) equivale al contributo totale italiano della CO2.
L’analisi delle dinamiche mondiali fa emergere realtà molto diversificate. A cominciare dall’incredibile e simmetrica inversione dei ruoli dei paesi socialisti ed ex socialisti. Infatti, mentre i paesi dell’Est sono crollati da 4,1 a 2,6 miliardi di tonnellate/anno (Gt/a), la Cina è balzata da 2,3 a 4,5 Gt/a.
Se escludessimo la ex Unione sovietica e gli alleati, il cui calo rappresenta un evento irripetibile, le emissioni mondiali di CO2 nel 2004 risulterebbero in crescita del 41% rispetto al 1990 e salirebbero addirittura del 62% nel 2010.

Le scelte dei prossimi 25 anni
L’umanità si appresta ad affrontare in affanno un secolo decisivo per la sua soppravivenza. L’impresa è quanto mai difficile. Si tratta di riuscire a garantire livelli dignitosi di vita a una popolazione che crescerà di un altro 50% a fronte di risorse che scarseggeranno e con limiti sempre più rigorosi alle emissioni di gas climalteranti.

I più recenti dati sull’accelerazione dei cambiamenti climatici fanno ritenere che, se non si interverrà rapidamente, la situazione sarà fuori controllo. Lo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia fa temere per esempio che, contrariamente a quanto finora ritenuto, l’innalzamento del livello degli oceani possa divenire la principale preoccupazione climatica.
Sulla base delle informazioni disponibili, i prossimi 25 anni saranno decisivi. In questa finestra temporale infatti la produzione di petrolio inizierà a declinare e bisognerà riuscire ad arrestare la crescita delle emissioni globali di gas serra.

Per statisti poco lungimiranti la tentazione di tirarsi fuori è forte, come ha fatto Bush non ratificando Kyoto. L’attuale posizione Usa appare però debole e alla lunga indifendibile. Clinton nel suo discorso alla Cop 11 di Montreal ha esposto una posizione totalmente opposta a quella dell’attuale amministrazione: non solo bisogna intervenire, ma è possibile ridurre le emissioni con effetti positivi per l’economia interna.
Sull’altro versante, i cinesi e gli altri Paesi in via di sviluppo pretendono giustamente che siano le nazioni industrializzate, principali responsabili dell’accumulo di carbonio in atmosfera, a iniziare a ridurre le emissioni. Ma è sempre più chiaro che se non verranno coinvolti rapidamente (entro il 2020) la situazione climatica sfuggirà al controllo, vista l’accelerazione dei cambiamenti in atto.

L’obiettivo deve essere quello di ridurre la crescita delle emissioni mondiali dal 30% di questo decennio al 20% nel periodo 2010-2020 e al 10% tra il 2020 e il 2030. In questo modo dopo il 2030 le emissioni potrebbero iniziare a calare.
Qualche segnale positivo si intravvede, ma complessivamente la risposta è del tutto inadeguata. Sul versante delle fonti rinnovabili si registra una forte crescita, pure se geograficamente disomogenea. Gli investimenti modiali nell’eolico e nel fotovoltaico in questo quinquennio saranno 10 volte superiori a quelli del periodo 1996-2000.

Ma su altri fronti la risposta è assolutamente insufficiente. La minicogenerazione deve fortemente espandersi, mentre preoccupa la prevista crescita del carbone: Cina, India e Usa hanno in progetto la realizzazione di 850 nuove centrali che comporterebbero una produzione di 2,7 Gt di CO2. L’aumento dell’efficienza energetica è modesto, mentre si dovrebbe tornare ai miglioramenti dell’intensità energetica registrati nei primi anni ’80 a seguito delle crisi petrolifere. Bisognerebbe infine aggredire il comparto dei trasporti, assolutamente fuori controllo dal punto di vista delle emissioni, con risposte sia tecnologiche che organizzative e fiscali.

Se i segnali allarmanti sul fronte del clima si accentueranno, si farà sentire la pressione dei sostenitori del nucleare e del sequestro dell’anidride carbonica. Il problema è che il nucleare oggi è anti economico e presenta rischi inaccettabili. Può darsi che una nuova generazione di reattori riuscirà ad avere prestazioni migliori, ma bisogna aspettare un paio di decenni per verificarlo. Rimangono comunque aperti i rischi legati allo smaltimento delle scorie e alla proliferazione del materiale fissile. Sul sequestro geologico dell’anidride carbonica gli esperimenti in atto ci diranno entro un decennio se si tratta di una soluzione economicamente e ambientalmente praticabile.
Intanto però il tempo passa e rischiamo che la finestra temporale che ci separa dal 2030 si chiuda senza che si sia riusciti nell’impresa di azzerare la crescita delle emissioni.

Le riduzioni in Italia: un terzo probabili, due terzi possibili
Se questo è il contesto globale, vediamo come si sta muovendo il nostro Paese e in particolare qual è la distanza che ci separa dal rispetto degli impegni di Kyoto. Questo tema è destinato infatti a divenire centrale per il prossimo Governo.
Le emissioni climalteranti nel 2004 (576 Mt) sono state del 13% più alte rispetto al 1990. Si tratta di un eccesso di 64 Mt/a cui si devono aggiungere 33 Mt/a necessarie per raggiungere l’obiettivo (-6,5%) assegnato all’Italia. Insomma, circa 100 milioni di tonnellate CO2 equivalenti ci separano dal nostro target. Se poi, com’è previsto nello scenario tendenziale, le emissioni nei prossimi anni continuassero a salire, il pacchetto di riduzione potrebbe aumentare a 120 Mt/a. In totale nei 5 anni previsti dal Protocollo di Kyoto (2008-12) dovremmo gestire un eccesso di 600 Mt.
Quanto ci potrebbe costare questo ritardo? Considerando ottimisticamente un valore di mercato pari a 15 e/tCO2, sarebbero necessari 9 miliardi di e per soddisfare gli obblighi. Questa è la cifra che dovremmo spendere se fossimo obbligati ad approvvigionarci all’estero per coprire tutto il nostro debito, considerando una quotazione intermedia tra il valore della borsa europea delle emissioni (attualmente pari a 26 e/tCO2) e il costo dei crediti dei progetti CDM realizzati nei Paesi in via di sviluppo (5-10 e/tCO2).
Naturalmente non sarà così, perchè una parte di questo gap sarà colmato con interventi effettuati in Italia. Realisticamente, considerando i programmi già avviati, si può pensare che il contributo nazionale potrà arrivare a coprire da uno a due terzi del nostro deficit. Una prima quota (cioè 200 dei 600 Mt di gas climalteranti da tagliare tra il 2008 e il 2012) si potrebbe ottenere con gli interventi già avviati, riforestazione inclusa. Un’ulteriore quota di 200 Mt, potrebbe invece derivare da nuovi ambiziosi programmi di intervento. Quindi, a seconda dell’incisività delle politiche che verranno attivate dal prossimo Governo, si dovrà ricorrere ai crediti internazionali di carbonio per una cifra compresa tra 3 e 6 miliardi.

Insomma, tra i due estremi (nessun nuovo intervento, politica coraggiosa) ci sono in ballo 3 miliardi di e. Questa cifra, anziché essere spesa all’estero per l’acquisto di crediti, potrebbe essere più utilmente investita nel nostro Paese per eliminare 200 Mt di gas climalteranti. Detta in altro modo, la sfida del clima offre agli interventi di riduzione delle emissioni una marcia in più per tutti gli anni in cui si esplica la loro azione pari ad almeno 15 e/tCO2, o 50 e/tep risparmiato.
Dove potrà intervenire il prossimo Governo con nuove azioni? A grandi linee si possono ipotizzare ulteriori riduzioni di anidride carbonica nel quinquennio di Kyoto per 50 Mt nell’efficienza energetica, 50 Mt nella generazione di energia elettrica, 50 Mt con le fonti rinnovabili, 30 Mt nel settore dei trasporti e 20 Mt nella forestazione e negli altri gas climalteranti.
Vediamo più in dettaglio. Ci sono soluzioni che sono già economicamente interessanti di per sé e che grazie alla leva del carbonio aumenteranno il loro appeal. È questo il caso di molti interventi che innalzano l’efficienza degli usi finali, in cui il valore dell’energia risparmiata compensa le maggiori spese necessarie.

Dando quindi la priorità proprio all’efficienza energetica, si dovrebbero innanzitutto estendere al 2012 gli obblighi di risparmio per i distributori di energia elettrica e gas attualmente in vigore fino al 2009, garantendo in tal modo un vantaggio economico per il Paese e la contemporanea riduzione aggiuntiva di 30 Mt delle emissioni climalteranti.
Sempre sul versante del risparmio, andranno inoltre favoriti gli interventi non attivabili con i decreti sull’efficienza. Pensiamo a normative più rigorose sulle dispersioni degli edifici e sull’impiantistica, a una seria certificazione energetica, alla defiscalizzazione del 50% delle spese per il risparmio energetico nelle ristrutturazioni. Un profondo processo di riqualificazione energetica del nostro parco edilizio può garantire riduzioni aggiuntive cumulative dell’ordine dei 20 Mt.

Un ulteriore taglio di 50 Mt nel quinquennio di Kyoto può derivare da un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili. In primo luogo aumentando la produzione di elettricità verde in modo da avvicinarsi agli obiettivi indicati dall’Unione Europea. Un notevole balzo in avanti si può realizzare negli usi termici delle tecnologie solari che vedono l’Italia ingloriosamente agli ultimi posti. Infine può espandersi, secondo le indicazioni della UE, il settore dei biocombustibili su cui converge un forte interesse del comparto agricolo alla ricerca di nuovi sbocchi dopo la riduzione dei sussidi alle coltivazioni alimentari.

Nel settore termoelettrico molto dipenderà dalla rapidità della rottamazione delle vecchie centrali e dal ruolo che avranno il carbone e la cogenerazione. Il carbone, che alcuni operatori vorrebbero rilanciare su larga scala, implica 400 g CO2/kWh in più rispetto a un ciclo combinato. Per una centrale da 1.000 MW, ciò comporta un aumento di 2,8 Mt di anidride carbonica all’anno, di 14 Mt nel periodo di Kyoto e di 100 Mt nella vita dell’impianto. Sempre restando nel campo della produzione elettrica, si potrebbe spingere per un maggior uso della generazione distribuita, in particolare della minicogenerazione. Cumulativamente, un minor ricorso al carbone a favore dei cicli combinati e una crescita della co-trigenerazione, potrebbe consentire di ridurre almeno 50 Mt di anidride carbonica.

Il settore dei trasporti, quello in maggiore controtedenza rispetto a Kyoto con un incremento delle emissioni del 25% rispetto al 1990, rappresenta un’area di intervento dove una decisa volontà politica potrà portare a significativi risultati. Basti pensare alle strategie urbane sulla mobilità sostenibile, con il rilancio del trasporto pubblico ma anche con l’introduzione di soluzioni innovative come il road pricing o l’aumento del costo della benzina recuperabile con detrazioni dalle tasse. O ancora promuovendo nuovi accordi volontari con le case automobilistiche per veicoli più efficienti. Le riduzioni aggiuntive ottenibili nel settore dei trasporti possono superare i 30 Mt.

Considerando la somma di tutte le azioni aggiuntive, si ottengono 200 Mt di gas climalteranti in meno, in grado di limitare il ricorso all’acquisizione all’estero di crediti di carbonio solo per un terzo della riduzione necessaria. Tra l’altro un ridimensionamento dell’impiego dei meccanismi flessibili rende anche più credibile il ricorso agli interventi in paesi in via di sviluppo o in via di transizione (CDM e JI), che finora hanno stentato a svilupparsi. Si riduce in tal modo il rischio che, con l’acqua alla gola, alla fine l’Italia sia costretta ad acquistare dalla Russia o dall’Ucraina “finti” crediti di carbonio provenienti non da riduzioni legate a precisi interventi, ma dal crollo delle emissioni registratosi in quei paesi dopo il 1990.

Pubblicato sulla rivista scientifica QualEnergia  1/2006 (gennaio – febbraio)

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