Il Biogas che fa bene al Paese

  • 13 Dicembre 2012

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1. INTRODUZIONE (Piero Gattoni – Presidente CIB)

Ci troviamo in un periodo in cui la situazione economica internazionale e, a cascata quella europea e nazionale, sta enfatizzando interrogativi importanti: questi, solo per citarne alcuni, vanno dall’etica del lavoro e dell’impresa alle regole della finanza internazionale; dalla sostenibilità delle produzioni all’inquinamento ambientale. Quindi, in una stagione in cui è necessario ripensare i modelli di sviluppo e i rapporti etici, in cui a livello nazionale è importante effettuare uno sforzo comune per creare lavoro e al contempo dare un’impronta di sviluppo lungimirante, riteniamo che la digestione anaerobica rappresenti una grande occasione per la crescita di un modello decentrato di produzione energetica che attraverso la sua integrazione con altre rinnovabili e alla crescita dell’efficienza energetica nei consumi può contribuire ad un modello sostenibile e meno dipendente dalle fonti fossili della nostra economia.

In questo Speciale cercheremo di mettere in evidenza gli aspetti principali del settore biogas, analizzando la filiera nel suo complesso, per offrire un quadro di semplice comprensione attraverso il quale apprendere gli aspetti tecnici, le potenzialità e gli sviluppi di un settore virtuoso, quello del biogas e biometano, che rappresenta una grande opportunità di sviluppo economico, sociale e ambientale per il Paese.

Il biogas è una miscela di gas prodotta dalla fermentazione anaerobica di materie prime organiche. La produzione di biogas avviene spontaneamente in natura nell’apparato digerente degli animali e ogni qual volta si abbia una trasformazione di materiale organico in assenza di ossigeno. Un processo spontaneo e naturale che sta quindi alla base dello sviluppo di una filiera che si è affermata come opportunità per produrre energia rinnovabile, in modo sostenibile e a totale integrazione territoriale, migliorando l’impatto sull’ambiente degli effluenti di allevamento, trasformandoli in fertilizzanti rinnovabili, nobilitando al ruolo di “risorsa” i sottoprodotti dell’attività zootecnica e agroindustriale e stimolando l’innovazione agronomica finalizzata alla coltivazione di prodotti di integrazione a fini energetici.

Per questo riteniamo che il motivo principale che ha permesso un forte sviluppo della digestione anaerobica in Italia sia legato alla capacità di questa tecnologia di integrarsi nel tessuto agricolo esistente. Il biogas è, infatti, una filiera “riciclona” ed efficiente nell’uso del suolo agricolo, in grado di utilizzare non solo biomasse vegetali ma anche effluenti zootecnici, sottoprodotti agricoli e agroindustriali per l’alimentazione degli impianti.

Per capire meglio il rapporto tra costi e benefici del settore è necessario effettuare alcuni approfondimenti. Nel 2011, il settore del biogas agricolo, per una potenza installata di quasi 250 MW, è costato ai consumatori quasi 400 milioni di euro assestandosi ad un onere medio per famiglia di circa 3 euro all’anno; in pratica il settore del biogas ha impegnato solo il 5% del totale delle risorse che il consumatore italiano ha reso disponibile per lo sviluppo dell’elettricità rinnovabile. In cambio l’elettricità da biogas ha prodotto quasi 2 TWh di energia sufficienti a coprire il fabbisogno di più di 700.000 famiglie,vale a dire l’equivalente di più di 1.500 MW di produzione fotovoltaica.

Nel contempo, è necessario considerare che l’elettricità prodotta da biogas evita l’acquisto di risorse energetiche dall’estero ed è “CO2-free”, la sua produzione non è quindi gravata dall’onere di acquisto di quote di CO2 in quello che sarà il nuovo scenario del mercato dei permessi di emissione dal 2013 in poi.

Si deve poi considerare che la produzione da biogas è una produzione di filiera a forte componente nazionale: come anche evidenziato dal recente rapporto IREX Annual Report che ha registrato come negli impianti di biogas si utilizzino prevalentemente biomasse (effluenti zootecnici, sottoprodotti e colture dedicate) prodotte dalle aziende agricole italiane e che vede anche una forte presenza dell’industria italiana nelle tecnologie. Ciò si traduce in una doppia opportunità di sviluppo economico: per le imprese agricole, per le imprese industriali e le relative maestranze. Questa forte ricaduta in termini di “lavoro italiano” è uno dei punti più importanti a sostegno dell’impegno del consumatore italiano nel sostenere questa filiera.

Per quanto concerne l’integrazione della produzione in rete, tema all’ordine del giorno, è da ricordare innanzi tutto che la produzione di elettricità da biogas è pressoché costante e quindi molto ben prevedibile. Inoltre, il biogas è l’unica fonte rinnovabile in grado di produrre energia elettrica, termica e biocarburanti. La produzione di biogas che può essere immagazzinata potrebbe anche giocare un ruolo attivo nel mantenimento della sicurezza di rete.

Come CIB riteniamo importante che il settore del biogas si sviluppi in modo equilibrato e duraturo, per consentire una crescente integrazione della digestione anaerobica nelle aziende agricole e una corretta pianificazione degli investimenti industriali necessari per raggiungere sempre maggiori livelli di efficienza e sostenibilità.

Lo Speciale si articola in 5 capitoli preparati da esperti del settore a cui va il nostro ringraziamento; mi preme richiamare, in questa introduzione, l’ultimo capitolo dove viene riportata la posizione tecnica del CIB su come deve essere fatto il biogas/biometano e che abbiamo intitolato il “Manifesto del Biogas fatto bene”; in esso, infatti, sono contenuti i nostri principi, le linee guida che vogliamo seguire per fare in modo che biogas e biometano facciano veramente bene al nostro Paese.

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Com’è fatto un impianto biogas:

Un impianto di biogas è una complessa installazione di una varietà di elementi la cui struttura dipende in larga misura dalla quantità e qualità delle materie prime trattate. Poiché esistono diverse tipologie di substrati che possono essere digeriti negli impianti di biogas, ci sono, di conseguenza, varie tecnologie, diversi tipi di costruzioni e sistemi di funzionamento per trattare le diverse materie prime. Inoltre, a seconda del tipo, delle dimensioni e delle condizioni operative di ciascun impianto, esistono diverse tecnologie connesse per il trattamento, lo stoccaggio e l’utilizzo del biogas. Gli stessi aspetti riguardano lo stoccaggio e l’utilizzo del digestato.

Negli impianti di biogas il processo produttivo prevede:

  1. trasporto, stoccaggio ed eventuale pre-trattamento delle materie prime;
  2. produzione di biogas (digestione anaerobica);
  3. stoccaggio del digestato, eventuale trattamento e utilizzo agronomico;
  4. stoccaggio del biogas, trattamento e utilizzo.

L’unità principale di un impianto di biogas è la vasca di digestione detta digestore, che è sempre connessa ad una serie di altri componenti. La Figura 1 mostra una rappresentazione semplificata di un tipico impianto agricolo di biogas con co-digestione, sintetizzabile come segue:

  1. nella prima fase del processo (stoccaggio, pre-trattamento, trasporto e alimentazione dei substrati) le unità coinvolte sono: la vasca di stoccaggio dei liquami, ricezione/raccolta di eventuali co-prodotti pompabili, sistema di igienizzazione, se necessario , trincee di stoccaggio e sistema di alimentazione dei substrati solidi ;
  2. la seconda fase del processo è relativa alla produzione di biogas nel digestore ;
  3. la terza fase del processo è rappresentata dalla vasca di stoccaggio del digestato e il suo utilizzo agronomico come fertilizzante in campo ;
  4. la quarta fase del processo (stoccaggio, produzione di biogas, trattamento e utilizzo del biogas) comprende il gasometro, l’unità di cogenerazione e/o l’unità di upgrading del biogas a biometano.

Queste quattro fasi sono strettamente legate tra loro (ad es. nella fase 4 viene prodotto il calore necessario per il riscaldamento del digestore, fase 2). Vedi figura 2 (clicca per ingrandire l’immagine).

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2. DIFFUSIONE E PROSPETTIVE DEL BIOGAS IN ITALIA (Sergio Piccinini – CRPA e Coordinatore Comitato Scientifico CIB)

Quello a cavallo fra il 2010 e il 2011 è stato un anno di grande sviluppo del settore biogas agro-zootecnico, che ha visto passare il numero di impianti a 521 dai precedenti 273 (CRPA, 2010), con una potenza elettrica installata che è passata a 350 MWe dai precedenti 140 (Tabella 1 – Impianti di biogas agro-zootecnici rilevati nelle indagini effettuate dal CRPA negli anni 2007, 2010 e 2011).

A maggio 2011, il 75% degli impianti (391) era già operativo, mentre il restante 25% (130) risultava in costruzione o prossimo ad entrare in operatività.

I grafici di Figura 3 (Andamento del numero di impianti di biogas del settore agro-zootecnico nell’ultimo decennio) e Figura 4 (Andamento della potenza elettrica installata di impianti di biogas del settore agro-zootecnico nell’ultimo decennio) illustrano in modo esaustivo lo sviluppo esponenziale che il settore ha avuto negli ultimi anni: a titolo indicativo si fa notare che dal 2007 al maggio 2011 la potenza elettrica installata è aumentata da circa 32 a 350 MWe, con un incremento di 11 volte.

Il notevole sviluppo del settore, unito alla sempre maggiore professionalità delle ditte costruttrici e dei gestori degli impianti stessi, oltre che all’introduzione di impianti alimentati prevalentemente in co-digestione, sta modificando profondamente il settore del biogas, traghettandolo sempre più da una applicazione tipicamente di recupero a una industriale di produzione vera e propria, programmabile e sicura.

Il 57,9% degli impianti utilizza la classica co-digestione fra effluenti zootecnici, sottoprodotti agro industriali e colture dedicate, il 29% utilizza solo effluenti e il 13,1% colture energetiche e/o sottoprodotti agroindustriali. Rispetto all’indagine del 2010 la ripartizione vede incrementare il numero percentuale di impianti che utilizza sole colture e la co-digestione. Per quanto concerne, invece, la potenza elettrica installata l’indagine ha messo in evidenza che il 70,4% è prodotta con co-digestione di diverse matrici, il 22,3% con sole colture dedicate e il 7,3% con soli effluenti.

Le differenze fra le due tipologie sono dovute soprattutto al fatto che gli impianti solo ad effluenti hanno taglie inferiori a quelle degli impianti alimentati a colture energetiche. Considerando il sottoinsieme degli impianti con dati noti si desume che gli impianti a soli effluenti zootecnici hanno mediamente una potenza elettrica installata di circa 150 kWe, gli impianti in co-digestione una potenza elettrica installata di 720 kWe e gli impianti a sole colture di 1.010 kWe.

Dal maggio 2011 ad oggi il trend di crescita del settore è ulteriormente aumentato e, per la fine del 2012, si possono stimare oltre 800 impianti di biogas agro-zootecnici operativi e/o in costruzione, per circa 650 MW di potenza elettrica installata.

L’uscita del Decreto ministeriale 6 luglio 2012, in attuazione dell’articolo 24 del Decreto legislativo 3 marzo 2011 n. 28, ha ridefinito il quadro degli incentivi per gli impianti di biogas che saranno messi in esercizio a partire dal 2013.

Tabella 2 – Numero di impianti agro-zootecnici per potenza elettrica installata 

Le più importanti novità sono rappresentate dall’individuazione di tariffe omnicomprensive decrescenti al crescere della taglia dell’impianto, ma anche all’istituzione di un Registro nazionale a cui iscriversi per acquisire il diritto di accesso agli incentivi. Tale Registro consentirà la costruzione di impianti di biogas fino al raggiungimento di un quantitativo contingentato (art. 9 comma 4), che per il triennio 2013-2015 è stato fissato rispettivamente in 170-160-160 MWe. Il decreto fissa anche le priorità di accesso al diritto di costruire l’impianto di biogas: al primo posto sono stati individuati gli impianti di aziende agricole alimentati da biomasse e sottoprodotti fino a 600 kW di potenza elettrica. Il decreto, peraltro, definisce anche che gli impianti fino a 100 kW di potenza elettrica possono essere realizzati senza iscrizione al Registro.

Le indicazioni che emergono dal decreto, in sostanza, mettono in luce una chiara intenzione da parte del legislatore di incentivare soprattutto impianti di piccola taglia alimentati da sottoprodotti di recupero.

Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili, predisposto dal Governo a giugno 2010 e approvato dalla Commissione Europea, contiene le indicazioni per raggiungere gli obbiettivi presenti nella Direttiva 2009/28/CE e nella decisione della Commissione del 30 giugno 2009. In sostanza si tratta di un programma di attività mirate a consentire uno sviluppo delle risorse rinnovabili per soddisfare gli obiettivi che l’Italia, al pari di tutte le altre nazioni europee, si è data per il 2020. Tali obiettivi prevedono di coprire almeno il 17% delle risorse energetiche nel loro complesso (elettriche, termiche e combustibili per autotrazione) con fonti rinnovabili e di immettere nel sistema dei trasporti almeno il 10% di combustibili da fonte rinnovabile (biocombustibili).

Il biogas/biometano in questo quadro è una delle voci che permetteranno di conseguire il risultato finale. A differenza però di altre filiere energetiche, la filiera del biogas ha alcune peculiarità che la rendono particolarmente interessante per il mondo agricolo:

  • è una filiera molto elastica che permette di sfruttare energeticamente una serie molto vasta di prodotti e sottoprodotti che altre filiere non riescono a sfruttare (effluenti zootecnici, sottoprodotti agro-industriali umidi e variabili nel tempo, sottoprodotti animali, ecc.), riducendo la competizione per l’approvvigionamento;
  • è una filiera tipicamente corta: “nasce” corta perché utilizza prodotti che non possono fare molta strada in quanto molto umidi, “muore” corta perché deve gestire un residuo (digestato) umido che per ragioni economiche deve trovare collocazione nelle immediate vicinanze dell’impianto (10-20 km);
  • è una filiera agricola perché la dimensione impiantistica parte da 20 kW e arrivava fino a 2-3 MW, consentendo a tantissime aziende di attrezzarsi con una valida alternativa/integrazione al reddito agricolo;
  • è una filiera ambientalmente molto promettente perché, oltre a ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti, recuperando parte delle emissioni spontanee di metano dagli stoccaggi, consente di produrre energia elettrica e termica risparmiando fonti fossili (tecnologia definita dagli anglosassoni “Win-Win”, ovvero doppiamente vincente);
  • in certe condizioni permette di sfruttare appieno anche l’energia termica di cogenerazione (riscaldamento domestico, essiccazione foraggi, ricoveri zootecnici, serre, utenze residenziali);
  • può portare alla produzione di “biometano”, ovvero biogas raffinato dall’anidride carbonica e altre impurità gassose, per essere immesso in rete e utilizzato in impianti ad alta efficienza energetica ovvero utilizzato come biocombustibile da autotrazione, con tutti i benefici ambientali correlati. Per la prima volta in Italia il PAN ha enunciato la possibilità di produrre biometano e nel marzo 2011 è stato approvato il decreto legislativo n. 28 per l’applicazione di questa possibilità, oltre che di tutte le novità per l’incentivazione futura delle risorse rinnovabili; si è in attesa del decreto che fissi la relativa tariffa incentivante per il biometano.

In definitiva, la filiera del biogas/biometano rappresenta una opportunità per il mondo agricolo che può divenire un protagonista di primo piano nel raggiungimento degli obiettivi strategici energetici nazionali, intercettando al tempo stesso tutto il “valore aggiunto” della filiera produttiva, eliminando qualunque intermediario e consentendo di valorizzare tutte quelle superfici agricole attualmente sotto utilizzate e/o i sottoprodotti agroindustriali che attualmente vengono gestiti con elevati costi economici ed energetici.

Il potenziale di sviluppo della filiera nel breve termine è consistente: stime recenti (elaborazioni CRPA e CIB), considerati i quantitativi disponibili di biomasse di scarto e di origine zootecnica utilizzabili in co-digestione con biomasse vegetali provenienti da coprodotti e sottoprodotti agricoli e da circa 400.000 ha di colture dedicate, evidenziano un potenziale produttivo pari a circa 8 miliardi di gas metano equivalenti, circa il 10% del consumo attuale di gas naturale in Italia, un quantitativo pari alla attuale produzione nazionale di gas naturale, un potenziale quindi di circa 4 volte quello proposto dal PAN per il biogas al 2020 (pari a circa 2 miliardi di gas metano equivalenti anno).

Il biogas/biometano rappresenta una notevole opportunità per l’Italia in ragione della plurifunzionalità della filiera. Volendo ricordare, per brevità, solamente gli effetti sull’economia, possiamo evidenziare che la realizzazione del potenziale prima ricordato potrebbe comportare un incremento importante del PIL dell’agricoltura italiana; inoltre il risparmio sulla bolletta energetica per l’import di gas naturale potrebbe ammontare a circa 1,5-2 miliardi di euro all’anno a prezzi correnti. Importanti sono inoltre le ricadute socio economiche in settori quali l’industria della macchine agricole , degli impianti di trattamento delle acque reflue e dei rifiuti organici, dei sistemi di trattamento e trasporto del gas, dei motori a gas per autoveicoli ecc., per i quali lo sviluppo della filiera italiana del biogas-biometano potrebbe rapidamente permettere di creare le condizioni per competere con la concorrenza estera.

I principali elementi di criticità che devono essere considerati per favorire un efficiente e rapido sviluppo di una filiera italiana del biogas-biometano riguardano :

  • la mancanza di una legislazione tecnica e incentivante sul biometano;
  • la carenza/mancanza di tecnologia italiana nell’upgrading del biogas a biometano;
  • la necessità di favorire l’utilizzo di biomasse locali con il massimo risultato in termini di incremento del contenuto in carbonio nei suoli e in generale di riduzione delle emissioni di gas serra lungo l’intera filiera produttiva;
  • la necessità di far sì che lo sviluppo di impianti bioenergetici sia elemento di integrazione e non di competizione con le filiere agricole e agroindustriali tradizionali;
  • la necessità di inserire/considerare gli impianti di biogas/biometano nel concetto di bioraffineria e il prodotto biogas/biometano come uno dei prodotti della greenchemistry/greeneconomy.

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3. L’IMPIANTO DI BIOGAS E LE MATERIE UTILIZZATE: L’IMPORTANZA DI EFFLUENTI ZOOTECNICI, SOTTOPRODOTTI E COLTURE DI INTEGRAZIONE (Sergio Piccinini – CRPA – Coordinatore Comitato Scientifico CIB)

La filiera biogas-biometano è una filiera bioenergetica tecnologicamente matura che permette di sfruttare con elevata efficienza indistintamente biomasse vegetali e/o animali, di scarto e/o dedicate, umide e/o secche.

Nel comparto agricolo le matrici organiche prevalentemente utilizzate per la produzione di biogas sono: effluenti zootecnici, sottoprodotti vegetali, sottoprodotti di origine animale, colture dedicate.

A. Effluenti Zootecnici, sono caratterizzati da:

  • contenuto di umidità elevato;
  • produzione regolare nel tempo e in quantità abbondante;
  • elevata idoneità alla digestione anaerobica, anche se legata alla specie considerata, oltre che alla soluzione stabulativa adottata, all’età degli animali, ecc. Per ottimizzare le rese occorre avviare a digestione anaerobica deiezioni “fresche”, evitando stoccaggi intermedi;
  • substrato “completo” con buona dotazione di sostanza organica e buon potere tampone;
  • rese in biogas non elevate, ma regolarinel tempo. Non a caso spesso agli effluenti liquidi vengono aggiunte altre matrici organiche ad elevata densità energetica, quali le colture dedicate (ad esempio mais, sorgo, cereali autunno vernini, ecc) e/o sottoprodotti dell’industria agroalimentare.

B. Sottoprodotti Vegetali, generatidurante la trasformazione dei prodotti agricoli e durante la preparazione dei vegetali per il consumo fresco (ad es. buccette di pomodoro, residui da pelatura e detorsolatura frutti, frutta/ortaggi scartati in ingresso alle linee di produzione perché non integri o di dimensioni inferiori agli standard prestabiliti, ecc.), sono caratterizzati da:

  • ottima qualità, grazie all’elevato contenuto di sostanza organica, alla modesta dotazione di azoto e all’assenza di componenti indesiderate;
  • contenuto di umidità variabile nel tempo, tendenzialmente elevato e tendenza ad acidificare velocemente;
  • produzione concentrata in periodi di tempo molto limitati (forte stagionalità);
  • difficoltà di conservazione a causa dell’elevata umidità e della tendenza ad acidificare velocemente, che rende necessario far coincidere l’arrivo in impianto con la diretta alimentazione ai digestori o, quando possibile, l’insilamento in miscela con colture dedicate.

C. Sottoprodotti di Origine Animale (SOA): con tale termine si intendono sottoprodotti organici liquidi (ad esempio, sangue, grassi, siero di latte, ecc.) e/o semisolidi (ad es. carnicci, budella, contenuto stomacale, ecc.) generati lungo le linee produttive dell’industria di trasformazione della carne (macellazione e lavorazione della carne) e del latte e relativi derivati. Si tratta di flussi caratterizzati da:

  • ottima qualità, data l’elevata dotazione di sostanza organica e l’assenza di componenti indesiderate;
  • impatto odorigeno da controllare con attenzione e contenuto di azoto mediamente alto, fatta eccezione per poche tipologie (grassi, ecc.);
  • produzione regolare nel tempo e spesso concentrata in pochi poli produttivi di grosse dimensioni;
  • difficoltà di conservazione che rende necessario far coincidere l’arrivo in impianto con la diretta alimentazione ai digestori;
  • potere metanigeno mediamente elevato data la presenza di frazioni proteiche e grassi, ma da gestire con adeguata attenzione. Si tratta di flussi che preferibilmente dovrebbero rappresentare solo una quota della portata giornaliera da avviare a digestione.
Si rammenta che il trattamento dei flussi di SOA deve essere conforme a quanto richiesto dal Regolamento CE n. 1069/2009 “Norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano”, il quale fissa specifici requisiti igienico-sanitari da garantire con trattamenti appropriati (pastorizzazione a 70°C per almeno 1 ora con una pezzatura massima di 12 mm). I sottoprodotti animali che possono essere avviati a digestione anaerobica senza trasformazioni preliminari sono quelli classificati di “categoria 3” (cioè quelli a minore rischio sanitario).

In generale, i sottoprodotti sopra citati sono tutti di origine agricola e agro-industriale. Dal punto di vista formale, nell’impianto di biogas realizzato presso l’azienda agricola essi devono essere gestiti appunto come “sottoprodotti” ai sensi dell’art. 184 bis del DLgs 152/06, per non ricadere nel contesto normativo che regola la gestione dei “rifiuti”.

Oltre a questi sottoprodotti, si possono avviare a digestione anaerobica con produzione di biogas altre biomasse di scarto: frazione organica da raccolta differenziata dei rifiuti urbani (FORSU), fanghi di depurazione biologica delle acque reflue civili e agro-industriali, prodotti alimentari confezionati scaduti o difettosi o comunque non conformi per l’uso alimentare. A differenza dei precedenti, tali flussi sono classificati a tutti gli effetti come “rifiuti” ai sensi della Parte IV del DLgs n. 152/06 e successive modifiche e integrazioni. Per questo motivo, qualora questi vengano destinati alla produzione di biogas, occorre seguire un percorso autorizzativo diverso sia per la realizzazione dell’impianto che per la sua gestione.

Tabella 3 – Propensione al recupero mediante digestione anaerobicadi sottoprodotti organici da agro-industria

D. Colture dedicate si tratta di produzioni vegetali coltivate appositamente allo scopo. Molte quelle utilizzabili, tra le quali mais, sorgo zuccherino, triticale, segale, orzo, frumento e loiessa insilati in primo raccolto o in combinazione fra loro con la produzione di una coltura autunno-vernina seguita da un secondo raccolto. A queste si affiancano con ottimi risultati le altre colture utilizzate per la rotazione colturale, quali girasole, soia, barbabietola, arundo, ecc. La scelta delle colture e la combinazione del doppio raccolto devono essere attentamente valutate sulla base dell’area geografica in cui si opera e della vocazione dei suoli, delle condizioni pedoclimatiche di riferimento, delle disponibilità irrigue e del livello di meccanizzazione aziendale. Si stima che tali colture potranno essere coltivate su circa 400.000 ettari, che è la superficie corrispondente ai terreni sinora destinati a set aside (superficie agricola a riposo) e persi dalle colture della barbabietola e del tabacco negli ultimi 10 anni.

Allo stato attuale numerosi impianti sono dimensionati considerando una quota significativa del carico organico giornaliero da colture dedicate e/o sottoprodotti dell’agro-industria (Figura 8). Il loro utilizzo, infatti, permette di raggiungere potenze elettriche installate difficilmente conseguibili con i soli effluenti zootecnici.

 

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4. UTILIZZO DEL BIOGAS E POTENZIALITÀ DEL BIOMETANO (Lorenzo Maggioni – Responsabile Ricerca CIB; Stefano Bozzetto – Consigliere CIB)

Il biogas, miscela costituita principalmente da metano (CH4) e anidride carbonica (CO2) e tracce di costituenti gassosi secondari (es. H2S, NH3, H2), è un importante vettore bioenergetico che può essere valorizzato o per combustione diretta in caldaia (con sola produzione di energia termica), o in ambito cogenerativo (con produzione combinata di energia elettrica ed energia termica), oppure purificandolo a biometano ovvero come “gas ottenuto a partire da fonti rinnovabili avente caratteristiche e condizioni di utilizzo corrispondenti a quelle del gas metano e idoneo alla immissione nella rete del gas naturale” (articolo 2 del DLgs 28/2011) (Figura 9).

Se, come visto precedentemente, il biogas riveste una notevole importanza nella quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili mediante cogenerazione, la sua depurazione (upgrading) a biometano da molti è ritenuta come frontiera di sviluppo strategica.

Ciò si spiega con il fatto che l’immissione del biometano nella rete italiana del gas naturale (la rete energetica più capillare e capiente esistente in Europa) consente la veicolazione nel luogo e nel momento in cui è più efficiente il suo utilizzo per la successiva cogenerazione in energia elettrica e termica o per la produzione di energia termica ad integrazione con altre fonti rinnovabili. Altri vantaggi sono legati al fatto che nel processo di upgrading a biometano si realizza una filiera “carbon negative”, in quanto il biometano va a sostituire il gas naturale di origine fossile, e che il gas metano di origine biologica, se utilizzato in ambito cogenerativo in sistemi ad elevato rendimento o in sistemi integrati (solare termico e/o pompe di calore) per la produzione

di energia termica ovvero come biocarburante, è uno dei combustibili a minori emissioni in atmosfera. Inoltre l’utilizzo del biometano (e del gas naturale) nell’autotrazione è lo strumento più efficace nel breve termine per ridurre l’intensità di emissioni di carbonio anche nei trasporti, ed è la principale opportunità per ridurre in modo significativo il fabbisogno di biocarburanti prodotti con materie prime importate per il rispetto degli obblighi, previsti dalla Direttiva 2009/28/CE al 2020, per il settore trasporti.

Da questo punto di vista, l’Italia ha ottime condizioni per lo sviluppo della filiera biogas-biometano in ragione di una lunga tradizione riguardante l’uso di veicoli alimentati a gas naturale: con 785.000 veicoli all’inizio del 2012, che rappresentano circa il 3,5% del parco circolante, e un significativo incremento del 16% negli ultimi due anni (676.850 unità alla fine del 2009), il nostro Paese mantiene saldamente il primato europeo. Questo numero elevato di veicoli è principalmente composto da autovetture e furgoni, che possono essere riforniti in una delle 908 stazioni di servizio a metano dislocate sul territorio. Per quanto riguarda i veicoli commerciali, l’Italia conta circa 1.200 camion a metano, principalmente operanti nei servizi della raccolta rifiuti, e 2.300 autobus urbani.

Il processo di upgrading, il cui passaggio principale è l’eliminazione dell’anidride carbonica presente nel biogas di partenza, si realizza attraverso uno dei seguenti metodi (Dati: DENA – Agenzia Tedesca dell’Energia- Gennaio 2012):

  • L’assorbimento chimico con ammine o polietilenglicole (Chemical Scrubbing): la CO2 si lega in maniera specifica con le ammine. La tecnologia, entrata nel mercato Europeo a partire dal 2009, si è diffusa velocemente fino a divenire una tecnologia leader (45 impianti) grazie, soprattutto, alla possibilità di ridurre le dimensioni degli impianti dovuta alla maggiore e più specifica capacità di adsorbimento per la CO2 rispetto all’acqua.
  • L’adsorbimento a oscillazioni di pressione (Pressure Swing Adsorption – PSA), usata in Europa in 31 impianti. Le molecole di anidride carbonica in condizioni di elevata pressione vengono adsorbite su un mezzo solido (carbone attivo o setacci molecolari). Il materiale è rigenerato attraverso la riduzione della pressione e l’applicazione di una depressione.
  • Il Lavaggio ad acqua (Water Scrubbing – WS), diffuso in Europa in 32 impianti. Il biogas è compresso e immesso in una colonna con flusso di acqua in senso contrario. Anidride carbonica e idrogeno solforato sono più solubili in acqua rispetto al metano. Il gas in uscita è arricchito in metano e saturo di acqua. Il gas deve essere essiccato e deumidificato prima di essere immesso nella rete. Rigenerazione: flusso di aria.
  • La separazione con membrane (Membrane Separation). Usata per ora solamente in 6 impianti, si basa sulla diversa dimensione delle molecole e quindi diversa permeabilità attraverso la membrana: l’anidride carbonica e l’idrogeno solforato passano la membrana, il metano no.
  • La tecnica Criogenica, usata per ora in 1 solo impianto in Europa, si basa sul principio che gas differenti liquefano a differenti condizioni di pressione-temperatura. Sottoprodotto prezioso è l’anidride carbonica liquefatta, la cui domanda è in aumento grazie, ad esempio, all’uso come fonte rinnovabile di raffreddamento in camion refrigerati.

Il processo biologico di digestione anaerobica con produzione di biogas e il successivo upgrading a biometano hanno il grande pregio di poter usare biomasse di natura e con caratteristiche molto diverse. Nel comparto agricolo si utilizzano prevalentemente matrici vegetali, effluenti zootecnici e sottoprodotti agroindustriali. In altri comparti, il biogas da avviare al processo di purificazione può derivare da discarica o dalla digestione anaerobica della FORSU.

La potenzialità è enorme: esiste, infatti, una grande disponibilità di biomasse, in molti casi poco o per nulla sfruttate, che possono essere recuperate attraverso il biometano con un’efficienza energetica superiore a qualsiasi altro processo.

A breve, grazie all’introduzione di nuove tecnologie nell’ambito della gassificazione di biomasse solide seguita da processi di purificazione e reforming, si pensa che sarà possibile valorizzare anche i substrati ad elevato contenuto lignocellulosico che non possono essere trattati in anaerobiosi con produzione di biometano (o, più correttamente, di bio-syngas).

Per quantificare la potenzialità complessiva del settore, va ricordato che i flussi di energia rinnovabile sulla Terra sono molte volte più grandi rispetto all’attuale utilizzo globale di energia, che nel 2007 ammontava a 347 Exajoules (EJ, corrispondenti a 8.286 Mtep, o 96,4 Petawatthours, PWH) (IEA 2009).

Considerando solamente i substrati adatti ai fini della biometanazione, il potenziale energetico teorico mondiale derivante dal produzione di biomasse su base annua è enorme: 4.500 Exajoules (EJ).

Assumendo che la biomassa che può essere effettivamente raccolta abbia un potenziale di 2900 EJ/anno, circa un decimo di questa (27 0EJ/anno) può essere considerata tecnicamente disponibile su una base sostenibile (WEA 2000). Altre ricerche indicano un limite superiore di 1.135 EJ/anno nel 2050 per una produzione sostenibile di bioenergia globale che non interferisca con la produzione di colture alimentari (Ladanai e Vinterbäck 2009).

A livello europeo, il potenziale sostenibile di biomassa primaria, inclusi i flussi di rifiuti, potrebbe aumentare da 8 EJ nel 2010 a 12 EJ nel 2030). Una gran parte di questa produzione energetica potrà provenire dall’agricoltura, passando da 2 EJ nel 2010 a 5.9 EJ nel 2030 (EEA 2006 e 2007).

In Italia, favorendo un largo utilizzo delle biomasse di integrazione, cioè quelle matrici organiche (per es. colture di secondo raccolto, sottoprodotti agricoli, effluenti zootecnici, ecc.) che oggi non costituiscono fatturato per le aziende agricole ovvero la cui coltivazione non riduce il fatturato per i mercati foraggieri o alimentari (sostituzione) e destinando a colture dedicate 400.000 ha (una superficie pari ai terreni destinati a set aside e persi dalla coltura della barbabietola e del tabacco negli ultimi dieci anni, ovvero pari a circa il 50% dei terreni agricoli non utilizzati italiani), si stima una produzione entro il 2030 di 8 miliardi di metri cubi di biometano equivalenti all’anno, una produzione pari o all’attuale produzione italiana di gas naturale o a quella del rigassificatore di Rovigo.

L’effetto sul reddito agricolo delle sole biomasse di integrazione è stimabile pari a un incremento della PLV agricola di oltre 2 Mld di euro /annuo, un incremento di circa il 5% del PIL agricolo attuale. Da un punto di vista complessivo la produzione potenziale di 8 miliardi di metri cubi di biometano potrebbe far risparmiare all’Italia circa 1,5-2 miliardi di euro all’anno in termini di riduzione delle importazioni di gas naturale e biocarburanti. (Figura 11 – Scenari di potenzialità del biomentano da agricoltura).

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5. IL DIGESTATO, FERTILIZZANTE RINNOVABILE, E LA QUALITÀ AMBIENTALE (Guido Bezzi – Responsabile Agronomia CIB)

Spesse volte, parlando di valore del processo di digestione anaerobica, ci si sofferma quasi esclusivamente sulla produzione di biogas e sulla sua trasformazione. Tuttavia, per comprendere appieno la virtuosità e la sostenibilità economico-ambientale della filiera, non può essere trascurato l’aspetto della valorizzazione del cosiddetto “digestato”.

Il digestato è un utile sottoprodotto della digestione anaerobica di matrici organiche e si presenta come materiale fluido, con particelle solide in sospensione, avente caratteristiche chimico-fisiche e agronomiche tali da poterlo considerare un buon fertilizzante (Tabella 4 – Caratteristiche medie di digestati di varia natura).

Infatti, così come dimostrato da diversi studi, il digestato è una soluzione organica che contiene generalmente un mix di elementi con proprietà fertilizzanti in forme prontamente disponibili qualigli ioni ammonio e ortofosfato e diverse altre forme di macro e microelementi fondamentali quali P, K+, Ca2+, Mg2+ e SO42-, a formare un sistema equilibrato e stabilizzato fra le componenti liquida e solida (Sorensen et al., 2008; Mantovi et al., 2009; Tambone et al., 2009 e 2010).

Il processo di digestione anaerobica, infatti, determina una riduzione della sostanza organica meno stabile, ma non riduce i quantitativi di azoto e fosforo, mentre mineralizza parte dell’azoto organico in azoto ammoniacale rendendolo prontamente disponibile (Figura 12). Per questo motivo, il digestato può essere configurato quale “fertilizzante rinnovabile” a pronto effetto completo ed equilibrato grazie alla presenza di forme azotate disponibili e interessante presenza di mesoelementi.

Nella maggior parte degli impianti di biogas il digestato è sottoposto a separazione solido/liquido con produzione di due frazioni, quella palabile e quella chiarificata. I motivi di tale scelta sono diversi; si ricordano, tra i principali, la possibilità di ricircolare la frazione liquida, l’assenza di formazione di croste superficiali negli stoccaggi, una migliore gestione delle due frazioni in fase di uso agronomico.

Le due frazioni che si generano si presentano con le seguenti caratteristiche:

  • la frazione solida o palabile (Tabella 5 – Principali caratteristiche chimiche di frazioni solide di digestati di diversa origine) rappresenta in genere non più del 10 – 15% circa del peso del digestato tal quale ed è caratterizzata da un contenuto di sostanza secca relativamente alto, solitamente superiore al 20% circa. In essa si concentrano la sostanza organica residua, l’azoto organico e il fosforo, seppure con efficienze di separazione variabili in funzione delle condizioni operative di riferimento (tipo di digestato, tipo e modalità d’uso del dispositivo utilizzato);
  • la frazione liquida o chiarificata (Tabella 6 – Principali caratteristiche chimiche di frazioni chiarificate di digestati di diversa origine) rappresenta in genere almeno l’85-90% del volume del digestato tal quale ed è caratterizzata da un tenore di sostanza secca mediamente compreso tra l’1,5 e l’8%. In essa si concentrano i composti solubili, tra cui l’azoto in forma ammoniacale, che può arrivare a rappresentare sino al 70-90% dell’azoto totale presente.

La digestione anaerobica, quindi, deve essere considerata, oltre che come tecnologia avanzata della produzione di energia rinnovabile, anche come biotecnologia per la produzione di “fertilizzanti rinnovabili” ad elevato valore ambientale.

Identificare il digestato come un vero e proprio fertilizzante, permette anche di uscire dal solo orizzonte aziendale e di promuovere azioni volte alla valorizzazione di questa risorsa anche fuori dalla propria azienda agricola, permettendo al territorio di fare “sistema”, promuovendo una logica di filiera produttiva a ciclo chiuso e di protezione dell’ambiente (Adani et. al, 2009).

L’utilizzo agronomico del digestato quale fertilizzante, quindi, non deve tener conto solo del semplice apporto di elementi di fertilità in sostituzione dei concimi di sintesi, ma anche della possibilità di chiusura del ciclo del carbonio e dei nutrienti nell’ottica di agricoltura sostenibile fondata sul recupero di materia quale mezzo di sostentamento della produzione agraria (Giusquiani et al 1995; Borken 2004).

Tuttavia, al fine di un’analisi completa, è necessario un attento esame anche delle implicazioni normative e ambientali legate al suo utilizzo, in modo che il digestato e i fertilizzanti rinnovabili possano godere della fiducia di operatori e popolazione.

A livello normativo, in particolare, il digestato è stato ormai riconosciuto definitivamente quale sottoprodotto con proprietà agronomiche che in alcuni casi possono essere assimilabili a quelle dei fertilizzanti di sintesi in commercio (Articolo 2-bis legge 7 agosto 2012, n. 134 di conversione del DL 83 del 2012). Sebbene la definizione normativa del digestato sia ancora in divenire, si auspica che oltre a superare i problemi relativi alla diversa interpretazione attuata sull’utilizzo agronomico del digestato in diverse regioni, possa essere aperta anche un’importante prospettiva di ottimizzazione della gestione degli spandimenti nel rispetto dei limiti imposti dalla direttiva nitrati.

A livello di proprietà fertilizzanti, recenti dati prodotti dal primo anno di sperimentazione del progetto “Nero” finanziato dalla Regione Lombardia, confermano l’elevata efficienza dell’azoto contenuto nel digestato: si osservano, infatti, con l’uso del digestato produzioni di mais analoghe e in alcuni casi superiori alle tesi fertilizzate con urea (Orzi et. al, 2012). Analoghi risultati sono stati confermati anche da un’esperienza pluriennale di campo condotta da Pioneer presso i terreni dalla Coop. Speranza di Candiolo (TO) (Rancati, 2012). Inoltre, nell’ambito del progetto di ricerca «Effetti dovuti alla digestione anaerobica sulla disponibilità di azoto negli effluenti zootecnici, ai fini del superamento del limite di 170 kg N/ha/anno imposto dalla Direttiva nitrati», finanziato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e coordinato dalla Fondazione CRPA Studi Ricerche di Reggio Emilia, si è dimostrato che l’efficienza azotata, ovvero l’azoto disponibile per le colture dopo distribuzione in campo, può risultare molto alta nelle frazioni chiarificate se utilizzate durante la stagione vegetativa mentre le frazioni solide, concentrando la sostanza organica, sono più adatte a un utilizzo ammendante oltreché più utilmente trasportabili (Monaco et al., 2011).

Per quanto riguarda l’impatto ambientale legato all’utilizzo del digestato quale fertilizzante rinnovabile, risultati sperimentali del Gruppo Ricicla dell’Università di Milano dimostrano come l’analisi dell’impatto di effluenti e digestati abbia evidenziato una correlazione diretta tra l’efficienza della digestione anaerobica e della stabilizzazione del materiale, da una parte, e la diminuzione dell’impatto odorigeno dall’altra (Orzi et. al, 2012). Inoltre, il progetto di Fondazione CRPA di cui sopra ha dimostrato anche che l’utilizzo delle frazioni chiarificate diminuisce l’emissione di ammoniaca a causa della maggiore infiltrazione dopo spandimento su suolo e che la digestione anaerobica del liquame bovino seguita da separazione solido-liquido permette una riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di protossido di azoto, grazie alla riduzione del contenuto di carbonio disponibile per i microrganismi. Oltre a questo, diverse sperimentazioni sia italiane che europee evidenziano come la maggior parte delle classi di microrganismi di rilevanza sanitaria diminuiscano sensibilmente con il processo di digestione anaerobica o nella peggiore delle ipotesi la digestione anaerobica abbia un effetto neutro.

Infine è da più parti noto in letteratura l’effetto che ha l’uso, e la corretta gestione, del digestato sulla diminuzione delle emissioni di ammoniaca, protossido di azoto e metano rispetto all’uso del liquame tal quale.

In particolare, le pratiche di corretta gestione del digestato al fine di ottimizzare l’efficienza d’uso e diminuire l’impatto ambientale della gestione dei reflui sono principalmente:

  • Copertura degli stoccaggi finali del separato liquido al fine di ridurre al minimo le perdite di azoto ammoniacale in atmosfera;
  • Distribuzione con iniezione, interramento immediato o fertirrigazione;
  • Impiego nei periodi di massimo assorbimento delle colture ovvero in presemina e in copertura.

Per questi motivi, si stanno diffondendo a valle del digestore sia impianti (separatori solido/liquido) che nuovi cantieri di lavorazione che risulteranno via via indispensabili per una corretta gestione del digestato nell’ottica di integrazione ambientale e virtuosità del processo (Figura 13 – Esempio di cantiere di lavorazione per l’iniezione del digestato durante la lavorazione del terreno).

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6. IL MANIFESTO DEL ”BIOGAS FATTO BENE” (Sebastiano Mundula – CIB)

Il CIB – Consorzio Italiano Biogas e Gassificazione ha lavorato intensamente per stimolare un dibattito interno al settore che ha portato al documento programmatico “Il biogas fatto bene” sottoscritto dalle principali associazioni del settore agro energetico: Agroenergia, AIEL, APER, CIA, CIB, Confagricoltura, CRPA, DAEL (Distretto agro energetico Lombardo), FIPER e ITABIA. 

Il testo traccia una linea di principi che mira a garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PAN, garantendo, allo stesso tempo, uno sviluppo equilibrato e duraturo del settore.

Cosa significa “fare bene il biogas”?

Significa inserire il biogas nel ciclo produttivo dell’azienda agricola o zootecnica senza che ciò significhi ridurre la capacità dell’azienda agricola di produrre cibo e foraggi come ha sempre fatto: anzi da questa integrazione deve nascere una maggiore capacità delle aziende agricole italiane, spesso oggi in difficoltà economiche, di produrre le proprie specialità alimentari, in modo più sostenibile da un punto di vista ambientale ed economico.

Come “fare bene il biogas”?

Ripristinando il riciclo della sostanza organica e dei nutrienti in azienda anche nelle aree dove non c’è più zootecnia. Un’azienda agricola con un impianto a biogas può divenire indipendente nell’approvvigionamento di concimi chimici e può ripristinare il riciclo della sostanza organica in digerita nel suolo.

Il biogas offre delle opportunità uniche per ridurre gli impatti ambientali delle attività agricole e zootecniche . Come già si è detto l’utilizzo di effluenti zootecnici in digestione anaerobica permette di ridurre in modo drastico le emissioni di metano e ammoniaca delle stalle; l’utilizzo della doppia coltura (ad es.: il raccolto invernale per il digestore) permette di ridurre la lisciviazione dell’azoto e dei nutrienti nei corpi idrici superficiali e sotterranei. La possibilità di maggiori rotazioni con colture metanigene, riduce la diffusione di parassiti quali la diabrotica in aree a monocoltura a mais. L’utilizzo del calore dei cogeneratori permette l’essicazione dei foraggi senza l’utilizzo del gasolio e del metano. Presto, ci auguriamo, l’utilizzo del biometano nella trazione agricola permetterà di ridurre il consumo e il costo di carburanti fossili in agricoltura.

Ma perché sia veramente fatto bene il biogas deve poter essere capace di utilizzare sempre meno terreno agricolo di primo raccolto. In questo il biogas si dimostra la filiera in grado di produrre più energia per ettaro utilizzato. Come? riducendo progressivamente l’utilizzo di terreni di primo raccolto destinati al mais con un crescente ricorso alle biomasse di integrazione , biomasse che oggi non costituiscono reddito per le aziende agricole perché sottoprodotto o perché non utilizzate:

a)  Colture di secondo raccolto su terreni lasciati nudi dalla coltura foraggiera principale (per esempio il triticale prima della soia o il sorgo dopo il frumento);

b)  Sottoprodotti agricoli: paglie, stocchi, pule, ecc.;

c)  Effluenti zootecnici;

d)  Sottoprodotti agroindustriali;

e)  Colture perennanti su terreni marginali, non più redditizi per l’agricoltura a seminativo;

f)  frazioni del raccolto meno “nobili”, come per esempio i colletti della barbabietola e in futuro i sottoprodotti delle bioraffinerie.

Questo è il “biogas fatto bene” ed è importante sottolineare che le azioni che permettono di “fare bene il biogas”, permettono significativi miglioramenti del reddito dell’azienda agricola. Permettono di aumentare la PLV con i doppi raccolti, di ridurre il costo dei concimi, il costo della distribuzione degli effluenti zootecnici, dell’essicazione dei foraggi e così via. Sono tutti interventi che possono essere realizzati in assenza di vincoli e obblighi di legge: perché fanno bene al bilancio dell’impresa agricola e alla sua competitività.

Per questo il “biogas fatto bene” non solo è utile all’ambiente e al sistema energetico italiano, ma è indispensabile al rilancio della competitività delle aziende agricole italiane.

Il “biogas fatto bene” coniugato con il biometano è, inoltre, una grande opportunità per affrontare il grande assente nel dibattito sullo sviluppo delle fonti rinnovabili: la transizione dal petrolio nel sistema dei trasporti.

Come visto precedentemente, il biometano è un biocarburante di seconda generazione nella sua accezione più chiara. In virtù di un largo ricorso a biomasse di integrazione, alla possibilità di essere prodotto in ambito decentrato e immesso nella rete del gas, essere utilizzato a distanza ove e quando più necessita, il biometano ha nel suo ciclo di vita una riduzione di emissioni di gas serra significativa, sino a poter risultare carbon negative (ovvero un sistema energetico in cui le emissioni evitate sono maggiori del combustibile fossile di riferimento) nel caso di largo utilizzo di effluenti zootecnici, sottoprodotti agroindustriali e di riciclo della sostanza organica nei terreni.

Più biometano e gas naturale utilizzeremo nei trasporti e più rapidamente realizzeremo, a costi contenuti, una transizione ad un sistema dei trasporti a basse emissioni di gas serra (l’UE ha definito chiaramente come, fra i biocarburanti, Il gas metano di origine biologica sia uno dei combustibili a minori emissioni in atmosfera), e soprattutto lo potremo fare con biomasse, tecnologie e “lavoro” made in Italy.

Questo è il biogas fatto bene: un nuovo strumento per la competitività delle aziende agricole, affinché possano continuare a produrre le specialità italiane in modo più competitivo e sostenibile da un punto di vista ambientale, nel contempo contribuendo a ridurre le emissioni di gas serra , i cui effetti sul clima da alcuni anni abbiamo imparato a conoscere in campagna.

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Il CIB e “il biogas fatto bene”

Il costante contatto con gli operatori del settore permette quotidianamente di toccare con mano il grande interesse attorno al biogas e al biometano non solo da parte del mondo agricolo e da quello delle tecnologie che gravitano attorno ad esso ma anche da quello istituzionale e da quello legato alle istanze ambientaliste. L’adesione da parte di queste quattro componenti conferma quanto l’approccio integrato allo sviluppo delle energie rinnovabili e del biogas sia ricco di potenzialità.

Attraverso il documento “Il biogas fatto bene” il CIB ha formulato proposte operative per indirizzare lo sviluppo del settore con giuste regole comportamentali nella conduzione delle aziende agricole, per cui è fondamentale dimensionare l’impianto in funzione della superficie aziendale, degli indirizzi e delle opportunità di mercato.

L’obbiettivo è procedere ad una programmazione per lo sviluppo degli impianti a biogas, riducendo i fenomeni di competizione per l’uso del suolo agricolo per la produzione di biomasse e per la distribuzione del digestato, da parte di impianti a biogas non dimensionati ai contesti locali, non dotati di una sufficiente disponibilità di biomasse producibili in azienda e, in particolare, nelle aree ad elevata concentrazione zootecnica.

Sono state altresì formulate nuove proposte di modifica per il sistema incentivante per stimolare l’utilizzazione dei sottoprodotti e la costruzione di impianti di taglia più contenuta, che meglio si abbinano all’azienda zootecnica, dando crescente priorità all’utilizzo di effluenti zootecnici, residui e sottoprodotti agricoli e agroindustriali, colture di secondo raccolto, colture perennanti e colture di primo raccolto ottenute in rotazione.

Infine, sono state formulate proposte per favorire l’opzione del biometano che, per i motivi visti in precedenza, dimostra tutta la sua importanza strategica permettendo, tra l’altro, di impattare in misura meno pesante, rivolgendosi ad una più ampia pluralità di utenti finali, sulle singole categorie che sostengono l’avvio della filiera e di integrare la produzione di biogas con le altre fonti FER non programmabili e intermittenti, riducendo la necessità di interventi per l’adeguamento della rete elettrica legata alla crescente domanda di immissione di energia rinnovabile.

Con “Il biogas fatto bene” il CIB ritiene di aver, tra l’altro, contribuito ad accrescere la consapevolezza della complementarietà delle attività agricola – zootecnica tradizionale con quella agro-energetica che ben si integrano tra loro supportando la sostenibilità ambientale (riduzione delle emissioni di CO₂), agronomica (Direttiva Nitrati) ed economica (integrazione del reddito aziendale).

Gli obiettivi del “biogas fatto bene”:

  1. La filiera è ad elevata intensità di lavoro italiano e vogliamo ulteriormente potenziarla.
  2. Incrementare ancora di più l’efficienza dell’uso agricolo delle colture dedicate.
  3. Ridurre l’impiego di biomasse di primo raccolto.
  4. Dimensionare gli impianti in funzione delle superfici aziendali, degli indirizzi e delle opportunità di mercato promuovendo quelli di taglia contenuta o comunque commisurati alla realtà aziendale.
  5. Stimolare l’utilizzazione dei sottoprodotti agricoli e agro industriali.
  6. Stimolare la migliore utilizzazione del digestato quale importante fertilizzante rinnovabile.
  7. Stimolare l’impiego dell’energia termica in particolare a favore di comunità (scuole, ospedali, ecc.)
  8. Sfruttare tutte le potenzialità della flessibilità di impiego: motori cogenerativi, purificazione a biometano con immissione in rete e in distributori decentrati per l’autotrazione.
  9. Stimolare l’impiego delle bioenergie di seconda generazione anche per aumentare la produzione decentrata.
  10. Stimolare la produzione e l’impiego del biometano quale combustibile a minor emissioni in atmosfera rappresenta una filiera “carbon negative”.

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