Riuso delle batterie e storage di rete, cosa verrà dopo l’auto elettrica?

Qualche aggiornamento in tema di “seconda vita” degli accumulatori impiegati sui veicoli a zero emissioni e sulla possibilità di farli dialogare con il sistema elettrico. In Italia tre aziende siglano un accordo per formare un nuovo consorzio di ricerca e sviluppo.

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Sarà possibile, e come, dare una “seconda vita” alle batterie usate dei veicoli elettrici? E, ancora prima, sfruttare le batterie per fornire servizi innovativi agli automobilisti e alle utility?

La domanda resta attualissima, con il previsto boom della mobilità a zero emissioni a livello globale, anche se finora il riuso/riciclo degli accumulatori non ha ancora trovato una soluzione univoca.

Anche in Italia si sta lavorando su questo fronte: ad esempio il CNR di Firenze, in collaborazione con il Cobat, aveva sviluppato in laboratorio un nuovo processo idro-metallurgico con cui recuperare i metalli “attivi” delle batterie, come litio, cobalto, nickel, manganese.

Tutti metalli che a vario titolo sono classificati come potenzialmente rari e quindi “critici”, perché il loro approvvigionamento futuro potrebbe essere influenzato da molteplici fattori di rischio, come l’andamento dei relativi mercati e prezzi, la stabilità geopolitica dei paesi produttori, l’evoluzione dei progetti minerari con la conseguente maggiore o minore disponibilità di risorse (vedi QualEnergia.it).

Intanto tre aziende attive nel campo dell’accumulo energetico, dei trasporti “puliti” e della ricerca sui nuovi materiali – Green Energy Storage, Sharengo e Materials Mates Italia – hanno appena siglato un accordo per formare il consorzio NEMo (Nuova Energia Mobile).

L’obiettivo, spiega una nota congiunta, è integrare le competenze e piattaforme tecnologiche (Green Energy Storage, ad esempio, sta approntando una nuova batteria organica a flusso), in modo da offrire diversi prodotti e servizi nel settore dell’auto elettrica, soprattutto il riutilizzo delle batterie a fine vita e le applicazioni che consentono di far “dialogare” i punti di ricarica con il sistema elettrico.

Sono le cosiddette applicazioni V2G, vehicle-to-grid, che in sintesi puntano a trasformare migliaia di singole batterie in un’unica centrale elettrica virtuale.

In pratica, grazie a programmi avanzati di gestione intelligente e flessibile della rete, gli accumulatori delle auto connessi alle colonnine possono caricarsi/scaricarsi in funzione di molteplici parametri, tra cui: surplus elettrico generato dalle fonti rinnovabili, andamento della domanda con eventuali picchi dei consumi, necessità di bilanciare qualche fluttuazione sui carichi elettrici.

Un’altra opzione è la cosiddetta “ricarica controllata” V1G che permette di gestire tempi e modi delle ricariche, senza però quel flusso bidirezionale di energia che caratterizza i sistemi V2G.

La California è tra i paesi che stanno investendo di più in questa direzione, mentre l’Italia è ancora in forte ritardo in generale su tutti gli aspetti che riguardano le vetture plug-in da attaccare alla spina.

Per quanto riguarda il riuso delle batterie esauste dei veicoli, uno studio di Bloomberg New Energy Finance (BNEF) già un paio d’anni fa evidenziava l’ampio potenziale dei dispositivi rigenerati nelle installazioni di storage stazionario di rete, che richiede prestazioni decisamente meno stressanti, in termini di frequenza dei cicli di carica/scarica, rispetto a quelle che si hanno di solito sulle vetture.

Mercedes-Benz, di recente, dopo aver comunicato la decisione di smettere di produrre batterie per il mercato residenziale con l’idea di fare concorrenza a Tesla, ha confermato che proseguirà i test per il reimpiego degli accumulatori nei sistemi di taglia medio-grande (utility-scale) destinati allo stoccaggio energetico per le linee di trasmissione e distribuzione.

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