Direttiva efficienza energetica, lavori in salita e Italia assente

La revisione della Energy Efficiency Directive nell'ambito del Pacchetto Energia europeo si avvicina alla conclusione. Ma restano molti i nodi da sciogliere e il nostro Paese, evitando di schierarsi per un target ambizioso, rischia di perdere un'opportunità anche economica.

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Mentre il Parlamento europeo spinge per un impegno più ambizioso, gli Stati membri sembrano frenare. Pochi, tra cui la Francia, sembrano vedere nel risparmio energetico spinto una strategia anche industriale, mentre il solito gruppo dell’Est punta i talloni.

L’Italia, con la sua posizione difensiva riassumibile in “noi abbiamo già fatto tanto”, rischia di boicottare un target europeo adeguato, cioè un quadro che le permetterebbe di cogliere un’occasione economica, dato il suo tessuto industriale e varie circostanze favorevoli, ultime delle quali la revisione del budget europeo e le nuove regole contabili Eurostat, che permettono di investire in efficienza nel pubblico senza vincoli di bilancio.

Si può riassumere così la situazione sul fronte della revisione della direttiva europea sull’efficienza energetica, verso il prossimo incontro del trilogo previsto per il 16 maggio.

Quel giorno – cioè mercoledì prossimo – Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea dovranno provare a raggiungere un difficile compromesso, per arrivare – si auspica – a un testo condiviso il 30 dello stesso mese, prima del Consiglio dei ministri dell’Energia previsto per l’11 giugno.

I punti caldi

Diversi i nodi da sciogliere nei negoziati. Primo tra tutti il target: per la EED, Energy Efficiency Directive, Commissione e Parlamento propongono entrambi un obiettivo 2030 di riduzione dei consumi (rispetto a uno scenario business as usual) vincolante: l’esecutivo Ue del 30%, mentre l’Europarlamento vorrebbe un taglio del 35%.

L’ultima proposta avanzata dalla presidenza del Consiglio Ue, in questo semestre occupata dalla Bulgaria (testo in allegato), è piuttosto lontana: traguardo al 31-33% di riduzione e non vincolante, mentre a dicembre i 28 avevano chiesto addirittura un 30%, sempre non vincolante.

Non meno importanti poi sono alcuni aspetti solo in apparenza secondari, come esenzioni, definizioni statistiche e baseline, che rischiano di cambiare significativamente la quantità di energia che nella realtà si andrà a risparmiare.

Ad esempio c’è la questione dei trasporti nel centrale articolo 7, che parla degli energy efficiency obligation schemes (EEOS), cioè i risparmi energetici dell’1,5% l’anno (sul triennio precedente) che gli Stati devono imporre ai soggetti obbligati, cioè a venditori e distributori di energia.

Parlamento e Commissione vorrebbero obblighi estesi anche alla vendita di energia per i trasporti, mentre il Consiglio sembra di tutt’altro avviso: la proposta bulgara è che gli EEOS sui trasporti valgano solo per l’8-10% dell’energia venduta.

Diversi altri i passaggi critici: ad esempio, vari Paesi vorrebbero che, nel calcolare i progressi verso gli obiettivi 2030, si tenesse conto anche delle azioni già intraprese nel biennio 2018-2020, richiesta compresa nella proposta bulgara e che ovviamente diminuirebbe l’efficacia della direttiva.

Per lo stesso principio e con lo stesso effetto, la presidenza del Consiglio Ue vorrebbe che si potessero contabilizzare per il target 2030 i risparmi “in eccesso” sull’obiettivo 2020. C’è poi il tema delle esenzioni che sarebbero concesse a Malta e Cipro…

Insomma, tra espedienti statistici, esenzioni e altro “un obiettivo dell’1,5% annuale potrebbe tradursi in uno 0,6% effettivo”, secondo una stima contenuta in uno studio della Coalition for Energy Saving.

Le posizioni

Il Parlamento, come visto, spinge per una direttiva più ambiziosa e al momento difende con forza le sue posizioni, l’efficacia del testo finale dipenderà però dalla negoziazione tra le due istituzioni e il Consiglio è meno ambizioso e diviso in vari schieramenti.

Per un target del 35% vincolante ad esempio si sono espressi membri come Francia, Svezia e Lussemburgo.

Portogallo, Germania, Olanda, Danimarcasono tra quelli che appoggiano la proposta della Commissione del 30%.

Tra i più restii a un impegno serio Polonia, Bulgaria, Romania, Ungheria , Slovacchia e Lituania.

L’Italia, assieme a paesi importanti come Spagna, Finlandia, Belgioe Regno Unito, “è in una zona grigia”, spiega a QualEnergia.it Monica Frassoni, ex parlamentare europea e presidente della European Alliance to Save Energy (EU-ASE), una coalizione di multinazionali operanti nel settore dell’efficientza europea, : “tra i membri non apertamente contrari a un obiettivo vincolante ma che non stanno facilitando la negoziazione”.

La mancanza di un governo, ovviamente, “si fa sentire eccome”, spiega, ma anche il ministro uscente Carlo Calenda “non è mai stato apertamente favorevole a target ambiziosi, bensì molto allineato ai grandi dell’energia come Enel ed Eni. E mentre Enel non è favorevole a un target alto, ma è in generale più costruttiva, Eni lavora e si batte per il mantenimento di un sistema fossile”, aggiunge Frassoni.

Sul versante dell’efficienza, i principali produttori e venditori di energia, ad esempio quelli riuniti in Eurelectric, non hanno dato la stessa spinta fornita sul fronte rinnovabili, ci spiega la presidente di EU-ASE: “sugli obblighi dell’articolo 7 frenano. Ormai in Italia non c’è un’utility che non abbia una sua ESCo; tutti guardano all’efficienza energetica, ma evidentemente vogliono gestire da soli il percorso”.

Un’occasione a rischio

In tutto questo, sia l’Europa che l’Italia rischiano di perdere un’opportunità economica oltre che di indebolire uno strumento essenziale per rispettare gli impegni di Parigi.

“Secondo l’International Energy Agency, in Europa il 76% del taglio delle emissioni richiesto dall’accordo sul clima dovrebbe arrivare dall’efficienza energetica”, ci ricordano da EU-ASE.

Anche un target 2030 del 35% “non sarebbe sufficiente per gli obiettivi di Parigi”, spiega Frassoni, sottolineando che “secondo l’impact assessment della Commissione, anche un taglio del 40% sarebbe cost effective, cioè raggiungibile con un guadagno netto”.

“In certi Paesi tra cui l’Italia, c’è una posizione di retroguardia, motivata con i progressi già conseguiti. Ma se nell’industria si è fatto molto, sull’edilizia, che pesa per il 35-40% dei consumi, c’è ancora un grande potenziale di risparmio”, aggiunge.

Il nostro Paese, a differenza della Francia “che vede l’efficienza energetica come una strategia economica e industriale”, secondo EU-ASE, sta trascurando un’occasione importante per il suo tessuto economico, “che, come hanno dimostrato i dati sull’edilizia post-crisi, può avere grandi vantaggi dall’efficienza energetica, essendo costituito da piccole aziende, spesso innovative su questo fronte”.

Circostanze favorevoli

Una direttiva sull’efficienza energetica con un obiettivo ambizioso – ci spiegano poi dall’associazione europea pro efficienza energetica – permetterebbe di approfittare di diverse novità positive per fare risparmio energetico.

Ad esempio, le nuove regole statistiche, pubblicate da Bei ed Eurostat due giorni fa e già operative (le trovate qui su QualEnergia.it), permettono agli enti pubblici di fare investimenti in efficienza tramite ESCo o contratti EPC senza che questi vengano contabilizzati in bilancio. Si toglie così un grandissimo ostacolo a interventi che fanno risparmiare soldi ed energia e che prima erano impediti dallo stato dei conti pubblici e dal Patto di Stabilità.

Altra spinta al risparmio energetico è la nuova direttiva europea per l’efficienza energetica nell’edilizia (EPBD, Energy Performance of Buildings Directive), approvata in via definitiva e a cui manca solo il via libera formale dal Consiglio prima di essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Poi c’è la revisione del Multiannual Financial Framework (MFF), la programmazione del budget europeo, appena presentata da Bruxelles, che prevede che il 25% della spesa totale vada al taglio delle emissioni (contro il 20% del 2014-2020): 320 miliardi di euro destinati a rinnovabili, efficienza energetica, trasporti ecologici e così via.

Vari progetti poi, come Eemap della Commissione Ue e dell’European mortgage federation, stanno lavorando per favorire l’accesso al credito per fare efficienza.

Insomma, non ci sono scuse per frenare sull’efficienza energetica adesso, anzi, la spinta data da una direttiva ambiziosa potrebbe dare non pochi vantaggi a un Paese come il nostro che (ci dicono i dati MiSE sul 2016) importa circa 158 Mtep su 169 Mtep di energia consumati in un anno

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