Le tante e vistose carenze del Programma di gestione dei rifiuti radioattivi

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Nel Programma Nazionale governativo mancano troppi aspetti fondamentali per una materia complessa nella quale decisioni approssimative potrebbero comportare rischi e costi. Un articolo di Mattioli e Scalia dà una panoramica dei limiti del documento.

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Articolo pubblicato sul n.1/2018 della rivista bimestrale QualEnergia

Sintetizziamo le osservazioniche il Centro Interuniversitario di Ricerca Per lo Sviluppo Sostenibile (Cirps) e la Commissione Scientifica sul Decommissioning dell’Associazione “Sì Fer, No Nuke” hanno presentato ai Ministri competenti nell’ambito della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (Vas) del Programma Nazionale del Governo (emanato il 27 giugno 2017).

Le osservazioni sono state elaborate insieme al prof. Giorgio Parisi, al dott. Paolo Bartolomei e all’ingegner Roberto Mezzanotte, recentemente scomparso e alla cui memoria va con affetto il nostro pensiero.

Rileviamo preliminarmente che manca nel testo un’enunciazione dei princìpi fondamentali cui ci si è attenuti, in una materia nella quale, per i rischi, per i costi e per la complessità scientifica, le scelte non appaiono certo facili.

Manca dunque nell’impostazione lo sforzo di fornire un quadro chiaro delle scelte attuative di questi princìpi, sia generali sia più specifici, assunti come fondamentali, ai quali occorre ispirarsi:

  • proteggere la salute umana;
  • proteggere l’ambiente e la biodiversità;
  • proteggere i territori oltre frontiera;
  • assicurare, in ogni fase, il rispetto dei princìpi della radioprotezione da quello sulla giustificazione;
  • garantire la sicurezza degli impianti dedicati alla gestione dei rifiuti radioattivi, per il tempo di vita degli stessi;
  • assicurare il controllo e la minimizzazione della produzione dei rifiuti radioattivi;
  • assicurare una gestione integrata dei rifiuti radioattivi;
  • assicurare al pubblico l’accesso a tutte le informazioni pertinenti;
  • favorire la partecipazione dei cittadini alle decisioni di merito;
  • proteggere le future generazioni e non gravarle di oneri;
  • disporre di un adeguato sistema legislativo e regolamentare nazionale, nonché di un efficace sistema di controlli che assicuri la prevenzione e rilevi prontamente le eventuali violazioni.

Manca ancora, come lettura conseguente del quadro generale, l’enunciazione di linee progettuali di ricerca, magari in un quadro Europeo. Infatti, l’Unione Europea sta preparando un programma comune europeo di ricerca, Ejp ­ 2018-2025, per la risoluzione di questioni tecnico-scientifiche ancora aperte per lo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi di alta attività e lunga vita, come richiesto dalla Direttiva Europea 2011/70.

Non partecipare a questo programma sarebbe una scelta profondamente sbagliata, che danneggerebbe la comunità scientifica italiana come anche la stessa Sogin ­ la società pubblica incaricata del decommissioning, e che ne avrebbe invece assai bisogno ­ che sarebbero escluse dai futuri progetti.

L’aspetto insoddisfacente dal punto di vista scientifico si riscontra anche nell’organizzazione dei dati, ordinata generalmente più per posizione geografica che per fisica dei radionuclidi, così che anche nel Rapporto Ambientale la specificità del problema della radioattività viene “diluita” all’interno di tutte le altre questioni ambientali.

Questa mancanza, un po’ in tutti gli ambiti, di uno sforzo ordinatore si ritrova anche nel quadro legislativo e regolamentare che si riduce sostanzialmente a un elenco delle leggi e dei decreti legislativi vigenti, senza un’articolata ricostruzione storica che mostri la ratio delle norme nell’ambito dei problemi da affrontare.

Venendo a osservazioni più puntuali, manca uno scadenzario per i programmi di decommissioning. Anche se il Governo si è distinto riguardo alle previsioni irrealistiche, come mostra l’iter del Deposito nazionale fermo da due anni alla pubblicazione della Carta delle Aree (Cnapi), una tempistica andrebbe invece articolata perlomeno per i punti più critici del programma di smantellamento, quali:

  • il trattamento delle resine di Caorso (Emilia-Romagna) e di Trino (Piemonte);
  • la realizzazione dell’impianto Cemex per il condizionamento dei rifiuti liquidi di Saluggia (Piemonte);
  • il condizionamento del “prodotto finito” e la messa in sicurezza del combustibile “Elk River” nel centro della Trisaia (Basilicata).

Ancora insoddisfacente è l’inventario dei rifiuti radioattivi, che dovrebbe invece rappresentare il principale dato di riferimento per la redazione del programma nazionale. Si è superata la fase di confusione alimentata dall’esistenza di due stime effettuate dall’Iapra e dall’Arma dei Carabinieri, sono stati aggiunti all’inventario i rifiuti provenienti dall’attività di bonifica, ma a questa più realistica situazione mancano valutazioni più attente e approfondite degli spazi necessari per questa tipologia di rifiuti nel Deposito nazionale.

Per esempio, i soli rifiuti presenti nella discarica Capra di Capriano del Colle (BS) ­ 55mila metri cubi ­ ove fossero conferiti al Deposito nazionale occuperebbero oltre la metà del volume a tutt’oggi previsto. E manca nell’inventario, in nome di presunte norme europee, la pur ridotta quota militare dei rifiuti radioattivi, come quelli del reattore “Galilei” di San Piero a Grado; al contrario, la Francia, pur essendo dotata di armi nucleari, li ha inseriti.

Assente infine la valutazione dei rifiuti radioattivi provenienti da cicli tecnologici “non nucleari”, i cosiddetti Norm e Tenorm, per i quali vanno previsti gli adeguamenti dettati dal recepimento della nuova normativa europea sulla protezione dai pericoli delle radiazioni (Ue 2013/59). L’assetto inadeguato dei contenuti di fisica dei radionuclidi emerge particolarmente nel cap. 5 dedicato alla “Gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”, ove proprio la fisica avrebbe potuto fornire criteri chiari per ordinare i problemi secondo il grado di difficoltà, l’ordine di priorità, le criticità.

Invece il documento del Governo introduce, con davvero scarsa trasparenza, la strategia per cui nel sito del Deposito nazionale per la bassa attività (Vllw, Llw) siano “temporaneamente” collocati anche la radioattività intermedia, gli Ilw (Intermediate Level Waste), e, tout court, l’alta attività.

Ora, delle caratteristiche del Deposito non vi è traccia, neanche per indicare le dimensioni o l’estensione richiesta per il sito; null’altro si dice poi per la sistemazione dei rifiuti a più alta attività nel sito, se non quella loro posizione “temporanea”.

Dare per scontata quella strategia è del tutto contraddittorio con la finalità e il senso stesso di una Vas; essa può essere, semmai, il punto di arrivo al termine della procedura di valutazione, sentiti gli stakeholder. E a proposito dell'”opzione zero” ­ i rifiuti restano dove sono ­ che la Vas deve prevedere, nessuno dei siti attuali, stando alla Guida Tecnica 29 dell’Ispra, appare oggi idoneo a ospitare il deposito definitivo dei rifiuti di bassa attività.

Manca insomma tutto, criteri, metodi e indicazioni tecnologiche per l’abilitazione del Deposito rispetto al compito suppletivo, e non davvero trascurabile, che la strategia del Governo gli vorrebbe assegnare.

Infatti, i rifiuti radioattivi intermedi, gli Ilw, sono materiali disomogenei cui spetta la volumetria più grande, destinata ad aumentare quando saranno considerati anche i rifiuti militari o a seguito di una più ampia attività di caratterizzazione radiologica. Costituiscono quindi un problema quantitativo, ma anche qualitativo, perché per una loro parte non sono state formulate delle ipotesi sul come trattarli.

Per esempio, in tutto il documento del Governo non è citato il problema dell’ingente quantitativo di grafite contaminata da 14C presente nella centrale di Latina.

Due le osservazioni fondamentali:

1) La presenza, nello stesso sito del Deposito nazionale, di rifiuti radioattivi il cui tempo di dimezzamento va assai oltre i 30 anni della bassa attività impone di informare con completezza e chiarezza popolazioni e autorità locali e territoriali che l’aggettivo `temporaneo’, usualmente impiegato per la struttura del loro contenimento, ascende a molte decadi. Questo tempo è principalmente legato agli esiti della ricerca, fondamentale, necessaria per formulare soluzioni che garantiscano il controllo e/o il confinamento sicuro degli Ilw e dell’alta attività.

2) Progettazione e realizzazione devono in ogni caso rispettare il criterio dell’irrilevanza radiologica ­ il non superamento dei 10 Sievert all’anno alla popolazione ­ che anche l’imminente normativa Europea sta assumendo come punto di riferimento nella prospettiva che i rilasci radioattivi, in particolare quelli gassosi, rispettino quel limite anche in una previsione temporale dai 300 ai 1.000 anni.

È il caso infine di osservare che riguardo alle scorie di alta attività è aperto il di-battito nella comunità scientifica se non sia preferibile ricorrere, prima che al deposito “geologico”, ad adeguate tecnologie di trattamento dei rifiuti per ridurne la pericolosità e la volumetria. Questo tema è ignorato dal Programma Nazionale.

Qualche osservazione per il cap. 6 del Documento, dedicato all’indicazione delle Responsabilità per l’attuazione del Programma, alla partecipazione e alla necessaria informazione.

Per una reale partecipazione sarebbe stato necessario predisporre strumenti efficaci (per esempio il diritto all’accesso ai dati, ecc.), dalla stessa discussione del Programma nazionale.

E sarà necessario realizzare occasioni d’informazione e divulgazione sui problemi legati alla radioattività, programmate e condivise con gli stakeholder. Ma anche informazione sull’impegno di ricerca ed economico del Governo, nel contesto Ue.

Per quanto riguarda i costi (cap. 7), essi sono stimati in: 6,5 miliardi per il decommissioning degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti presenti in essi; 1,5 miliardi per la realizzazione del Deposito nazionale. È una sottostima.

Basta guardare ai 2,6 miliardi che è costata fino a oggi la Sogin, con risultati non particolarmente brillanti, e alle sue spese fisse a carico dello Stato, per capire che nel periodo stimato per la durata delle operazioni (fino al 2030-35) 2 miliardi saranno spesi indipendentemente dal procedere delle operazioni stesse.

Sotto la voce costi è computato anche il “parco tecnologico” annesso al Deposito nazionale, previsto dalla legge vigente come centro di ricerca e, soprattutto, come “misura compensativa” per il territorio. È un retaggio della strategia di rilancio del nucleare programmato dal governo Berlusconi.

Quel quadro ora non c’è più, e dunque natura ed entità delle misure compensative dovranno scaturire dalla trattativa con la comunità che accetterà la localizzazione del deposito nazionale sul proprio territorio.

Riguardo al Rapporto Ambientale, riportiamo solo poche osservazioni. La sua caratteristica, negativa, è l’assenza sistematica di scenari alternativi, sia a quelli del Programma Nazionale, a partire proprio dalla scelta, figlia di decenni, di discussioni riguardo ad un deposito unico nazionale su metodi, tecnologie e soluzioni già disponibili per la gestione dei rifiuti radioattivi. Ma allora non è una Vas, perché non mette a confronto, come richiede la normativa vigente, tutte le diverse opzioni possibili. E non è condivisibile non aver tenuto conto, con motivazioni inconsistenti, delle osservazioni provenienti dai vari soggetti competenti (Sca) e in particolare dal Dipartimento Nucleare di Ispr, che all’epoca aveva la funzione di Autorità Nazionale sulla sicurezza nucleare.

Particolarmente carente è la parte del Rapporto ambientale sulla protezione sanitaria. Contano gli effetti di possibili inondazioni nei siti, mentre per quello che riguarda gli eventuali effetti radiologici, ci si rifà a uno studio epidemiologico tranquillizzante condotto dall’Istituto Superiore di Sanità, piuttosto che presentare le più recenti acquisizioni presenti nella letteratura. Il pensiero va all’indagine commissionata dal competente ufficio del Governo tedesco all’Università di Magonza sulle aree di tutte le centrali nucleari operanti in Germania nel periodo 1980-2003, che, tra gli altri risultati, mostrava per le leucemie infantili una correlazione tra la distanza della casa dalla centrale nucleare più vicina al tempo della diagnosi e il rischio di sviluppare una leucemia entro cinque anni dalla nascita.

L’insieme dei risultati dell’indagine, consegnato nel 2008, fu scioccante e fu senz’altro tra i motivi che indussero il Governo tedesco a programmare, subito dopo l’incidente di Fukushima, l’uscita dal nucleare entro il 2022. I due sistemi di centrali nucleari, quello tedesco e quello italiano, potranno essere incomparabili ma vogliamo mettere in risalto il diverso atteggiamento dei due Paesi, la diversa attenzione dei due Governi verso la salute dei cittadini.

In conclusione: come ha potuto il Governo assumere documenti così importanti alla presenza di tali vistose carenze?

L’articolo è stato pubblicato sul n.1/2018 dellal rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Nucleare carente”

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