Germania ok per le rinnovabili, ma in ritardo sul taglio delle emissioni

CATEGORIE:

Se i risultati ottenuti dalla Germania nella transizione energetica sul versante elettrico sono importanti, le emissioni non scendono a sufficienza così che l'obiettivo 2020 verrà mancato. Il fardello del carbone e le carenti politiche nei trasporti. Se ne è parlato nel corso del "Berlin Energy Transition Dialogue". L'editoriale di Gianni Silvestrini.

ADV
image_pdfimage_print

La Germania continua a macinare successi sulle rinnovabili, ma contemporaneamente presenta problematiche non banali col rischio di fallire l’obbiettivo sulle emissioni climalteranti al 2020.

Il Berlin Energy Transition Dialogue, organizzato recentemente dal governo tedesco, con la partecipazione di 2.000 invitati da tutto il mondo, è stata un’ottima opportunità per fare il punto della situazione.

Gli interventi iniziali dei Ministri degli esteri, dell’energia e dell’ambiente hanno sottolineato l’importanza che la Germania attribuisce alla conversione climatica dell’economia. Di più, l’evento stesso ha di fatto consacrato l’ambizione ad esercitare il ruolo di leader mondiale nella transizione verso le rinnovabili.

In effetti è la Cina che guida in valori assoluti la rivoluzione verde, ma al momento Pechino mantiene un profilo internazionale basso. E la Francia, che ambisce ad una leadership sul clima, è molto indietro nelle rinnovabili.

Il convegno ha rappresentato quindi un’occasione per capire gli orientamenti del nuovo governo tedesco a fronte di una situazione piuttosto delicata.

Da un lato, infatti, i risultati ottenuti nella transizione energetica sul versante elettrico sono significativi. La produzione delle rinnovabili lo scorso anno è stata di 210 TWh (+15% sul 2016, con un contributo di soli 20 TWh di idro), mentre le esportazioni hanno toccato 53 TWh (vedi grafico).

Nel primo trimestre 2018 il contributo delle rinnovabili ha raggiunto il 39,9% della produzione, equivalente al 44,1% dei consumi, depurando la significativa quota delle esportazioni (vedi grafico).

Le preoccupazioni per il futuro però non mancano, con la doppia sfida di chiudere tutte le centrali nucleari entro il 2022 e di ridurre il peso del carbone.

In realtà l’uscita dal nucleare (72 TWh nel 2017) sarà facilmente compensata dalla crescita delle fonti rinnovabili e dalla riduzione delle esportazioni.

Sul futuro del carbone si pronuncerà un’apposita commissione entro l’inizio del prossimo anno, anche se Peter Altmaier, il ministro conservatore responsabile dell’economia e dell’energia (un condensato di Padoan e Calenda…), ha ipotizzato un dimezzamento dei consumi entro il 2030.

Servirà, in questo scenario, un deciso rafforzamento delle interconnessioni tra le regioni del nord del paese dove si concentra la produzione eolica e quelle del sud più energivore e andrà accelerata l’attenzione sui sistemi di accumulo.

La potenza dei sistemi centralizzati di storage elettrochimico, pur essendo raddoppiata rispetto al 2016, portandosi a 230 MW, è ancora modesta ed è superata dall’accumulo distribuito, che ha raggiunto 280 MW grazie agli 85.000 impianti abbinati al fotovoltaico, un numero che quest’anno potrebbe superare quota 115.000.

Come si diceva all’inizio, c’è però un ritardo che può rappresentare un grande vulnus di immagine per la Germania. Sembra infatti impossibile che possa essere raggiunto l’obbiettivo del 40% di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020.

Come si può notare dalla successiva figura le emissioni del 2017 fanno registrare un calo del 28% rispetto al 1990, ma rimangono sugli stessi livelli del 2009.

Sotto accusa sono il ruolo ancora troppo ingombrante del carbone e l’impegno insufficiente sul fronte dei trasporti.

Il ritardo sui risultati climatici e l’impatto dello scandalo Volkswagen fanno dunque ritenere che la prossima transizione riguarderà proprio la mobilità.

Malgrado gli enormi investimenti previsti per l’elettrico, 40 miliardi € da parte della sola VW, il ritardo accumulato rischia di costare molto caro all’industria dell’auto, visti gli obblighi introdotti dalla Cina (24 milioni di auto vendute all’anno).

Significativamente Altmaier ha dichiarato “non capisco come le nostre case automobilistiche abbiano esitato così tanto a lanciarsi sull’elettrico”, aggiungendo poi: “dobbiamo essere pronti anche sul fronte delle batterie per non dipendere dai paesi asiatici o dagli Usa.”

Un’ultima nota sulla Conferenza di Berlino. A fronte della presenza di decine di ministri da tutto il mondo, era totalmente assente la politica italiana, fortunatamente compensata dall’ottimo intervento di Francesco Starace, ad Enel. Un’ulteriore dimostrazione che spesso le imprese sono più avanti della politica.

ADV
×