L’Autorità per l’energia Usa non fa più “scavare” il carbone a Trump

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La Federal Energy Regulatory Commission annulla il piano del Doe e del ministro dell'energia, Rick Perry, che consentiva, con uno stratagemma, di concedere sussidi agli impianti a carbone e atomici, ormai non più convenienti, e alle poche società che li gestivano. Una buona notizia anche per i contribuenti.

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L’Autorità federale per l’energia statunitense (Ferc) ha bocciato all’unanimità il piano di Donald Trump per il salvataggio dell’industria del carbone e del nucleare.

È stato infatti respinta la porposta presentata dal ministro Usa dell’energia, Rick Perry, di riscrivere il mercato elettrico nazionale con la concessione di sussidi, che avrebbero gravato sui contribuenti americani, alle centrali elettriche come quelle a carbone o nucleari.

L’obiettivo governativo era di rendere il sistema elettrico più affidabile, ma la ragione più evidente era di dare respiro a questi impianti non più economicamente convenienti. Insomma, alla faccia del libero mercato professato dal presidente Trump.

La Federal Energy Regulatory Commission ieri, 8 gennaio, ha quindi emesso un ordinanza (pdf) che va modificare l’avviso di settembre scorso del Dipartimento dell’Energia (Doe) in cui si uniformavano le centrali a carbone e nucleari con quelle solari, eoliche e a fonti più pulite, proponendo di sostenere economicamente quegli impianti che devono avere scorte di carburante sul sito per almeno 90 giorni. Nei fatti un provvedimento applicabile solo a quelle centrali alimentate a carbone e al nucleare.

Nella disposizione della Ferc si afferma che il Doe, che sappiamo ormai al servizio di Trump, non ha fornito alcuna prova che il pensionamento delle centrali a carbone e nucleari rappresenti una reale minaccia per l’affidabilità e la resilienza della rete elettrica, in pratica la motivazione utilizzata proprio per giustificare tale modifica di approccio economico verso gli impianti energetici del paese.

Le tariffe a favore delle centrali a carbone e nucleari sarebbero, secondo la Ferc, “ingiuste e irragionevoli”.

Una ricerca di Energy Innovation ha valutato che pagare gli impianti per avere per 90 giorni combustibile presso il sito avrebbe comportato un costo per i contribuenti fino a circa 11 miliardi di dollari. Più dell’80% dell’incremento dei costi in bolletta per i consumatori sarebbe andato per i sussidi al carbone, praticamente a favore di 5 società.

Negli Stati Uniti tra il 2010 e il 2015 gli impianti a carbone hanno rappresentato il 52% di quelli chiusi. Il crollo della generazione elettrica da carbone negli States negli ultimi anni è netto e irreversibile.

Nel grafico si vede come dalla metà del primo decennio del 2000 in poi (le cifre sono in mld di kWh) la produzione da carbone sia calata. Sono al contempo cresciuti il gas, per via del boom dei giacimenti shale gas, e le rinnovabili.

“L’annuncio della Ferc è un ritorno alla realtà dopo mesi di pressioni delle lobby miliardarie del carbone e del nucleare per il salvataggio illegale dei loro impianti non più economici”, commenta in una nota Mary Anne Hitt, direttore della campagna “oltre il carbone” di Sierra Club.

Su scala globale la domanda di carbone, secondo l’ultimo rapporto della IEA “Coal 2017” è diminuita del 4,2% nel 2016 in confronto al 2014, segnando così il declino biennale più consistente dopo quello registrato nel 90’-92’ dall’agenzia internazionale dell’energia. Tuttavia in alcuni paesi come Cina, Germania e India, questo trend è ancora da intraprendere con forza.

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