L’Ue punta a far salire il prezzo della CO2 con il nuovo accordo sull’ETS

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Raggiunta l’intesa politica preliminare tra Parlamento e Consiglio UE per il mercato del carbonio post-2020. L’obiettivo è ridurre l’eccedenza di quote invendute, favorire gli investimenti in tecnologie pulite, tutelare le industrie energivore ma senza regali al carbone. I punti principali del compromesso. Critiche ong e associazioni ambientaliste.

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La riforma del mercato europeo del carbonio (EU-ETS, Emissions Trading Scheme) è arrivata a una svolta, che però non convince le associazioni ambientaliste.

Dopo due anni di negoziati – la proposta originaria di Bruxelles è del luglio 2015 – Parlamento e Consiglio Ue hanno raggiunto un accordo preliminare sulla direttiva che regolerà il meccanismo dal 2020 in poi. L’obiettivo è ridurre del 43% al 2030 le emissioni di CO2 dei settori interessati, rispetto ai livelli del 2005.

Diverse volte, in questi due anni, le trattative si sono incagliate tra i vari paesi, tra chi vorrebbe rafforzare il più possibile il meccanismo ETS e chi, invece, vorrebbe annacquarlo, come soprattutto la Polonia, continuando così a favorire le più inquinanti centrali a carbone.

Lo scorso marzo, i ministri dell’ambiente dei 28 Stati membri avevano approvato una bozza di testo, che nei mesi successivi è stata discussa nel “dialogo trilaterale” con l’Europarlamento e la Commissione.

Il sistema ETS coinvolge oltre 11.000 impianti industriali in Europa, come cartiere, cementifici, stabilimenti petrolchimici, centrali termoelettriche. È un mercato di tipo cap-and-trade, perché stabilisce un tetto annuale per le emissioni di anidride carbonica che ogni azienda può rilasciare nell’atmosfera.

Le aziende, in parte, ricevono crediti/permessi di CO2 (allowances) gratuitamente da Bruxelles, in parte li devono acquistare in aste pubbliche o dalle industrie più virtuose, che emettono una quantità di gas serra inferiore rispetto a quella consentita.

Tuttavia, da qualche anno, il mercato non fornisce più quei segnali di prezzo in grado di stimolare gli investimenti in efficienza energetica e tecnologie pulite: la CO2, infatti, costa troppo poco, con valori che sono scesi fino a 5 € per tonnellata. La ragione principale è l’eccedenza di quote invendute.

Nel più ampio dibattito sulle politiche di carbon pricing, molti economisti ritengono che il prezzo minimo della CO2 dovrebbe partire da 30 €/tonnellata per poi aumentare gradualmente (articolo di QualEnergia.it sulle ipotesi di una tassa globale sul carbonio).

Ecco in sintesi che cosa prevede l’ultimo accordo:

  • Ridurre ogni anno il volume complessivo di crediti disponibili con un “fattore lineare” (LRF, Linear Reduction Factor) del 2,2%.
  • Raddoppiare dal 12 al 24% la “portata” della riserva stabilizzatrice del mercato (MSR, Market Stability Reserve), che nel periodo 2019-2023 assorbirà quasi un quarto dei permessi eccedenti-non allocati. Dal 2023 scatteranno altre misure per limitare la validità delle quote comprese nella riserva, cancellandone un certo ammontare.
  • Andrà all’asta il 57% dei crediti di carbonio assegnati in totale ogni anno.

Un punto particolarmente delicato riguardava come tutelare le industrie europee che consumano più energia e inquinano maggiormente, evitando il trasferimento delle attività in paesi esteri con minori restrizioni ambientali (carbon leakage).

La Polonia, in particolare, ha cercato ripetutamente di preservare le sue centrali a carbone, incluso l’impianto più “sporco” d’Europa, quello di Belchatów (vedi QualEnergia.it).

Negli anni passati, gli Stati membri più poveri, tra cui la Polonia, hanno investito miliardi di fondi europei, legati all’ETS, per sussidiare i combustibili fossili, anziché variare il mix di generazione elettrica puntando sulle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica.

I negoziatori sono infine riusciti a escludere, in linea di massima, gli impianti a carbone dalle somme elargite dal “fondo di modernizzazione energetica” (Modernisation Fund), finanziato con i proventi delle aste, con l’eccezione però dei progetti che comprendono sistemi di teleriscaldamento nelle nazioni con un reddito pro-capite inferiore del 30% alla media UE nel 2013.

Secondo le organizzazioni no-profit ambientaliste, però, l’intesa non colpisce nel segno ed è un sostanziale fallimento.

Carbon Market Watch, in una nota, osserva che dopo il 2020 le nazioni a basso reddito continueranno a ricevere moltissimi permessi gratuiti destinati alle industrie energivore, per un controvalore totale che potrebbe toccare 170 miliardi di € in dieci anni.

L’accordo, chiarisce il gruppo ecologista, “ignora l’urgenza di ridurre velocemente le emissioni di CO2 e distribuisce miliardi in sussidi inquinanti, con il risultato che il mercato europeo del carbonio non riuscirà a spronare gli investimenti in tecnologie pulite e ad abbandonare il carbone”.

Questo accordo una volta diventato formale dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Dopo l’adozione formale sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale Ue ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.

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