Petrolio: prezzi stabili e ripresa dei giacimenti shale

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Il Fondo Monetario Internazionale ipotizza che il barile rimarrà intorno a 55 dollari nel biennio 2017-2018. Questo livello di prezzo, insieme ai tagli della produzione decisi dai paesi OPEC e non-OPEC, potrebbe favorire la ripresa dei giacimenti non convenzionali negli Stati Uniti. La previsione nel nuovo World Economic Outlook.

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Prezzi stabili e poi in leggero calo, ripresa della produzione nei giacimenti non convenzionali: non c’è alcuna impennata del petrolio all’orizzonte, secondo il World Economic Outlook appena pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Il rapporto include un approfondimento (pag. 52-62, vedi allegato in basso) sulle quotazioni del barile e il ruolo dello shale oil, l’oro nero estratto dagli scisti.

I prezzi del petrolio, si legge nel documento, sono saliti negli ultimi mesi (+21% da agosto 2016) sulla scia dell’accordo siglato lo scorso novembre dai Paesi OPEC per diminuire l’output di greggio a 32,5 milioni di barili giornalieri per almeno sei mesi, partendo da gennaio 2017.

A dicembre 2016 c’era stato un incontro a Vienna tra Paesi OPEC e non-OPEC, in cui si era deciso di tagliare ancora la produzione complessiva di 0,6 milioni di barili quotidiani, con contributi anche della Russia e delle altre Nazioni. Il prezzo spot dell’oro nero così ha superato nuovamente la soglia dei 50 dollari al barile.

Cosa possiamo aspettarci per il 2017 e gli anni successivi? Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il prezzo medio rimarrà intorno a 55,2 $/barile nel 2017, segnando un incremento di quasi il 29% rispetto alla media dei dodici mesi precedenti, per poi portarsi a 55,1 $/barile nel 2018 (vedi il grafico qui sotto).

Valori stabilmente superiori a 50 dollari, sostengono gli analisti FMI, “stimoleranno gli investimenti, che dovrebbero ripartire nel 2017 dopo due anni consecutivi di consistente declino”. L’efficacia degli accordi per limitare la produzione e far risalire i prezzi, scrivono gli autori del rapporto, potrebbe essere in parte vanificata da un nuovo ciclo produttivo dei pozzi shale americani.

Le ultime stime della IEA (International Energy Agency) sulla crescita dei consumi petroliferi mondiali nel 2017 si fermavano a +1,3 milioni di barili giornalieri, che però dovrebbero essere sufficienti a riportare il mercato globale verso l’equilibrio tra domanda e offerta, dopo un lungo periodo caratterizzato dall’eccesso di forniture (oversupply).

Nei prossimi mesi, anzi, la domanda potrebbe superare l’offerta, contribuendo così a ridurre lo stock invenduto di petrolio, ammesso che i Paesi OPEC manterranno fede agli accordi di Vienna e magari decideranno di estendere i tagli alla produzione di altri sei mesi.

Tuttavia, gli Stati Uniti potrebbero approfittare di questa situazione per riprendere le estrazioni di petrolio non convenzionale, così definito perché richiede tecnologie differenti da quelle impiegate nei pozzi tradizionali: più invasive (parliamo di fracking) e con un impatto ambientale decisamente maggiore.

Come avevamo osservato in questo articolo (Petrolio: supply crunch dal 2018?) è molto difficile prevedere quale sarà l’evoluzione dei giacimenti shale.

I fattori che entrano in gioco sono molteplici: output dei pozzi convenzionali, andamento dei prezzi, consumi petroliferi, sviluppo di nuove tecnologie che permettono di abbassare i costi delle trivellazioni, stime sulle riserve “provate” di oro nero. 

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