“Efficiency First”, ma vogliamo politiche nazionali ed europee più ambiziose

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I margini di intervento nel campo dell’efficienza energetica sono molteplici e le potenzialità ampie e diversificate. Gli esempi: dalla mobilità all’illuminazione, dall’edilizia ai processi industriali. Un articolo di Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e QualEnergia, introduzione al volume "105 buone pratiche di efficienza energetica".

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Efficiency First” recitano i documenti della Commissione Europea. Perché conviene a tutti, aumenta la sicurezza energetica dei paesi, riduce le bollette delle famiglie e delle imprese, fa calare le emissioni climalteranti. 

In effetti, le politiche di efficienza energetica hanno consentito, insieme alla crisi economica, a stabilizzare i consumi di energia primaria della UE su livelli leggermente inferiori rispetto al 1990 (1.507 Mtep nel 2014 contro 1.569 Mtep, vedi figura 1).  Ma è a livello globale che si può apprezzare l’importanza crescente delle politiche per l’efficienza.

Nel 2015 l’intensità energetica mondiale, il consumo di energia per unità di Pil, si è ridotta dell’1,8%, un valore triplo rispetto alla media registrata nello scorso decennio.

Un risultato rilevante, specialmente considerando gli attuali bassi prezzi dei combustibili fossili, dovuto in particolare alla performance della Cina che ha ridotto la sua intensità energetica del 5,6% riuscendo così a contenere lo scorso anno la crescita dei consumi a meno dell’1%.

Malgrado questi miglioramenti, occorre fare molto di più. Secondo la IEA, infatti, per raggiungere gli obiettivi climatici il tasso annuo di riduzione dell’intensità energetica dovrà passare al 2,6%.

Oltre ai positivi impatti già citati su bollette, sicurezza e ambiente, ci sono altre ricadute importanti connesse con l’adozione di un obiettivo più ambizioso. Come la riduzione dei rischi di “stranded investments”, investimenti inutilizzabili.

Per ogni punto percentuale di calo dei consumi, infatti, si stima una riduzione del 2,6% delle importazioni di metano. Una politica spinta sull’efficienza consentirebbe quindi di evitare la realizzazione di infrastrutture per l’importazione di gas che rischierebbero di rimanere poi inutilizzate. 

Tanto più che, con l’entrata in vigore dell’Accordo sul Clima di Parigi, i paesi industrializzati dovranno ridefinire le proprie strategie in funzione della totale decarbonizzazione dei sistemi energetici nei prossimi 30-40 anni.

Alla luce dell’importanza attribuita all’efficienza, stupisce che la UE abbia indicato un obiettivo di riduzione dei consumi al 2030 non particolarmente ambizioso. Il prospettato taglio del 27% rispetto allo scenario tendenziale è stato criticato da più parti, tanto che lo stesso Parlamento europeo ha proposto di alzare l’asticella al 40%.

Trasporti ed edilizia in ritardo

Il settore dei trasporti, in Europa come in Italia, presenta consumi superiori rispetto ai livelli del 1990.

Nel 2013 le emissioni climalteranti UE erano infatti aumentate del 19,4% (13% escludendo la navigazione aerea internazionale). In Italia le emissioni al 2015 sono risultate del 6% superiori rispetto al 1990. Va peraltro sottolineato come, sia a livello nazionale che su scala continentale, la crisi economica abbia inciso pesantemente facendo flettere i consumi del comparto dei traporti.

Quali sono i motivi di questo andamento non coerente con gli obiettivi climatici?

I miglioramenti delle prestazioni energetiche degli autoveicoli ci sono stati, ma sono stati annullati da una serie di altri fattori, a partire dalla crescita del parco veicolare.

Va poi considerata la differenza tra i test in laboratorio e i consumi su strada. Teoricamente gli standard europei prevedevano infatti una riduzione dei consumi delle nuove auto del 22% tra il 2007 e il 2014, ma analizzando i risparmi reali questa percentuale va dimezzata.

Inoltre, le emissioni dei camion e degli autobus sono aumentate del 36% tra il 1990 e il 2000 e rappresentano ormai quasi un terzo della CO2 dei trasporti. Negli ultimi decenni, in effetti, non si è vista alcuna riduzione dei consumi specifici dei veicoli pesanti.

Passando al mondo delle costruzioni troviamo un analogo ritardo. I consumi energetici degli edifici residenziali europei infatti non si sono ridotti e oggi sono uguali a quelli del 2000. 

In realtà, i consumi per appartamento sono calati annualmente dell’1,5% e considerando solo i consumi per il riscaldamento la riduzione annua è stata anche più marcata, del 2,3%. Ma altri fattori, ad iniziare dall’aumento del numero delle abitazioni, hanno compensato la maggiore efficienza, portando ad una stabilizzazione dei consumi.

In Italia, la situazione è anche più preoccupante. Infatti nel settore domestico si è registrato un aumento dei consumi, seppur leggero, rispetto al 1990 e nel terziario questi sono raddoppiati. Complessivamente i consumi finali del settore civile sono aumentati di quasi un terzo tra il 1990 e il 2015, arrivando a rappresentare il 37% dei consumi del paese (erano il 29% nel 1990).

Per far fronte ai futuri impegni climatici si impone un deciso salto di qualità degli interventi in questi due comparti.

Trasporti ed edilizia: necessarie politiche più incisive

La proposta UE di Effort Sharing nei settori non regolati dalla direttiva sull’Emissions Trading – parliamo dei trasporti, dell’edilizia e delle piccole e medie imprese – prevede al 2030 una riduzione delle emissioni del 30% rispetto ai livelli del 2005. 

Per l’Italia la riduzione prevista è del 33%. In sostanza, nel nostro paese, malgrado gli effetti della recente crisi economica, le emissioni del settore civile e dei traporti sono aumentate negli ultimi 25 anni e dovranno calare di oltre un quinto nei prossimi 14 anni.

È chiaro dunque che occorreranno strumenti nuovi e strategie più aggressive per ottenere questi risultati.

Nel settore civile la sfida è particolarmente ardua in quanto le emissioni dovranno ridursi di un quarto entro la fine del prossimo decennio.

Per farlo si dovranno progressivamente sostituire gli interventi sui singoli appartamenti che consentono risparmi energetici dell’ordine del 15-25% con la riqualificazione spinta di interi edifici in grado di garantire una riduzione del 60-80% dei consumi di combustibili fossili. 

La necessità di questo passaggio è ormai acquisita a livello culturale e sta orientando importanti interessi. È significativa in questo senso la richiesta alla UE dell’Institutional Investors Group on Climate Change, un network di 400 investitori che gestiscono 23mila miliardi di dollari, di introdurre un obiettivo per portare l’intero parco edilizio del continente a condizioni “nearly zero energyentro il 2050.

L’impegno al 2030 è realizzabile in presenza di modelli finanziari adeguati e di una decisa innovazione nel modo di operare del mondo delle costruzioni. Abbiamo infatti obiettivi chiari da raggiungere e fondi disposti ad investire: occorre una spinta per incentivare gli interventi, renderli più semplici dal punto di vista normativo e favorire una riqualificazione dell’offerta in grado di ridurre i costi di intervento.

Chiaramente occorrerà intervenire sia sull’involucro che sulla parte impiantistica e l’abbinamento del fotovoltaico dotato di accumulo, abbinato alle pompe di calore sarà sempre più diffuso. La rivoluzione digitale sarà decisiva per ridurre tempi e costi delle riqualificazioni e per garantire il comfort termico minimizzando i consumi.

In Italia saranno disponibili dal 2017 risorse per intervenire sugli interi edifici, consentendo di aggredire l’elevata percentuale di immobili costruiti prima degli anni ‘80 con consumi energetici 2-4 volte superiori a quelli di una nuova costruzione.

Molto più problematiche nel nostro paese le possibilità di intervento degli Enti Locali che, al momento, sono bloccate dall’impossibilità di indebitamento anche quando i risparmi superano le rate dei mutui e sono garantiti da una fideiussione dall’appaltatore. 

Una follia che ha portato al fallimento di misure di sostegno ai Comuni come il Fondo Kyoto. Brutte notizie anche sul fronte di un altro importante strumento, quello dei Titoli di efficienza energetica, che risulta fortemente indebolito a causa dell’atteggiamento punitivo del GSE che ne ha inficiato la credibilità.

Come si vede, il quadro normativo italiano sul fronte dell’efficienza presenta più ombre che luci.

Anche passando al settore dei trasporti il giudizio è piuttosto negativo.

Pensiamo ad esempio alla mobilità elettrica destinata a modificare profondamente il mercato. Il nostro paese è agli ultimi posti con una percentuale di vendite dello 0,2% sul totale, molto al di sotto rispetto alla situazione della media europea, per non parlare di realtà come la Norvegia, dove un veicolo su quattro immatricolato ormai è elettrico.

Eppure, la trasformazione della mobilità avverrà ad una velocità maggiore di quanto molti avessero previsto solo pochi anni fa, grazie al rapido calo del prezzo delle batterie e alle scelte di alcuni paesi nello favorire questa transizione.

La proposta in discussione in Olanda e Norvegia di proibire la vendita di auto a combustione interna al 2025 è rilevante per l’effetto valanga che potrebbe innescare in altri paesi. Su questo fronte purtroppo l’Italia è storicamente in ritardo a causa della posizione fortemente scettica di Fiat/Fca.

Ma c’è un’altra trasformazione che sta cambiando il volto della mobilità, contribuendo a far ridurre i consumi. Parliamo della diffusione del car sharing, con 7 milioni di utilizzatori in rapida crescita su scala globale, che segnala una progressiva disponibilità a passare dalla proprietà del veicolo al suo uso.

Il vero salto di qualità avverrà con la sinergia tra queste due novità, quella della trazione elettrica e quella della condivisione dei veicoli, resa possibile dall’arrivo di una terza innovazione, ancora più impattante, quella dell’auto autonoma.

È noto che gli autoveicoli sono utilizzati solo per il 5-10% del tempo e rappresentano quindi un’enorme ricchezza sottoutilizzata. Si stima che il passaggio ad un servizio di mobilità basato sull’auto senza guidatore elettrica a servizio di più persone nell’arco della giornata potrebbe dimezzare il numero dei veicoli in circolazione.

Questa trasformazione, che inizierà nel prossimo decennio per poi estendersi in quelli successivi, è un altro esempio dei risultati ottenibili con il matrimonio tra il digitale e l’elettrico.

Tornando agli impegni dell’Italia, questo settore dovrebbe ridurre di un quinto le emissioni climalteranti al 2030. Per raggiungere questo risultato si dovrà intervenire su una molteplicità di ambiti con un mix intelligente di interventi.

Il fatto è che in questo settore, come negli altri del resto, manca una visione di medio e lungo periodo. Il governo non ha infatti ancora definito una strategia coerente con gli obiettivi climatici al 2030 e al 2050.

Disruptive technologies sul fronte dell’efficienza

Molte singole tecnologie hanno visto miglioramenti graduali. È il caso di frigoriferi e lavabiancherie che hanno registrato in Europa una riduzione del 35% dei consumi specifici dal 1990 ad oggi.

Un risultato interessante se si pensa che l’applicazione delle varie norme sull’efficienza per gli elettrodomestici ha consentito finora un risparmio a livello continentale di quasi 1.000 TWh/anno: tre volte i consumi elettrici italiani.

In altri casi i miglioramenti delle prestazioni e le riduzione dei prezzi sono stati velocissimi, tanto che alcune tecnologie sono state definite “disruptive” per l’effetto dirompente sui settori in cui vengono utilizzate.

Pensiamo alle batterie al litio dei veicoli elettrici che hanno visto un calo del 65% nell’ultimo quinquennio. Oppure all’andamento ancora più impressionante dei prezzi dei Led, con una riduzione del 94% dal 2008 (figura 2).

Questa sorgente luminosa diventerà sempre più competitiva, con prezzi che nei prossimi dieci anni saranno più che dimezzati e con prestazioni (lumen/Watt) che raddoppieranno, soppiantando gli altri sistemi di illuminazione e garantendo una forte riduzione dei consumi.

Ma il miglioramento della competitività economica e dei rendimenti energetici non sarà appannaggio solo di alcune importanti tecnologie. Anche processi complessi potranno evolvere rapidamente consentendo significative riduzioni dei consumi energetici.

Pensiamo al mondo industriale, dove l’irruzione del digitale favorirà un miglioramento delle produzioni e un uso più efficiente di energia e materiali. Un’impostazione incoraggiata da diversi paesi, incluso il nostro che ha lanciato, seppure con un certo ritardo, il programma Industria 4.0.

Anche nell’edilizia, un comparto più lento nell’accogliere le innovazioni, la digitalizzazione ha iniziato ad apportare un’accelerazione dei tempi e una riduzione dei costi. Dalla fase della progettazione alla realizzazione degli interventi, alla successiva gestione dei consumi i risultati sono stati importanti, anche se da noi le applicazioni sono ancora limitate.

Ma ci aspettano modifiche ancora più radicali come l’utilizzo dei droni per acquisire dati sugli edifici da riqualificare, l’industrializzazione della riqualificazione energetica, l’impiego di sistemi robotizzati e della stampa 3D.

Sarà possibile in questo modo dimezzare i costi e accorciare enormemente i tempi di intervento: un edificio può essere ristrutturato in una decina di giorni azzerando i consumi di gas, come insegna l’esperienza olandese di Energiesprong.

Elettrificazione e digitale: i drivers della futura riduzione dei consumi

La quota elettrica sui consumi finali è costantemente aumentata e questa tendenza si accelererà sul medio e lungo periodo, grazie in particolare ai cambiamenti previsti nel mondo dei trasporti e dell’edilizia. 

Secondo la UE la quota di energia elettrica dovrebbe passare dall’attuale 21,4% dei consumi di energia primaria al 38% nel 2050 (figura 3). E potrebbe raggiungere anche percentuali più elevate se la mobilità elettrica dovesse esplodere.

L’aspetto interessante di questa evoluzione è che essa favorirà non solo la riduzione dei consumi in termini di energia primaria, stimata nel 27% a metà secolo, ma una drastica riduzione delle emissioni climalteranti visto il ruolo crescente della quota di elettricità verde.

Come abbiamo visto negli esempi riportati, dalla mobilità all’illuminazione, dall’edilizia ai processi industriali, sarà proprio l’abbinamento tra l’elettrificazione e le potenzialità del digitale a favorire una decisa riduzione dei consumi energetici.

Per finire, considerata la diffusione delle applicazioni informatiche, è bene puntare i riflettori anche sulla loro fame di energia. Nel 2013 i soli Data Centers attivi negli Usa hanno consumato 91 TWh, pari alla produzione di una trentina di centrali di media dimensione e la domanda elettrica potrebbe raggiungere 140 TWh alla fine del decennio.

Eppure esistono ampli margini di miglioramento: se anche solo la metà del potenziale tecnico di risparmio venisse catturato, i consumi si potrebbero infatti ridurre del 40%. 

I margini di intervento nel campo dell’efficienza sono dunque molteplici e le potenzialità sono ampie e diversificate, come anche gli esempi riportati in questo libro dimostrano (“105 buone pratiche di efficienza energetica“, vedi sotto, ndr).

L’auspicio è che a livello nazionale come su scala europea vengano adottate politiche incisive e adeguate alle sfide che dobbiamo affrontare. Perché abbiamo tutti da guadagnarci.

Questo articolo è l’introduzione al volume “105 buone pratiche di efficienza energetica” a cura del Gruppo di Lavoro “Efficienza energetica” di Kyoto Club (collana KyotoBooks, Edizioni Ambiente), in uscita prima di Natale.

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