Dal carbone al solare, come può spostarsi la forza lavoro

L’occupazione nei vari settori delle tecnologie energetiche rinnovabili cresce rapidamente e sorpassa, in molti casi, il numero di addetti occupati nelle fonti fossili. Come riqualificare e ricollocare i “colletti neri” è una delle sfide più importanti nel nuovo mercato mondiale del lavoro. Il caso degli Stati Uniti.

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Il boom del fotovoltaico e la crisi del carbone: due situazioni opposte che negli Stati Uniti riassumono molto bene il passaggio dalle fonti fossili alle rinnovabili, con tutte le difficoltà e le incongruenze che possono trovarsi nel mezzo. Ad esempio pensiamo al forte sviluppo degli idrocarburi non convenzionali attraverso il fracking.

Quali sono le conseguenze della transizione energetica sull’occupazione? A gennaio avevamo citato i dati del National Solar Job Census 2015, secondo cui gli addetti del fotovoltaico USA erano cresciuti del 20% lo scorso anno rispetto ai dodici mesi precedenti: ben 209.000 in totale, superando così il numero di persone impiegate nell’estrazione di petrolio e gas, stimate in circa 187.000 alla fine del 2015.

Riqualificare gli occupati nelle fonti fossili

Guardando poi alla sola installazione di sistemi fotovoltaici, gli addetti erano 120.000, mentre l’estrazione di carbone dava lavoro a 68.000 americani. Proprio sul braccio di ferro solare/carbone è uscito un nuovo studio di due atenei a stelle e strisce, Michigan Technological University e Oregon State University, pubblicato su Energy Economics.

I ricercatori hanno esaminato i rispettivi mercati del lavoro per capire se, nei prossimi 15 anni, l’industria del fotovoltaico potrà assorbire i “colletti neri” della fonte fossile in declino. Molti impianti a carbone stanno chiudendo o sono destinati a chiudere/ridurre le attività, per una serie di ragioni: limiti più severi imposti dall’EPA alle emissioni inquinanti, concorrenza del gas naturale e delle tecnologie rinnovabili.

Perfino un colosso come Peabody è dovuto ricorrere al Chapter 11 della legislazione fallimentare USA, per chiedere una ristrutturazione del debito, con tanto di corollario di documenti che dimostrano pagamenti sottobanco, indirizzati a varie organizzazioni che negano l’influenza delle fonti fossili sui cambiamenti climatici.

Secondo i ricercatori delle due università è assolutamente possibile ricollocare i lavoratori del carbone nella filiera del fotovoltaico, a patto però di predisporre adeguati corsi di formazione professionale. Va detto che molti ‘colletti neri’ possiedono capacità e abilità trasferibili da un settore all’altro, ad esempio competenze di meccanica ed elettronica.

Riqualificare i posti di lavoro persi nelle fonti tradizionali (gas, carbone, petrolio) per convertirli in nuovi green jobs è una sfida che si può vincere, affermano gli autori dello studio universitario, Edward Louie e Joshua Pearce, dopo aver analizzato i rispettivi salari medi e i costi per frequentare i corsi di formazione tecnica.

I nuovi colletti verdi

Proviamo ad allargare un po’ l’orizzonte aiutandoci con gli ultimi dati IRENA sugli addetti nel settore delle rinnovabili nel mondo. Stando all’International Renewable Energy Agency, le persone occupate direttamente o indirettamente nelle energie green hanno superato quota 8 milioni alla fine del 2015, escludendo il grande idroelettrico, che vale almeno un altro milione e 300.000 impiegati complessivi.

Va detto che questi numeri riguardano solamente le filiere dell’energia e quindi escludono tutti quei lavori che rientrano in una definizione più ampia di economia verde o circolare, ad esempio il riciclo/riutilizzo dei materiali, il packaging sostenibile, i trasporti ecologici e così via.

Altrimenti le cifre sarebbero molto più alte: ricordiamo che solo in Italia nel 2014, secondo il rapporto di GreenItaly-Fondazione Symbola uscito lo scorso autunno, erano 372.000 le imprese manifatturiere o dei servizi che avevano già investito in prodotti e tecnologie verdi, o intendevano farlo entro la fine dell’anno. Il 15% delle assunzioni previste nel 2015 era nell’alveo dei green jobs, pari a circa 74.700 addetti, che sarebbero saliti a 294.000 contando anche le richieste di competenze verdi più generiche.

Tornando a IRENA, l’agenzia evidenzia il caso degli Stati Uniti, dove nel 2015 l’occupazione nel campo delle rinnovabili è cresciuta complessivamente del 6%, a fronte di un netto calo degli addetti per l’estrazione di petrolio e gas e nelle attività di supporto (-18% sul 2014).

Numeri che arrivavano dal Bureau of Labor Statistics, poi ripresi da Devashree Saha e Mark Muro nelle loro analisi sull’andamento del settore: oltre 115.000 lavori persi in un anno per il calo di produttività dei pozzi, la chiusura di molti giacimenti e minori attività di ricerca/esplorazione di risorse fossili.

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