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Elezioni americane, programmi elettorali a confronto su clima ed energia

Mentre Donald Trump e i repubblicani negano il problema climatico e difendono le fossili, nel programma politico di Hillary Clinton ci sono varie misure per l'energia pulita. Ma è il suo rivale democratico Bernie Sandres a esprimersi con più chiarezza per la fine dell’epoca di nucleare e petrolio.

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Sono tante le questioni di carattere energetico che il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà gestire. Si va dalle politiche per il rispetto degli impegni presi alla COP21 di Parigi, alle richieste della lobby petrolifera per una veloce approvazione di nuove perforazioni (a terra e in mare) che potrebbero avere un impatto ambientale incalcolabile, fino allo sviluppo della mobilità elettrica e delle rinnovabili come risposta a un prezzo del petrolio che, secondo numerosi analisti, non potrà rimanere ancora a lungo ai valori di questi mesi.

E c’è poi la questione del Clean Power Plan, il contestatissimo piano dell’amministrazione Obama per porre dei limiti alle emissioni di gas serra del parco elettrico del Paese (-32% al 2030 rispetto ai valori del 2005) e che è stato bloccato, almeno per ora, dalla Corte Costituzionale.

Visto che gli Stati Uniti sono sopravanzati solamente dalla Cina per le emissioni di CO2 e il consumo di energia, è evidente che le decisioni prese a Washington hanno un impatto rilevante sul sistema energetico globale e potrebbero spingere l’Unione Europea a definire target più coraggiosi per efficienza e rinnovabili, rispetto a quelli odierni. Vale quindi la pena analizzare le proposte dei candidati in corsa per le presidenziali del prossimo autunno e ci soffermeremo sui due candidati che stando alla situazione odierna sembrano avere più possibilità di successo: Hillary Clinton per i Democratici e Donald Trump per i Repubblicani.

Trump e la “bufala” del Global Warming

Non è difficile capire il “Trump pensiero” sui cambiamenti climatici: Trump ha definito una bufala il fatto che il clima stia cambiando a causa dell’intervento umano. Secondo lui, «la tesi del riscaldamento globale si basa su teorie scientifiche sbagliate e dati manipolati e non si può distruggere la competitività delle fabbriche americane per prepararsi a un inesistente global warming».

Le tesi di Trump sul clima non si discostano comunque molto da quelle degli altri candidati repubblicani alla presidenza: nessuno fra essi sostiene che i cambiamenti climatici siano opera dell’uomo.

Un pensiero condiviso dalla leadership repubblicana, ma non dagli elettori del partito: fra chi vota repubblicano è ormai diffusa l’idea che sia arrivato il momento di ridurre le emissioni di gas serra, come ha mostrato un sondaggio del 2015 del New York Times, secondo cui il 51% degli elettori repubblicani sostiene che il Governo Federale dovrebbe attivarsi per affrontare i cambiamenti climatici.

Trump non ha ancora elaborato una vera e propria proposta di politica energetica e nella sua campagna elettorale punta soprattutto su temi come lo stop all’immigrazione clandestina, la difesa dell’emendamento della Costituzione che garantisce il possesso delle armi e la cancellazione della riforma sanitaria di Obama. Ha sostenuto che sarà necessario sviluppare ulteriormente l’industria nazionale delle fonti fossili per rendere più competitivo il Paese.

Ha anche affermato che una volta eletto provvederà a smantellare l’EPA (Environmental Protection Agency), l’agenzia federale che si occupa di protezione ambientale e che ha avuto un ruolo fondamentale in questi anni nello sviluppo della green economy (tra le altre cose è l’ente che dovrà attuare il Clean Power Plan).

Clinton, amica di rinnovabili e del clima

Molto più articolata (e condivisibile) la proposta della Clinton in tema di energia. Già in occasione del primo giorno di un suo eventuale mandato, la Clinton ha promesso di definire vari obiettivi a dieci anni: generare tanta energia da fonti rinnovabili da soddisfare per intero il fabbisogno elettrico di tutte le famiglie americane, aumentare di un terzo l’efficienza degli edifici pubblici e residenziali, ridurre di un terzo il consumo di petrolio e installare mezzo miliardo di moduli solari per raggiungere 140 GW di potenza installata (quest’ultimo target entro la fine del primo mandato).

Si tratta di un piano energetico, basato sugli impegni sottoscritti dagli Stati Uniti alla COP21 di Parigi, con cui il Paese si impegnerebbe a tagliare del 25% entro il 2025 le emissioni di CO2 rispetto ai valori del 2005 e dell’80% al 2050. Entrando più nel concreto, i pilastri della politica di Hillary Clinton in favore delle rinnovabili sarebbe due. Da un lato difendere ed estendere il Clean Power Plan e dall’altro lanciare un Clean Energy Challenge, un’iniziativa da 60 miliardi di dollari che avrebbe l’obiettivo di coinvolgere gli Stati, le città e le comunità rurali nello sviluppo delle rinnovabili a livello locale grazie a un ventaglio di iniziative: incentivi, detrazioni fiscali, premi per le comunità solari.

Ma la Clinton è amica anche delle lobby delle fossili?

La Clinton ha anche affermato che se eletta dirà stop ai sussidi alle aziende delle fossili, si opporrà a nuove perforazioni nell’Atlantico e nell’Artico, ma sarà interessante vedere come la prenderanno le aziende petrolifere e del gas che stanno attivamente contribuendo a finanziare la sua campagna elettorale: secondo Greenpeace, Hillary ha ricevuto almeno 270.000 dollari da queste aziende.

A una precisa domanda in merito, ha risposto che si tratta di una quota insignificante rispetto ai 120 milioni complessivi che ha raccolto finora. Più delicata la situazione della Clinton Foundation, la fondazione di famiglia che promuove progetti di sviluppo sociale e ambientale nel terzo mondo e da cui Hillary si è dimessa una volta scesa in campo per la campagna presidenziale. Creata nel 1997, la fondazione ha raccolto finora qualcosa come due miliardi di dollari da governi di tutto il mondo (Italia inclusa) e da diverse multinazionali, fra cui anche aziende delle fossili. La Fondazione non sta finanziando direttamente la campagna della Clinton, ma non è chiaro se e come il mondo degli affari che ruota intorno alla Fondazione potrà influire sulle future decisioni di un’eventuale amministrazione di Hillary.

Per la cronaca, le donazioni delle aziende petrolifere stanno andando in larga parte ai candidati repubblicani, in particolare a Ted Cruz che ha ricevuto finora oltre 700.000 dollari. Donald Trump ha ricevuto solamente 8.000 dollari dalle aziende delle fossili, ma il multimiliardario sta auto-finanziando la sua campagna.

I temi su cui Clinton è tiepida e le proposte di Bernie Sanders

Rimane il fatto che la Clinton continua a ripetere quanto sia ancora prioritario il sostegno a una produzione interna e sostenibile di fonti fossili per garantire gli approvvigionamenti energetici del Paese. Un esempio su tutti: la Clinton non vieterà le attività di fracking. Se eletta, darà la possibilità alle comunità locali di dire no ai progetti di fracking, ma ha ripetuto che ci possono essere aree in cui il fracking dovrà essere sviluppato per garantire il fabbisogno domestico di energia.

Se il suo rivale democratico Bernie Sanders propone una moratoria sui nuovi impianti nucleari, la Clinton sostiene che il nucleare rappresenterà una fonte importante nei prossimi decenni per raggiungere una società carbon-free. Infine, alla base della proposta politica di Sanders c’è l’introduzione di una carbon tax che colpirebbe in primo luogo le aziende delle fonti fossili, una proposta che non è invece sostenuta dalla Clinton.

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