Riscaldamento a legna e pellet, l’Italia insegue le tecnologie più efficienti

Il nostro Paese sta ancora discutendo su come disciplinare la certificazione ambientale di stufe e caldaie domestiche a pellet e legna. E in un quadro normativo molto frammentato, il turnover tecnologico verso gli impianti più efficienti e meno inquinanti non riesce a decollare come potrebbe.

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Quanto inquinano gli impianti domestici di riscaldamento a biomasse? Quanto sono efficienti le varie tecnologie e quali sono le probabili evoluzioni delle norme sui limiti di emissione? Abbiamo interpellato alcuni esperti per fare un po’ di chiarezza. Partiamo dall’inquinamento atmosferico.

Come spiega Guido Lanzani, responsabile qualità dell’aria di Arpa Lombardia, «dai dati dell’inventario delle emissioni Inemar, risulta che il 45% del Pm10 primario proviene dal macro settore riscaldamento. Tuttavia, ben il 97% di questo Pm10 deriva dalla combustione della legna, soprattutto in piccoli apparecchi.

Ciò non deve stupire: anche se il calore prodotto con questa fonte nella nostra regione è circa il 7% del totale (il combustibile più diffuso è il metano), i fattori di emissione di stufe e caminetti sono, a parità di calore generato, molto superiori a quelli delle caldaie alimentate a metano».

Lo standard nazionale che manca e l’esempio della Lombardia

L’Italia non ha ancora approvato uno standard nazionale per l’utilizzo di legna e pellet nel piccolo riscaldamento domestico. Così il riferimento è dato dalle norme tecniche UNI EN per la certificazione degli impianti e delle relative prestazioni energetiche, afferma Maria Rosa Virdis, responsabile del servizio Studi-Aspes di Enea.

Tuttavia, chiarisce l’esperta, «per quanto riguarda gli standard emissivi accettati esiste una grande variabilità fra Paesi e spesso all’interno dello stesso Paese, fra una Regione e l’altra, a causa delle normative regionali».

In Lombardia, evidenzia poi Lanzani, negli agglomerati di Milano, Bergamo e Brescia è vietato utilizzare stufe e caminetti con un rendimento inferiore al 63% o con emissioni di monossido di carbonio superiori allo 0,5% (al 13% di ossigeno), se è disponibile un sistema di riscaldamento alternativo. Inoltre, i nuovi apparecchi installati dal primo agosto 2014 in tutta la Lombardia devono rispettare dei valori minimi di rendimento: 75-85% se si tratta di stufe e caminetti chiusi (rispettivamente a legna e pellet), mentre tali valori salgono a 80-90% per caldaie, termostufe e termocamini.

Germania e Austria

Nella variabilità europea di norme e regole, secondo Lanzani, si distingue la Germania, «dove esiste una norma che ha fissato specifici limiti emissivi anche sul particolato, oltre che sul rendimento degli apparecchi e sul monossido di carbonio, prevedendo anche un percorso virtuoso con limiti via via più restrittivi negli anni».

Stiamo parlando della BimSchV, le cui più recenti modifiche (la seconda fase del provvedimento è scattata il 1° gennaio 2015) interessano gli apparecchi termici di potenza nominale medio-piccola, come stufe a legna e in maiolica, inserti, cucine economiche e camini aperti.

L’Austria è un altro Paese che ha adottato provvedimenti severi. Stiamo parlando, in questo caso, dell’art. 15a B-VG che stabilisce i requisiti per i piccoli impianti casalinghi fino a 50 kW di potenza. I valori-limite per le varie sostanze inquinanti, con funzionamento a pieno carico, sono tra i più bassi d’Europa; il rendimento termico obbligatorio è aumentato lo scorso anno (80% da gennaio 2015 per legna e pellet, in precedenza era 78%).

I ritardi italiani

L’Italia, invece, sta ragionando sulle biomasse per il riscaldamento domestico con dieci anni di ritardo, evidenzia Valter Francescato, direttore tecnico di Aiel (Associazione italiana energie agroforestali). Difatti, il ministero dell’Ambiente e quello dello Sviluppo economico devono ancora trovare l’intesa sul decreto per l’attuazione dell’art. 290 del decreto legislativo 152/2006, il cosiddetto Testo Unico Ambientale.

L’obiettivo del provvedimento è disciplinare l’installazione e la certificazione ambientale degli apparecchi termici domestici, ispirandosi ai principi della direttiva europea Eco design. I generatori a biomasse, quindi, saranno classificati in cinque categorie, basate sui livelli di rendimento ed emissioni.

Il ritardo italiano, secondo Francescato, è lampante anche nella raccolta e analisi dei dati. L’Austria, afferma il direttore tecnico di Aiel, ogni anno, da 35 anni, rileva l’intero parco installato, dai camini alle caldaie; la Germania è partita nel 1995, mentre il nostro Paese ha realizzato la prima indagine statistica (Istat) solo nel 2013.

Si rallenta l’adozione di tecnologie più pulite

È questa forte incertezza, sottolinea Francescato, a rallentare il turnover tecnologico verso le migliori soluzioni disponibili, come le moderne stufe e le più evolute caldaie automatiche a pellet, legna e cippato, in grado di raggiungere una qualità della combustione molto elevata e, di conseguenza, un basso livello di emissioni di Pm10.

Anche il pellet certificato ENplus consente di ridurre le emissioni inquinanti, a patto però di saperlo promuovere, magari con un’aliquota Iva agevolata rispetto al pellet non certificato.

Il salto tecnologico da compiere emerge in modo chiaro dagli ultimi dati elaborati da Aiel: nel 2015, gli apparecchi tradizionali a legna hanno generato l’83% del Pm10 complessivamente prodotto dalla combustione residenziale, circa 38.000 tonnellate su 46.000, secondo i calcoli dell’associazione. Mentre le stufe a pellet, pur costituendo il 20% del parco installato, sono responsabili soltanto del 5% delle emissioni cumulative.

Così quei provvedimenti “vieta tutto” intrapresi da alcuni Comuni, conclude il direttore tecnico di Aiel, «che mettono sullo stesso piano un caminetto aperto con una stufa a pellet o a legna di ultima generazione o una moderna caldaia, vanno nella direzione sbagliata. Oltre a essere inefficaci per il miglioramento della qualità dell’aria, causano ingenti danni sia alle industrie del settore, che hanno fortemente puntato sull’innovazione dei prodotti, sia ai cittadini che hanno investito nelle più costose e performanti tecnologie».

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