Fossili, ecco i sussidi pubblici dell’Italia (e dei G20) alle fonti climalteranti

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Da anni promettono di eliminarli gradualmente, ma i 20 grandi del mondo spendono ancora ogni anno 452 miliardi di dollari in sussidi alla produzione di petrolio, carbone e gas. In Italia gli aiuti alle fonti sporche, sempre considerando solo la produzione, arrivano a 2,7 miliardi di euro.

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Dal 2009 i G20 promettono di eliminare gradualmente i sussidi alle fonti fossili, ma, pur essendoci stato qualche progresso, petrolio gas e carbone continuano a ricevere una valanga di soldi pubblici dai venti grandi paesi della Terra: solo per la produzione sarebbero pari a 452 miliardi di dollari l’anno.

Questo, nonostante la scienza ci dica che per evitare il disastro climatico almeno tre quarti delle riserve fossili mondiali debbano rimanere sotto terra e nonostante gli investimenti ad alta intensità di CO2 rischino di rivelarsi dei buchi nell’acqua se si metteranno in atto le politiche necessarie a rallentare il global warming. In tutto questo l’Italia non è da meno e continua a promuovere le fonti sporche con esenzioni fiscali, investimenti pubblici e sussidi distorti per diversi miliardi di euro l’anno.

A mostrare come stanno andando le cose sono le ong Oil Change International e Overseas Development Institute in un nuovo reportEmpty promises G20 subsidies to oil, gas and coal production” (vedi allegati in basso).

Quando si parla di aiuti alla fossili le stime sono spesso diverse, perché le strade degli aiuti pubblici a gas petrolio e carbone sono tantissime, non sempre ben tracciabili, anche perché le catene di appovviggionamento sono molto lunghe: ad esempio la IEA stima che a livello mondiale gli aiuti arrivino a 550 miliardi di dollari all’anno, mentre il FMI – che conta anche i danni ad ambiente e salute scaricati sulla collettività – parla di una cifra 10 volte superiore: 5.300 miliardi di dollari all’anno.

A livello italiano, Legambiente – che conteggia anche molti incentivi sul consumo – stima circa 17,5 miliardi di euro l’anno, mentre questo report ritiene che i sussidi alla produzione di combustibili fossili in Italia arrivino a 2,7 miliardi di euro l’anno.

Il dossier, infatti, si limita a considerare tre tipi di incentivo alla produzione: la spesa diretta, anche tramite esenzione fiscale, che a livello dei G20 vale 78 miliardi di dollari sui 452 totali, gli investimenti delle società a maggioranza pubblica (286 mld di $) e i finanziamenti tramite banche o altre istituzioni finanziarie pubbliche (88 mld di $).

Come si vede nel grafico sotto, quello delle fossili è un settore in cui la partecipazione pubblica conta ancora tantissimo e questo ci fa capire quanto sia difficile arrivare alle politiche che servono veramente per il clima, che dovrebbero partire con l’obiettivo di lasciare sotto terra gli idrocarburi.

La situazione, mostra il report, sta migliorando in alcuni Paesi soprattutto per quel che riguarda gli incentivi al consumo, ma sul versante produzione il sostegno pubblico resta massiccio: ad esempio nel 2013 e 2014 il Giappone ha fornito in media 19 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti pubblici internazionali per la produzione di carbone, petrolio e gas; la Corea del Sud ha dato finanziamenti per oltre 10 miliardi l’anno; la Cina 17 miliardi l’anno, gli Usa 20. Londra, mentre taglia gli incentivi al fotovoltaico, (oltre a sovvenzionare generosamente il nuovo nucleare) nel 2015 ha introdotto una nuova serie di agevolazioni fiscali per i combustibili fossili che costeranno ai contribuenti britannici 27 miliardi di dollari in 5 anni.

Interessante anche l’analisi sull’Italia (secondo allegato in basso). Pur non essendo uno dei principali produttori di combustibili fossili, il sistema energetico italiano – si legge – è altamente dipendente dai combustibili fossili, per l’88% della domanda di energia.

Molti i modi in cui l’Italia aiuta l’industria delle fossili. Si va dagli sgravi per i sistemi elettrici delle piccole isole, ad altri più difficili da quantificare (e non conteggiati) come le royalty sull’estrazione di idrocarbuti, molto basse rispetto al contesto internazionale, passando per diverse agevolazioni fiscali, i Cip6 e gli aiuti alle cosiddette assimilate (la spesa più grossa) e il sostegno ad un impianto di rigassificazione off-shore, l’OLT di Livorno che non è operativo. In totale con questi vari meccanismi nel 2013 e nel 2014 sono andati 1,2 miliardi di dollari, cioè oltre 930 milioni di euro per ciascuno dei due anni (vedi tabella con dettagli).

Ci sono poi i finanziamenti pubblici internazionali per la produzione di combustibili fossili, attraverso partecipazioni e acquisizioni in società petrolifere e gasiere della CDP e della SACE: 1,5 miliardi di dollari all’anno (mentre non si contano gli investimenti in fossili di Eni ed Enel, partecipate pubbliche ma solo rispettivamente al 30 e al 31%). Altri 757 milioni di dollari alla produzione di combustibili fossili vengono spesi attraverso le partecipazioni in banche multilaterali di sviluppo, per un totale di 2,3 miliardi di dollari (1,75 miliardi di euro, qui tabella con dettaglio).

Tirando le somme di quanto sopra, il nostro Paese spende per promuovere le fossili almeno 3,5 miliardi di dollari all’anno, cioè 2,7 miliardi di euro.

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