L’energia solare da condividere, anche senza un tetto

Una cooperativa che trasforma i soci in autoproduttori di elettricità a distanza, grazie a due parchi fotovoltaici. L’obiettivo è creare una comunità aperta a più progetti e a diverse tecnologie di energie rinnovabili. Vediamo quali potrebbero essere le opportunità e i possibili inconvenienti di questo modello.

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Autoprodurre energia verde a distanza, senza installare pannelli fotovoltaici sul tetto di casa. Ridurre così la bolletta elettrica domestica e diventare a pieno titolo un investitore nelle fonti rinnovabili.

Anche in Italia si sta iniziando a sviluppare un modello di “energy sharing” basato sulle cooperative, che all’estero è consolidato già da diversi anni. Un esempio particolarmente rilevante è la cooperativa belga Ecopower, fondata nel 1991: oggi conta oltre 40mila soci che possiedono turbine eoliche per oltre 22 MW di potenza e più di 300 parchi fotovoltaici per complessivi 2,2 MW di capacità installata (c’è anche una piccolissima frazione di mini idroelettrico). Oppure la danese Middelgrunden, nata nel 1996, proprietaria di una centrale eolica offshore a Copenaghen.

Il solar sharing in Italia

In Italia esperienze di questo tipo sono ancora molto rare. Troviamo parecchie cooperative nelle zone montane, soprattutto in Alto Adige e in Carnia, che tuttavia possiedono, oltre agli impianti di produzione elettrica, anche le reti di distribuzione (si veda il caso di Prato allo Stelvio, ndr). Così i membri di quelle realtà riescono a pagare l’energia fino al 70% in meno rispetto ai prezzi normali. Molto diversa è l’iniziativa lanciata di recente da ForGreen, in partnership con LifeGate.

È un progetto di solare condiviso che sfrutterà due impianti fotovoltaici a terra da 1 MW in Puglia, nelle località di Ugento e Racale (Lecce). Operativi dal 2010-2011, stanno producendo in media un milione e mezzo di kWh l’anno, ottenendo gli incentivi del secondo Conto energia (la tariffa originaria di 0,346 euro/kWh però è scesa a 0,318 dal primo gennaio 2015, per effetto del decreto spalma-incentivi).

«Nel 2009 abbiamo iniziato a ragionare sull’idea di condividere gli impianti solari, dando l’opportunità alle famiglie di autoprodurre e consumare energia pulita», spiega Gabriele Nicolis, direttore marketing di ForGreen. «Così nel 2011 è partita la cooperativa Energyland, con 89 soci nel veronese. Due anni dopo, abbiamo replicato quell’esperienza con Energia Verde WeForGreen per la Masseria del sole a Lecce, che ha riunito 133 famiglie di 16 regioni diverse, sempre con lo stesso modello cooperativistico».

Nel 2015 è arrivato il momento della terza iniziativa, WeForGreen Sharing, che rispetto alle precedenti ha qualche ambizione in più. Innanzitutto, non è un progetto chiuso, pensato cioè per mantenere lo stesso numero di soci fino al termine della vita utile del parco fotovoltaico.

La nuova cooperativa sarà più aperta, con l’obiettivo di raccogliere 350 soci per le fattorie del sole di Ugento e Racale, salendo poi ad almeno 600 nel biennio 2016-2017, grazie all’ingresso di altri ‘impianti verdi’ nel portafoglio del gruppo. Magari di tecnologie diverse dal solare, come l’eolico e il piccolo idroelettrico, e con un possibile allargamento della cooperativa a nuovi servizi di condivisione, per esempio il car-sharing elettrico.

Il traguardo finale è tessere una rete capace di aggregare un numero crescente di cittadini, diventando un polo di riferimento per la condivisione dell’energia prodotta con le fonti rinnovabili.

Come funziona la cooperativa: vantaggi e rischi

Come funziona esattamente questo modello di solare condiviso? È Gabriele Nicolis, ora in veste di presidente della cooperativa WeForGreen Sharing, a illustrare le sue caratteristiche. L’iniziativa è di tipo imprenditoriale e quindi presuppone un investimento iniziale, commisurato al proprio fabbisogno energetico. Una famiglia acquista un certo numero di quote del progetto; ciascuna quota corrisponde a una porzione dell’impianto fotovoltaico e quindi a una determinata generazione di elettricità.

La cooperativa, spiega Nicolis, «produce energia e la vende a un operatore grossista del mercato, che a sua volta la rivende ai soci. Questo doppio scambio comporta due vantaggi: il primo è che i soci ricavano tariffe elettriche molto competitive e riescono così ad avere bollette più leggere rispetto ai loro contratti originari di fornitura. Le prime due cooperative, finora, hanno fatto ottenere alle famiglie uno sconto medio annuo del 18% circa, per quanto riguarda la componente energia della fattura; nei primi otto mesi del 2015 siamo intorno al 6% di sconto».

Il secondo vantaggio, aggiunge Nicolis, «è che la cooperativa, grazie all’avanzo di gestione derivato dalla propria attività di produttore di energia, riesce a distribuire ai soci un ristorno in grado di coprire il costo della bolletta». Il risultato è che una famiglia può ridurre sensibilmente, o perfino azzerare, la propria fattura energetica, come se autoproducesse l’elettricità direttamente sul tetto di casa. Più in dettaglio, ogni quota del progetto vale 1000 euro, di cui 250 di capitale sociale e 750 di prestito sociale (quest’ultimo verrà restituito).

Per ogni quota acquistata, la cooperativa prevede dal proprio piano di business un rendimento annuale, sotto forma di ristorno, pari a 60 euro, quindi 900 in totale nell’arco di quindici anni. Una famiglia-tipo, che consuma in media 2.700 kWh l’anno e spende poco meno di 500 euro, acquistando otto quote (un investimento di 8mila euro) potrebbe garantirsi un ritorno medio annuo di 480 euro, e vedersi così ripagata quasi interamente la bolletta contando solo sul ristorno, e comunque pagherà l’energia a un prezzo più vantaggioso. Inoltre il prestito sociale di 750 €/quota viene restituito nell’arco dei 15 anni di vita del progetto.

Infine, per coprirsi le spalle da inconvenienti di vario tipo, come guasti o rotture dei pannelli e conseguenti cali di produzione, ogni cooperativa stipula assicurazioni e contratti di operatività e manutenzione con società specializzate. Il rischio più concreto, evidenzia Nicolis, è dato dagli eventuali cambi di rotta del Governo, come già accaduto con il decreto spalma-incentivi, che ha ridotto di circa un terzo il ristorno previsto per chi ha investito nelle prime due cooperative.

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