Linea Abruzzo-Montenegro: una TAV elettrica?

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Il governo insiste a realizzare un'opera, l’interconnessione elettrica fra l'Abruzzo e il Montenegro, dal costo di circa un miliardo di euro, che forse dovremmo accollarci come contribuenti. Rispetto a 10 anni fa, quando fu pensato, il progetto ormai non ha più alcun senso economico visto le mutate circostanze del nostro sistema energetico. Perché allora perseverare? Proviamo a spiegarlo in una nostra breve inchiesta.

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Infrastruttura strategica all’avanguardia o opera inutile che farà buttare via centinaia di milioni agli italiani? Complemento necessario alla futura economia sostenibile o favore fatto da certi politici ai soliti potentati per distribuire milioni e salvare aziende in difficoltà?

Parliamo della Tav Torino-Lione? No, di quello che si sta delineando come il suo equivalente in campo della rete elettrica: l’interconnessione, in gran parte sottomarina, di 415 km fra le coste dell’Abruzzo e quelle del Montenegro, che con una portata di un GW in corrente continua, potrebbe spostare tra Italia e Montenegro circa 6 TWh di energia l’anno.

La nuova linea, i cui lavori sono appena cominciati sul lato Abruzzo, costerà oltre un miliardo di euro (dai 760 milioni previsti nel 2010, gran parte dei quali verranno pagati dagli italiani con la  bolletta elettrica), e dovrebbe servire a connettere ulteriormente le linee elettriche del continente, unendo i Balcani alla rete dell’Europa Occidentale, e, soprattutto, a importare in Italia energia “economica e rinnovabile” proveniente dal Montenegro.  

L’idea è finanziata, con appena 60 milioni, anche dalla European Bank for Reconstruction and Development dell’Unione Europea. In effetti l’appoggio della UE si spiega in questo recentissimo documento sull’integrazione della rete elettrica del continente: l’Italia risulta fra i paesi che sono sotto al limite minimo previsto del 10% di capacità di scambio elettrico internazionale (siamo al 7%) e che quindi devono potenziare le proprie linee. Fra queste, oltre a sei nuove grandi linee attraverso le Alpi, è anche prevista l’interconnessione con il Montenegro.

Caso chiuso? No, perché la storia di questa linea elettrica è complessa e viziata da un peccato originale, come scoperto da QualEnergia.it.

L’idea di questa interconnessione parte dal 2005, quando venne pensata come utile a superare il grave deficit di capacità produttiva elettrica italiana, che rischiava di provocare gravi black-out al paese. Il progetto viene confermato dal governo Prodi nel 2007 e nel 2008 viene completato lo studio di fattibilità. Ma intanto la situazione energetica italiana si capovolge: l’undercapacity, grazie alla costruzione di una valanga di centrali a gas, diventa overcapacity, e quindi, in teoria, della linea con il Montenegro avremmo potuto anche fare a meno.

Ma queste grandi opere, come si sa, una volta avviate sono più difficili da fermare di un treno in corsa. Così, dal 2009 la ragione per cui dovremmo costruire la linea sotto l’Adriatico cambia: adesso importare elettricità elettrica dal Montenegro ci aiuterà a rispettare i vincoli europei sulle emissioni e sulle energie rinnovabili al 2020, perché, afferma il Piano Nazionale delle rinnovabili nel 2010, “l’Italia non potrà produrre al 2020 più del 26,8% di elettricità rinnovabile sui propri consumi, e il resto lo dovrà importare”. E così nel 2011 viene firmato l’accordo definitivo fra il ministro Paolo Romani e il suo omologo montenegrino per la realizzazione dell’opera.

Peccato che già allora, con la crisi che cominciava a far calare i consumi elettrici e il boom di fotovoltaico, bioenergie ed eolico, fosse chiaro che l’Italia non avrebbe avuto alcun bisogno di importare energia rinnovabile per rispettare il 20-20-20. E oggi ne siamo ancora più consapevoli, visto che già quasi il 40% della nostra domanda elettrica è coperto da rinnovabili (dato 2014), e che il 20-20-20 riusciremo a centrarlo. Volendo siamo perfettamente in grado di andare ancora oltre con la produzione interna da solare, vento, geotermia e biomasse e non si intravede all’orizzonte nessuna miracolosa ripresa dei consumi elettrici.

Si potrebbe quindi pensar che il governo, dove comandano (in teoria) forze politiche ben diverse da quelle del 2011, e intenzionato com’è a evitare spese inutili al paese ancora in profonda crisi, cancelli o almeno congeli la linea Italia-Montenegro, la cui ragione di esistere è ormai misteriosa. Macché, si continua imperterriti come prima.

Lo ha ribadito il 27 gennaio scorso, in una audizione alla commissione industria della Camera il vice ministro allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti: «Il Governo, nonostante il cambiamento di scenario, continua a considerare valido il progetto di interconnessione e garantisce che non ci saranno ricadute sulla bolletta degli italiani, mentre ci sono senz’altro una serie di obblighi che il Governo italiano si è assunto e che andranno rispettati, ma che saranno compensati, a suo parere, dai vantaggi derivanti dall’interconnessione stessa». Traducendo: non sappiamo bene a cosa servirà questa linea, in questo nuovo scenario, però intano la facciamo, confidando negli astri e sul fatto che i costi non li paghino gli italiani (e chi dovrebbe pagarli al nostro posto?) e che poi si riprendano, in qualche misterioso modo, i soldi investiti.

Successivamente De Vincenti ha chiarito uno dei modi con cui l’investimento potrebbe fruttare: Montenegro e Serbia potrebbe anche importare elettricità dall’Italia. Un fatto probabile? Non crediamo proprio, visto che il nostro kWh costa fra 2 e 4 volte di più del loro (ma certo è pur sempre Made in Italy, come le borse di Prada). A questo punto, l’insistenza diventa sospetta.

Già l’anno scorso avevamo scoperto che attraverso questa linea esisteva il progetto di importare elettricità idroelettrica da centrali appositamente costruite in Serbia da società italiane a 155 euro/MWh (circa il triplo dell’attuale PUN italiano). A novembre, però, il MISe smentì che questa possibilità fosse ancora sul tappeto, essendo venuta meno l’esigenza di importare energia rinnovabile per rispettare il 20-20-20.

Ma adesso siamo venuti a sapere un altro fatto, forse ancora più clamoroso. Ed è questa forse la ragione per cui questo progetto è partito e non si riesce più a fermare.

Ce l’ha raccontata un affidabile conoscitore del sistema energetico italiano. «Una decina di anni fa – ci dice – la AEM, società municipalizzata dell’elettricità milanese, oggi A2A, decise di espandersi all’estero. Dopo un tentativo infruttuoso di acquisire una società in Svizzera, essendo esperti di idroelettrico, ripiegarono sulla Epcg, del Montenegro, acquisendone nel 2009 il 43,7% per 436 milioni di euro. Ma l’affare si rivelò disastroso: il Montenegro è, con il Kosovo, uno degli stati europei meno trasparenti, le tariffe elettriche sono decise dalla politica, buona parte della produzione elettrica va a una fabbrica di alluminio che la paga pochissimo e il non pagare le bollette è sport di massa».

Il risultato finanziario, infatti, non è stato brillante, come ammette la stessa A2A in una pagina realizzata appositamente nel suo sito nel 2012, in risposta a un’inchiesta di Report: la Epcg è costata ad A2A ingenti perdite (66 milioni di €, solo nel 2011 a causa di “scarsa piovosità”, e molti altri previsti per il 2012). E oggi l’azienda sta cercando di rinegoziare la sua presenza in Montenegro, se non chiuderla del tutto.

«Nel 2010 per risolvere i problemi di A2A – continua la fonte – un alto dirigente della società mi disse che il governo Berlusconi si fece carico di riesumare il progetto della linea Abruzzo-Montenegro, che era stato messo da parte visto che l’undercapacity italiana era ormai solo un ricordo. Avere una connessione fra Italia e Montenegro, per la A2A sarebbe stata una benedizione, potendo così vendere da noi l’elettricità montenegrina a prezzi molto più alti di quelli locali. Così, riverniciata in fretta e furia di ‘verde’, con tanto di cifre sottostimate sul massimo a cui sarebbero potute arrivare le rinnovabili italiane, l’interconnessione con il Montenegro è risorta dalle sue ceneri. Sono stati firmati accordi, presi impegni, fatti progetti, assegnati appalti e così oggi, nonostante sia chiaro che quella linea non serve al nostro paese, non riusciamo più a fermarla. Paradossalmente la dichiarazione più onesta sul tema l’ha fatta l’attuale presidente di A2A, Giovanni Valotti, che dopo aver confermato che la permanenza della sua azienda in Montenegro è legata alla realizzazione dell’interconnessione con l’Italia, ha anche ammesso “non so però se all’Italia servirà ancora energia dal Montenegro”».

Ma Terna, l’ente tecnico che sta materialmente realizzando la linea, non ha nulla da dire sulla sua effettiva utilità? «Non sono mai riuscito ad avere risposte chiare dai dirigenti Terna su cosa veramente pensino di questa opera – dice la nostra fonte – ma secondo me a loro interessa soprattutto avere la possibilità di portare a termine un opera così grande e complessa, e di importare in Italia energia a basso costo».

Me se, secondo lei, è inutile, perché l’Europa ha approvato quest’opera e, in piccola parte, la finanzia? «Vuole la triste verità? – conclude il nostro interlocutore – L’Italia dà più soldi all’UE di quanto ne riceve in cambio, anche perché i nostri progetti sono scarsi e in altri casi non soddisfacenti, quindi difficili da approvare. Siccome non riusciamo a far valere la clausola del giusto ritorno (finanziamenti in proporzione al contributo pagato all’UE dall’Italia, ndr), quando un progetto, come quello di Terna, tecnicamente, è fatto bene, ha pressoché la certezza di essere approvato, e può rientrare nel piano di interconnessioni continentali. Anche se, in effetti, va a finire in un paese che non fa parte dell’Unione e non è certo una potenza economica con cui ci saranno veri scambi nei due sensi. All’UE se e come poi recupereremo le centinaia di milioni che ci costerà questa linea, interessa poco. Come gli interessa poco il fatto che questi 5-6 TWh in arrivo dal Montenegro, pari a circa il 2% dei consumi nazionali, in una situazione di eccesso produttivo aggraveranno la crisi della generazione a gas e ostacoleranno l’ulteriore sviluppo di quella a rinnovabili autoctone».

Naturalmente avremmo voluto sentire il parere di Terna, ma non hanno voluto rispondere alle nostre domande, rimandandoci a comunicati stampa che ripetono solo le vecchie ragioni dei politici. Peccato, perché, fra l’altro, avremmo tanto voluto chiedergli: ma veramente dal Montenegro importeremo elettricità ’verde’?

Al momento, secondo questo documento presentato a una riunione di ingegneri a Istanbul nel 2014, il Montenegro produce solo il 60% dell’elettricità che consuma. Quindi finiremmo per importare energia da un paese che non ne produce neanche abbastanza per i suoi 4,6 TWh annui di consumi. Fra i suoi vicini, la Serbia già esporta tutto il possibile in Montenegro e la Croazia è un importatore netto di elettricità: chi, senza nuove centrali, dovrebbe quindi fornire i 6 TWh massimi che possono passare sulla linea per l’Italia?

Ma non basta. L’elettricità montenegrina solo per il 60% è idroelettrica, il resto deriva da una centrale a lignite. Da molti anni si annuncia l’inizio della costruzione di nuove centrali idroelettriche nel paese, ma o per mancanza di finanziamenti, o per opposizioni ambientali, le opere sono ancora lontane dal concretizzarsi. Inoltre il 40% di elettricità che il Montenegro importa viene dalla Serbia, che la produce per il 60% con il carbone.

Facendo qualche semplice calcolo risulta, quindi, che al momento l’elettricità che importeremmo dal Montenegro sarebbe al 64% fornita da centrali a carbone.  Visto che questa fonte fossile emette 1042 gr di CO2/kWh, oggi l’energia  montenegrina sarebbe correlata a 666 gr CO2/kWh, contro i 385 gr CO2/kWh dell’attuale mix italiano.

Indubbiamente un brillante progresso verso la sostenibilità. Vale proprio la pena spenderci un miliardo di euro?

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