Riforma tariffe elettriche, così si disincentiva l’efficienza energetica

La soluzione suggerita dall’Autorità, spostando parte degli oneri di sistema dai prelievi alla potenza impegnata, penalizza chi autoproduce energia da rinnovabili e sembra per questo estranea al dettato politico del legislatore. L'opinione di Giuseppe Artizzu sulla proposta di riforma delle tariffe elettriche dei clienti domestici.

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Dopo aver sintetizzato la proposta di riforma delle tariffe elettriche per i clienti domestici messa in consultazione dall’Autorità per l’Energia, su queste pagine stiamo ospitando un dibattito in merito. Abbiamo pubblicato le opinioni di GB Zorzoli, presidente onorario di FREE, e di Chicco Testa presidente di Assoelettrica. Questa la visione di Giuseppe Artizzu, esperto di energia molto sensibile al tema dell’autoconsumo:

Il 5 febbraio l’Autorità per l’Energia ha emanato l’atteso documento di consultazione sulla riforma della tariffa elettrica per le utenze residenziali, ovvero la revisione dei criteri di allocazione fra le piccole utenze dei costi di rete e degli oneri generali di sistema (si veda QualEnergia.it). Il mandato del legislatore, contenuto nel decreto legislativo 102/14 in materia di efficienza energetica, demanda all’Autorità il superamento della progressività della tariffa rispetto ai consumi, la ricerca di una struttura tariffaria coerente con i costi industriali di erogazione del servizio, lo stimolo a comportamenti virtuosi e appunto all’efficienza energetica.

Bene. Ci si aspetterebbe che la modalità di allocazione dei costi di incentivazione delle fonti rinnovabili (alias ‘componente A3’) assumesse un ruolo centrale nello stimolo di comportamenti virtuosi e dell’efficienza energetica. Ovvero, ci si aspetterebbe che consumare relativamente poco o coprire parte del proprio fabbisogno con fonti rinnovabili (soprattutto se non incentivate) comportasse una minore partecipazione al monte incentivi per le rinnovabili. Del resto oggi è proprio così: la componente tariffaria A3 è caricata in misura proporzionale al prelievo dalla rete: chi consuma di meno o autoproduce parte dell’energia consumata paga di meno.

Purtroppo, come noto, per l’Autorità questo è un incentivo implicito alle fonti rinnovabili distribuite, per cui la riforma tariffaria va in direzione contraria. Nella soluzione favorita dall’Aeegsi, la metà degli incentivi alle rinnovabili non verrebbe più allocata in base ai prelievi dalla rete, ma in base alla potenza contrattuale.

L’Autorità spinge per tale soluzione sulla base di un inedito criterio di accettabilità diffusa della riforma tariffaria, in realtà estraneo al dettato politico del legislatore, il quale invece identifica nel bonus sociale lo strumento tariffario redistributivo. Le intenzioni dell’Autorità sono anche in palese contrasto con l’indirizzo politico contenuto nel Decreto Competitività‘ di agosto, che aveva esplicitamente escluso i piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili dall’applicazione di oneri di sistema sull’energia autoprodotta.

C’è da sorprendersi? No, è solo l’ultimo episodio di una trama che si dipana ormai da due anni, sconfinando occasionalmente nel farsesco. E anche stavolta le contraddizioni sono eclatanti.

In primo luogo, il superamento della progressività della tariffa è orientato a favorire di soluzioni di climatizzazione ad elevata intensità elettrica, ma energeticamente efficienti, quali le pompe di calore. Ma queste applicazioni non comportano solo un elevato assorbimento di energia, ma anche punte stagionali elevate di potenza (in coincidenza con temperature particolarmente rigide): gonfiare artificiosamente i corrispettivi di potenza è contrario alla filosofia stessa della riforma.

Secondo, a parità di consumi e potenza contrattuale impegnata, chi coprisse con fonti rinnovabili in situ parte del proprio fabbisogno sarebbe chiamato a contribuire ai costi di decarbonizzazione più che proporzionalmente rispetto alle emissioni in atmosfera indotte. Di converso, chi non installasse sistemi di autoproduzione da fonti rinnovabili pagherebbe meno in bolletta per la componente ‘A3’ per molecola di anidride carbonica indotta. Questo sarebbe un incentivo ai comportamenti virtuosi?

Terzo, l’Autorità parte dal presupposto che spostare componenti tariffarie dall’energia alla potenza riduca il potenziale di erosione della base imponibile e quindi favorisca la stabilità nel tempo delle componenti tariffarie unitarie. Ora, è sicura l’Autorità che per gli utenti sia più facile tagliare il prelievo complessivo dalla rete piuttosto che limitarne i picchi e quindi la potenza contrattuale? Ci sono buone ragioni per dubitarne.

Al di là di queste criticità specifiche c’è una questione di fondo. L’attuale irrilevanza dell’Emission Trading System fa sì che i prezzi all’ingrosso dell’elettricità non siano rappresentativi delle esternalità ambientali associate alle tecnologie di generazione che determinano ora per ora il prezzo di equilibrio sul mercato elettrico.

Per quale ragione, nelle more di una riabilitazione dell’ETS, ovvero dell’introduzione di una carbon tax, il non assoggettamento alla componente tariffaria A3 non può essere incentivo indiretto (‘implicito’, nel linguaggio dell’Autorità) all’efficienza energetica e alla generazione distribuita da fonti rinnovabili? Cosa c’è di tanto distorsivo nel fatto che le fonti rinnovabili, soprattutto se non incentivate, non partecipino al finanziamento di sé stesse?

È francamente irritante che l’Autorità presenti l’assoggettamento della generazione distribuita alla componente A3 quale elemento di equità di una riforma che, la si condivida o no, nell’indirizzo politico è ispirata a principi di efficienza, e non di equità.

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