Emissioni Italia: nel 2014 meno 20% sul 1990 e non solo per la crisi

  • 16 Febbraio 2015

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La stima della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: rispetto al 1990, nel 2014 le emissioni di gas di serra dell'Italia sono state ridotte di quasi 110 MtCO2eq e di poco meno di 170 MtCO2eq rispetto al picco del 2005. Il merito non è solo della crisi, ma anche della riduzione dell'intensità energetica. Ma a livello globale la strada per un accordo è ancora lunga.

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Le emissioni di gas serra continuano a calare in Italia. Nel 2014 si sono infatti attestate attorno a 410 milioni di tonnellate di CO2eq. Si tratta di 25-30 MtCO2eq in meno rispetto al 2013, un taglio del 6-7%. Rispetto al 1990, nel 2014 le emissioni di gas di serra dell’Italia sono state ridotte del 20%, quasi 110 MtCO2eq in meno e di poco meno di 170 MtCO2eq rispetto al picco del 2005. La Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile pubblica, in anteprima, una stima delle emissioni nazionali di gas serra per l’anno appena trascorso, come da tradizione, in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (16 febbraio 2005).

“Il calo delle emissioni di gas serra – ha affermato Edo Ronchi Presidente della Fondazione – non è prodotto solo dalla lunga recessione economica, ma dalla riduzione dell’intensità carbonica del PIL: nel 2014 sono stati emessi circa 300 gCO2eq per produrre un euro di Pil, contro i 400 gCO2eq per ogni euro di Pil del 2005. Se questo trend sarà confermato, le emissioni continueranno a calare anche nei prossimi anni in presenza di una ripresa economica. E’, infatti, in corso un mutamento strutturale del sistema energetico italiano, prodotto dall’aumento sia dell’efficienza energetica e sia delle fonti energetiche rinnovabili”.

Alla base della riduzione delle emissioni stimato dalla Fondazione sta in primo luogo il calo della domanda di gas naturale, secondo le stime del Mise scesa da 70 a meno di 62 miliardi di m3 (-12%), a causa in primo luogo di un calo della produzione termoelettrica.

Significativo anche il calo nei consumi di carbone che, secondo le stime dell’Unione petrolifera, nel 2014 avrebbero subito una flessione di circa il 7%. Hanno tenuto maggiormente i consumi di prodotti petroliferi, calati di meno del 2%, grazie anche alla riduzione dei prezzi dei carburanti.

“Su tali dinamiche hanno inciso le politiche in favore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili – osserva Andrea Barbabella, responsabile energia della Fondazione – in particolare, nel settore della produzione elettrica; le stime preliminari di Terna indicano un aumento consistente del contributo dell’idroelettrico, da 54 a 58 TWh (+7,5%) grazie anche ad una annata favorevole, e del fotovoltaico, da 21,2 a 23,3 TWh (+10%).

Annata nera invece per l’eolico che, con poco più 100 MW di nuova potenza installata, a fronte degli oltre mille MW/anno che hanno caratterizzato in media gli anni precedenti, ha risentito di interventi normativi avversi più volte condannati dalle associazioni del settore. Ipotizzando una crescita moderata delle biomasse, per le quali non si dispone di dati aggiornati, e scontando la componente non rinnovabile dell’idroelettrico (quello da pompaggi), si può prevedere una produzione rinnovabile tra 110-115 TWh, pari a oltre il 42-43% della produzione nazionale e al 36-37% del fabbisogno elettrico”.

Siamo nel pieno del percorso verso il nuovo accordo globale sul clima che dovrà essere licenziato dalla ventunesima Conferenza delle Parti che si terrà a Parigi a dicembre. A questa importante conferenza si arriva dopo un 2014 da record, con la concentrazione di CO2 in atmosfera che ha sfondato la soglia dei 400 ppm e la temperatura media più alta di sempre (WMO).

A questo si aggiunge la continua crescita delle emissioni globali di gas serra, oramai ben oltre le 50 miliardi di tonnellate di CO2eq (IPCC). L’accelerazione registrata proprio negli ultimi anni, con il +30% e oltre rispetto al 1990, è il segno evidente dell’inadeguatezza dell’impostazione del Protocollo di Kyoto e della necessità di inaugurare un nuovo approccio.

“A livello internazionale – dice Ronchi – si è deciso di seguire la strada degli impegni volontari di riduzione (i c.d. Intended Nationally Determined Contributions) ma questi, come certificato dalla stessa UNEP, sono al momento insufficienti a portare al dimezzamento delle emissioni necessario da qui al 2050. Ciononostante è ancora possibile puntare su un nuovo accordo internazionale positivo ed efficace, agendo su tre elementi chiave”.

Secondo la Fondazione Sviluppo Sostenibile si tratta di:

  1. mettere in campo tutte le iniziative possibili, di sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica, prima di ottobre, scadenza fissata nella roadmap di Lima, per rivedere al rialzo gli impegni volontari di riduzione, a cominciare dai principali emettitori USA e Cina;
  2. promuovere un percorso di progressiva convergenza delle emissioni procapite, dando la possibilità di lasciar crescere per alcuni anni le proprie emissioni ai paesi più poveri per poi comunque ridurle e avviando da subito un percorso di tagli per quelli ricchi ad elevate emissioni procapite;
  3. valorizzare adeguatamente il potenziale della green economy, oggi sottovalutato.

“Esistono oggi le conoscenze, le tecnologie e anche le risorse per poter realizzare un percorso di conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle e per poter alimentare nuova occupazione e nuove opportunità di sviluppo con tecnologie efficienti e a basse emissioni – conclude il comunicato dell’associazione  – è necessario lavorare attorno a strumenti che accelerino questa transizione, a cominciare da una revisione della fiscalità in chiave ambientale e alla eliminazione dei sussidi alle fonti fossili”.

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