La Commissione UE adesso vorrebbe mettere obiettivi vincolanti per la CCS

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La Commissione Europea vorrebbe imporre ai Paesi membri obiettivi vincolanti al 2030 e al 2050 per la cattura e lo stoccaggio della CO2. La raccomandazione arriva da un rapporto sulla direttiva CCS. Un'altra mossa della Commissione che risponde alle solite lobby? Tra i suggerimenti, incentivi tramite 'ETS e, sul modello statunitense, standard di emissioni per le centrali .

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La Direttiva CCS (Carbon Capture and Storage) non è riuscita a far partire questa tecnologia e per questo motivo l’Unione europea dovrebbe imporre ai Paesi membri obiettivi vincolanti al 2030 e al 2050 per la cattura e stoccaggio della CO2. Questa raccomandazione arriva da un rapporto della Commissione europea.

Secondo il documento (allegato in basso), la CCS a livello mondiale potrebbe contribuire al 2050 a più di un quinto della riduzione delle emissioni di CO2 necessaria per contrastare i cambiamenti climatici e l’Europa dovrebbe essere leader in questo campo. Peccato però che finora la CCS abbia catturato e sequestrato poco o niente. Come rileva anche il report, che valuta i risultati della precedente direttiva in materia, la 2009/31/EC, dei 12 progetti su larga scala che allora si prevedeva dovessero entrare in funzione in Europa entro il 2014-2015 se ne sono materializzati solo due, entrambi in Norvegia.

Quale sarebbe allora la soluzione della CE? Secondo il documento bisogna definire entro il 2017 una roadmap europea per la CCS, con obiettivi vincolanti al 2030, integrando questa tecnologia nei piani di azione nazionali.

Contestualmente la Commissione dovrebbe stilare una lista dei potenziali siti di stoccaggio della CO2, indagare il modo in cui il meccanismo ETS possa incentivare la tecnologia, rafforzare le norme che impongono che le centrali siano CCS-ready e, infine, pensare anche alla possibilità di imporre degli standard di emissioni alle centrali.

Quest’ultima misura (Emission Performance Standards) richiama quella che l’Agenzia per l’ambiente Usa, l’EPA, sta tentando di applicare negli Stati Uniti e che porterebbe di fatto ad una moratoria degli impianti a carbone. L’idea europea di obiettivi vincolanti sulla CCS, invece, sarebbe un grosso favore alla lobby delle fossili, da sempre sostenitrice di questa tecnologia.

Se si concretizzasse tale misura si arriverebbe al paradosso di avere per il 2030 obiettivi non vincolanti su efficienza energetica e (almeno non a livello nazionale) sulle rinnovabili, ma di averli su una tecnologia di dubbia efficacia come la CCS. Sarebbe la vittoria di chi come il governo britannico e i grandi produttori elettrici sostiene la “neutralità tecnologica” nella riduzione delle emissioni, neutralità che consentirebbe di far arrivare molti più soldi pubblici a CCS e nucleare. Insomma, ecco un’altra prova che dimostra come questa Commissione sia al servizio delle grandi lobby industriali ed energetiche.

Non che al momento la cattura della CO2 non sia incentivata. Per citare solo il caso che ci riguarda più da vicino, il decreto ‘Destinazione Italia’ prevede che nel Sulcis, in Sardegna, si realizzi una centrale a carbone dotata di CCS che per 20 anni riceverà un incentivo di 30 euro (rivalutati annualmente) per ogni MWh che produrrà fino a un massimo di 2.100 GWh annui. Fanno 60 milioni all’anno per un totale di 1,2 miliardi nell’intero periodo, un onere che andrebbe sulla bolletta, contestato anche dall’Autorità per l’Energia “in quanto non risponde a interessi generali del settore elettrico”.

D’altra parte questa tecnologia senza l’aiuto pubblico non va da nessuna parte: è troppo costosa e problematica. Al momento, riporta il documento della Commissione, nel mondo ci sono solo 13 progetti operativi (a quanto ci risulta solo uno su scala commerciale, e pure di piccola taglia), tutti legati all’EOR, enhanced oil recovery, cioè economicamente sostenibili, oltre che per i finanziamenti pubblici, perché la CO2 catturata viene iniettata in giacimenti di petrolio in via di esaurimento, facilitando così l’estrazione del greggio.

Secondo il Global Carbon Capture & Storage Institute (GCCSI), ogni MWh prodotto con carbone + CCS costa dai 50 ai 100 dollari in più rispetto ad uno prodotto con una centrale semplice. Per la IEA aggiungere un impianto di CCS a una centrale a carbone fa aumentare i prezzi medi dell’elettricità tra il 39 e il 64% e del 33% nel caso di una centrale a gas.

Altre preoccupazioni sono legate ai consumi idrici, un problema sempre più sentito per l’acuirsi dei cambiamenti climatici con cui il termoelettrico spesso deve fare i conti (si veda anche questo studio). Secondo i dati del Dipartimento dell’Energia americano (DOE), le centrali a carbone con CCS consumano tra l’87 e il 93% di acqua in più per MWh prodotto rispetto a quelle tradizionali.

Poi c’è il problema dello stoccaggio vero e proprio. Come detto, se si è fortunati si riesce a trasportare la CO2 fino a un giacimento di gas o petrolio in via di esaurimento, prolungandone la vita con le ovvie ricadute economiche positive. Solo in casi limitati però si può procedere in questo modo; negli altri  trasporto e stoccaggio diventano un costo, magari per un servizio affidato a terzi.

Poniamo anche il caso che la CO2 venisse stoccata correttamente e a costi sostenibili, non è detto che farlo sia senza rischi e dia la garanzia che la CO2 venga effettivamente confinata e mai più liberata in atmosfera. Se alcuni scienziati e rappresentanti dell’industria sostengono che la CO2 possa essere imprigionata in maniera sicura per centinaia di migliaia di anni, restano comunque diverse perplessità. Analisi su acque e terreni vicini a siti di stoccaggio ad esempio hanno rivelato piccole fughe e concentrazioni crescenti di anidride carbonica. Se ciò avvenisse regolarmente avremmo rilasciato più emissioni rispetto al continuare con le centrali originarie senza CCS.

La cattura della CO2, per dirla chiaramente, ha un unico grande vantaggio: consente di preservare lo status quo di un sistema energetico basato sulle fossili e la produzione centralizzata. Non a caso tra i sostenitori più ferventi c’è l’associazione dell’industria elettrica europea, Eurelectric, che di recente ha esortato l’UE a includere questa tecnologia nelle strategie energetico-climatiche al 2030: “la CCS, assieme ad altre tecnologie low-carbon e all’efficienza energetica, ha un importante ruolo da giocare nel raggiungimento degli obiettivi climatici europei”, anche se “a causa della congiuntura economica ci vorrà più tempo per il passaggio dalla fase dimostrativa a quella di commercializzazione”, si legge in un comunicato recente.

Come detto, i punti critici della CCS sono decisamente tanti. Tra questi, non ultimo, c’è il rischio che la speranza della ‘bacchetta magica’ dell CCS sottragga attenzione e risorse dalle tecnologie e soluzioni più mature, con costi in discesa e ovviamente più sostenibili, come sono oggi le rinnovabili e l’efficienza energetica. Per affrontare il problema dei gas serra, la CO2 è meglio non produrla affatto anziché cercare di catturarla.

Il report della Commissione sulla direttiva CCS (pdf)

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