Reinventare l’edilizia italiana

Il mondo dell’edilizia sta cambiando e la riqualificazione energetica è una componente strutturale e strategica per il Paese. Riqualificare l'esistente secondo il concetto "deep retrofit" richiede nuove professionalità e una progettazione integrata. Come estrarre l'enorme potenziale di risparmio energetico dai nostri 13,5 milioni di edifici? Un articolo di Thomas Miorin di GBC.

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Abbiamo scoperto un giacimento in Italia. È enorme, si trova in superficie ed è quasi inesauribile. Ha un potenziale economico pari alle più grandi scoperte petrolifere nazionali, ma non si tratta di oro nero: è l’immensa quantità di energia efficientabile nei nostri patrimoni immobiliari. Le nostre abitazioni sono responsabili del 30% delle emissioni nocive sul nostro Pianeta e del 40% dei consumi energetici. Una realtà che offre all’intero settore una grande opportunità.

In questi anni abbiamo assistito al cambiamento apportato nel settore energia dall’avvento delle fonti rinnovabili, ma è tempo per una nuova sfida: riuscire a estrarre l’enorme potenziale di megawatt dai nostri edifici. Per fare ciò è necessario reinventare uno dei settori più conservativi, più frammentati e meno innovativi che abbiamo in Italia: l’edilizia.

Sono passati pochi anni da quando, di fronte alla crisi edilizia, abbiamo visto distese di caschi gialli nelle nostre piazze. La riqualificazione edilizia, che sembrava essere una piccola nicchia in crescita incapace anche solo di consolare gli insoddisfatti appetiti immobiliari, sta oggi non solo rappresentando il ramo più promettente del settore, ma diventando l’attività principale.

Contestualmente si è anche messa meglio a fuoco la portata di questa sfida: dei 13,5 milioni di edifici, la maggior parte è rappresentata dal residenziale privato, 12,1 milioni. Quello italiano è il secondo patrimonio immobiliare più vecchio al mondo: circa un terzo necessita interventi di riqualificazione, le residenze private per la metà. Due miliardi di metri quadri da riqualificare molto frammentati e ad alta “viscosità” di intervento.

Chi può affrontare questi numeri? In Italia il 98% delle imprese edili sono di dimensioni medio piccole, il 90% sono micro imprese con meno di 10 dipendenti con bassa propensione all’innovazione e capacità limitata di strutturare forme organizzative a rete capaci di andare oltre la scala dei singoli progetti e di sviluppare innovazione vera. L’edilizia nostrana è anche uno dei settori meno informatizzati che si trova ad affrontare, oltre al passaggio prestazionale, anche una necessaria informatizzazione e digitalizzazione dei processi.

D’altro canto nemmeno la domanda di retrofit è sufficientemente elevata dal punto di vista qualitativo da rappresentare un motore per un cambiamento radicale dell’offerta. Nelle richieste del cliente finale la dimensione energetica rappresenta solo una delle dimensioni e spesso quella sacrificabile ai compromessi proposti: gli immobili con più di 40 anni, ovvero il 76% degli edifici delle nostre città, richiedono una riqualificazione, oltre che energetica, qualitativa, estetico-architettonica e spesso strutturale e performance che influiscano sul comfort. 

Un quadro così ampio e articolato non consente alla domanda di esprimere la centralità della priorità energetica e di coordinare e integrare i diversi aspetti dell’intervento. Né può essere capace di forzare i progettisti ad andare oltre il semplice compromesso per cercare soluzioni capaci di molteplici benefici. Le prestazioni energetiche sono così raramente oggetto di misura e di garanzia.

Va poi considerato che questo variegato ed esteso sistema di interventi deve essere capace di combinare le prestazioni individuali con le necessità su scala urbana. “Reinventare l’edilizia” acquista in queste prospettive un significato concreto: un passaggio che richiede al mercato di riorganizzarsi attorno a nuove competenze, nuovi protocolli di qualità, nuovi linguaggi e processi.

Cambiamenti in corso

Il settore è già cambiato. Come evidenziano i dati CRESME, in Italia a fine 2013 i posti di lavoro creati dalla riqualificazione erano 236mila. Il mercato della riqualificazione vale oggi il 67% dell’intero fatturato dell’edilizia che, rispetto ai dati del 2006, ha visto un balzo in avanti dell’11%. Un dato decisamente controcorrente rispetto alla decrescita, a valori costanti del 30% negli investimenti del settore delle costruzioni tradizionali. E il futuro?

Il trend è destinato a crescere: al punto che si prospetta che gli investimenti nel settore della riqualificazione supereranno i 40 miliardi di euro nel 2014, con la creazione di oltre 400.000 posti di lavoro entro il 2017 anche perché si rileva una forte propensione ad affrontare nei prossimi anni interventi di efficientamento.

Il fatto che oltre tre quarti degli edifici urbani italiani abbia oggi più di 40 anni, arco temporale oltre il quale vi è necessità di riqualificare involucro e impianti, evidenzia la congiunturalità di questo passaggio: un’enorme massa di edifici nazionali necessita di essere riqualificata. Al momento vi è una risposta non sistematica da parte del settore che ha permesso di incontrare la parte della domanda già matura e con meno vincoli.

La riqualificazione che il nostro patrimonio si appresta a sostenere sarà probabilmente l’unico grosso intervento che riceverà nei prossimi 20-30 anni. Un arco temporale nel quale lo scenario energetico e ambientale cambierà notevolmente.

Gli immobili rappresentano, specie nel nostro Paese, la principale modalità di risparmio e quindi vanno rivisti con un approccio a prova di futuro; almeno del futuro che l’intervento abbraccerà. E in questa prospettiva interventi strutturali e architettonici che non aumentino in modo sostanziale le performance energetiche e che non sappiano introdurre miglioramenti evidenti nella qualità dell’immobile (comfort, illuminazione, qualità dell’aria interna) e nel suo profilo ambientale (efficienza idrica, effetto isola di calore, materiali) sono antistorici e rappresentano un vincolo economico e ambientale che peserà gravemente nei prossimi anni.

Geopolitica dell’edilizia

L’edilizia è un settore rilevante anche dal punto di vista geostrategico. Su scala europea, secondo il Report Ecofys, la creazione di un programma di “deep building renovationtaglierebbe i consumi di gas del 60% entro il 2030 con conseguente alleggerimento delle importazioni, e ridurrebbe le emissioni di gas climalteranti del settore edile del 70% entro il 2050. In questo caso i posti di lavoro creati sarebbero ben 1,4 milioni, qualora si persegua un incremento dell’efficienza energetica del 40%. Questi numeri sarebbero in grado di immettere nell’economia europea oltre 335 miliardi di euro, altrimenti destinati all’importazione di energia dall’estero.

Il trend attuale va sì confermato, ma necessita anche di chiari e forti obiettivi nazionali, che il sistema Paese deve esprimere attraverso un piano coerente e stabile. Servono incentivi che vanno ben inquadrati all’interno di un ambizioso piano nazionale capace di favorire una riqualificazione deep e green, altrimenti l’edilizia contribuirà congiunturalmente a migliorare l’economia ma non rappresenterà anche una soluzione energetica e ambientale di lungo periodo. L’Italia perderà una delle sue più grandi chance di indipendenza energetica e di riduzione delle emissioni.

Il trasferimento di buone pratiche di riqualificazione da oltreconfine, così come la valorizzazione di quelle già esistenti a livello nazionale, può essere il primo step verso un cambio di sistema radicale nel nostro Paese. Il concetto di deep retrofit, coniato dal leader del think tank del Rocky Mountain Institute Amory Lovins, punta a un approccio progettuale votato a una “riqualificazione profonda” che comporta almeno il 50% di risparmio energetico.

Nonostante tale concetto sia noto anche in Europa, il deep retrofit non è diffuso in quanto richiede un know-how di progettazione integrata, competenze e un diverso modus operandi tra gli attori che oggi non è comune.

Uno dei casi più famosi al mondo di deep retrofit è certamente quello dell’Empire State Building, l’edificio simbolo di Manhattan che, nonostante sia un edificio con fortissime istanze conservative, ha subìto un intervento di riqualificazione capace di 4,4 milioni di dollari l’anno di risparmio energetico, pari al 38% dei consumi totali. È significativo che Anthony Malkin, primo immobiliarista newyorkese con oltre 900mila metri quadri di uffici a Manhattan tra cui l’Empire State Building, fosse intenzionato a riqualificare il grattacielo simbolo, datato 1931, con un intervento di circa 100 milioni di dollari che non prevedeva nessun ritorno di tipo prestazionale. L’apporto del Rocky Mountain Institute ha guidato il team a una revisione del progetto iniziale che ha saputo raccogliere un’ulteriore disponibilità di investimento di 15 milioni di dollari. Un caso del genere non può essere colto se non nella sua interezza, ma la modalità con cui il team ha lavorato sugli infissi è rappresentativa dell’approccio seguito complessivamente.

Il budget per le 6.500 finestre dell’Empire è stato infatti più che decuplicato dalla previsione iniziale ma ha portato a un’enorme riduzione di costi nella riqualificazione dell’impianto di raffrescamento. L’intervento è stato svolto interamente di notte, smontando piano per piano le finestre e sostituendo i vetri con elementi ad alta performance in una linea produttiva dedicata posta nei garage dell’immobile affinché venissero rimontati prima dell’alba. Ciò ha consentito che le migliaia di persone che operano all’interno dell’edificio non avessero impatti e che non si perdessero introiti dagli affittuari.

Potenzialità evidenti

Se è vero, come afferma il Rocky Mountain, che ogni edificio è un Empire State Building dalle enormi potenzialità di efficientamento, è anche vero che non si possono affrontare i numeri della sfida italiana solo con un approccio “edificio per edificio”.

In Italia le detrazioni fiscali hanno dato una spinta alla riqualificazione che ha permesso un tasso di rinnovo del parco edilizio dell’1% annuo, positivo ma insufficiente per lo stato in cui si trova il patrimonio nostrano anche per il fatto che ha rappresentato la principale strategia di immobilizzazione finanziaria e del risparmio: il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane vale quattro volte il PIL.

Se da un lato è necessario individuare i modelli più efficaci nei diversi approcci ai processi di riqualificazione in Italia ed Europa, serve anche rendere tali approcci replicabili su larga scala, in modo che possano servire come volano per il rilancio del settore e come una strategia efficace verso l’indipendenza energetica italiana.

Una grande possibilità è rappresentata dal patrimonio pubblico, che vede oggi costi di gestione e inefficienze paradossali con una redditività negativa pari al -1% (dati Nomisma). Gli edifici della P.A. italiana consumano circa l’8-10% dell’energia nazionale. Con un light retrofit, una buona riqualificazione tradizionale oggi già diffusa nel mercato, si potrebbe raggiungere un risparmio del 20%, pari a circa 1,2 miliardi di Euro l’anno. In regime di deep retrofit si potrebbe ottenere un risparmio del 30-35%, pari a due miliardi di euro ogni anno, in uno scenario di accesso ai finanziamenti e di parziale allentamento del Patto di Stabilità, cui si somma un ritorno degli investimenti in tempi brevi. Vi sono grandi opportunità anche nei parchi immobiliari privati, oggi bloccati da uno scenario per il real estate definito stagnante da molti outlook economici di settore.

Nuovi mezzi

I casi internazionali che dimostrano le grandi possibilità però ci sono: Vasakronan, per esempio, prima società immobiliare svedese con un portafoglio di 192 edifici per 2,5 milioni di metri quadri dal valore stimato di 9,6 miliardi di euro, ha saputo in soli sei anni rinnovare il proprio parco di immobili riducendo del 97% le emissioni e del 30% i consumi di energia. L’intervento radicale ha richiesto un extra budget di soli 17 milioni di euro: il resto è stato ottenuto con una revisione delle destinazioni dei costi di manutenzione e gestione e con un coinvolgimento dei locatari molto interessante. Vasakronan ha infatti attivato uno strumento per stimolare le buone pratiche di gestione degli immobili attraverso la collaborazione tra tenant e proprietario: il Green Lease.

Tipicamente i costi di efficientamento dell’edificio ricadono sul proprietario che però non gode delle maggiori performance dal momento che i risparmi in bolletta vanno a beneficio dell’affittuario. Contemporaneamente, il locatario non avrà nessuna convenienza ad accollarsi i costi di interventi di efficientamento di un locale che non è di sua proprietà. Il Green Lease risolve questo “dilemma” con un meccanismo che premia la partecipazioni attiva delle parti nelle azioni di aumento delle performance, attraverso una corretta ripartizione dei costi e dei benefici che ne derivano. Facendo leva su questo strumento, Vasakronan ha stipulato dal 2010 più di 1.000 contratti di Green Lease che hanno generato a cascata una moltitudine di interventi: efficienza energetica, produzione da fonti rinnovabili, riciclo dei rifiuti, trasporti alternativi. Il risultato è che oggi Vasakronan si ritrova un patrimonio con un profilo di consumo energetico del 50% inferiore rispetto alla media svedese, con un valore immobiliare generato di oltre 200 milioni di euro.

Dal quadro fin qui tratteggiato emerge la necessità di un cambio non solo tecnico ma anche culturale nel settore, capace di riorientare l’intera filiera e i principali servizi a essa associati (formativo, finanziario, facility, ecc.) verso interventi radicali. L’approccio del deep retrofit richiede infatti un profondo cambiamento: nuove professionalità e funzioni di progettazione integrata. Ed è per questo che manifestazioni come REbuild sono oggi centrali per accompagnare questo processo.

Nonostante si stiano diffondendo pratiche e standard volontari orientati alla performance e alla sostenibilità che raccolgono un crescente consenso (la certificazione LEED è adottata in Italia da edifici per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro, come da grafico sulla destra), serve però un obiettivo nazionale chiaro.

Sono diversi gli Stati che in Europa stanno definendo roadmap volontarie più stringenti di quelle definite a Bruxelles, affiancate da precise iniziative di politica industriale per aumentare la competitività internazionale del settore e catalizzare un rilancio dell’economia nazionale.

In Inghilterra, per esempio, l’input del Governo è netto; dal programma Green Deal per stimolare operazioni di riqualificazione tra i privati, al blocco della possibilità di affittare edifici in classe F e G dal 2017, all’adozione del Building Information Modelling per ogni edificio pubblico costruito dal 2016: sono solo alcune policy volte a formare un quadro di interventi unitario. E le ricadute si vedono: ogni attore della filiera si misura con una metrica, quella del carbon, che nell’edilizia italiana non è stata ancora introdotta. È questo un processo di innovazione che non passa solo dalla tecnologia, ma che si caratterizza fortemente per l’adozione di nuove metriche, di nuovi linguaggi e nuovi modelli di business.

Per questo motivo non può essere sviluppato solo in una logica di policy push (attestato di prestazione energetica obbligatorio, requisiti minimi di legge, ecc.), tale processo va indirizzato attraverso chiare policy pull capaci di ri-orientare e “tirare” la filiera verso nuovi modelli. È fondamentale che nei prossimi passaggi legislativi si introducano standard e sistemi di misura della prestazione non solo energetici ma anche ambientali (inclusivi quindi di parametri di qualità dell’aria interna, di efficienza nell’uso delle risorse idriche, di intelligenza progettuale complessiva).

In diversi Paesi del mondo l’adozione di questi standard (LEED, BREEAM, DGNB, CASBEE) ha saputo trasformare il settore più di qualsiasi altra legge e ha permesso di costruire una forte struttura di dialogo tra pubblico e privato per la definizione di specifiche policy di settore che hanno mantenuto il sistema competitivo anche a livello internazionale. Il Green Building Council Italia potrebbe rappresentare un’associazione nazionale su cui fare perno in questo passaggi.

L’articolo di Thomas Miorin è stato pubblicato sul n.5/2014 della rivista bimestrale QualEnergia, con il titolo “Reinventare l’edilizia”

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