Rifkin e il suo superficiale modello di nuova economia

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Dopo aver concepito un'economia basata sull'idrogeno, che dopo dodici anni sembra essere miseramente fallita, ora Rifkin propone un altro modello basato su fonti rinnovabili, internet (delle cose) e stampanti 3D. Un articolo di GB Zorzoli spiega perché la sua società 'immaginaria' resta anche stavolta una costruzione sbagliata e arbitraria.

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Nel 2002 Jeremy Rifkin pubblicò “Economia dell’idrogeno”, un intero volume dedicato alle prospettive di una gestione democratica e decentrata del sistema energetico, grazie alla ormai raggiunta maturità tecnologica delle celle a combustibile e alla possibilità di alimentarne con idrogeno prodotto a basso costo. Entrambe le ipotesi erano clamorosamente sbagliate, come misi allora in evidenza, in particolare con un dettagliato articolo (“La promessa idrogeno”) sulla rivista Energia.

Infatti, sono passati dodici anni e dell’economia dell’idrogeno non v’è traccia, nemmeno nell’ultimo libro di Rifkin (“La società a costo marginale zero”), dove le celle a combustibile sono menzionate soltanto una volta, come uno dei possibili propulsori delle auto (p. 96), e l’idrogeno, allora definito “l’elisir energetico”, esclusivamente come una delle modalità di accumulo dell’energia (p. 142); citazioni che in entrambi i casi occupano meno di una riga.

Con scarsa onestà intellettuale, Rifkin si guarda bene dallo spiegare perché la previsione del 2002 è clamorosamente fallita; in compenso ne inventa un’altra, più pericolosa della precedente. Mentre la maturità tecnologica delle celle a combustibile e quella economica dell’idrogeno erano due colossali bufale, adesso, per costruire un non troppo lontano futuro radioso della società umana, Rifkin mette insieme tre innovazioni di indubbio successo e di altrettanto certo futuro – rinnovabili, internet e in particolare internet delle cose, stampanti 3D –  che a suo dire hanno in comune la caratteristica d’essere a costo marginale quasi nullo.

L’affermazione è discutibile per la stampante 3D e, per applicarla alle rinnovabili, con grande disinvoltura Rifkin cita solo l’energia solare, eolica o prodotta dai rifiuti, ma ignora la biomassa vergine (p. 37): evidentemente ai suoi occhi ha la grave colpa di non essere a costo marginale pressoché nullo. Probabilmente per la medesima ragione, Rifkin non approfondisce il ruolo che in una società futura conserveranno settori come la produzione e la trasformazione dei prodotti alimentari o l’industria siderurgica, difficilmente classificabili a costo marginale tendente a zero.

Per ovviare al fatto che internet, come l’energia eolica e solare, sono caratterizzati da elevati costi d’investimento, Rifkin propone che per queste e altre applicazioni (ad esempio le reti energetiche) tali oneri siano a carico dello stato, il quale dovrebbe destinarvi una parte del gettito fiscale. In tal modo, dimenticando i comparti economici dove è difficile ipotizzare che si arrivi a costi marginali vicini allo zero, Rifkin riesce ad immaginare una società dove al cittadino tutto costi quasi nulla.

Questo scenario gli permette di risolvere brillantemente un altro problema, sulla cui soluzione in tutto il mondo si confrontano e si scontrano economisti e sociologi: la disoccupazione indotta soprattutto dalle innovazioni informatiche, che minacciano di ridurre drasticamente le opportunità di lavoro, anche di natura intellettuale. In questo caso riprendendo la tesi di un suo precedente libro (“La fine del lavoro”), Rifkin afferma che, in una società in cui tutto è praticamente gratis, dove “la penuria è stata sostituita dall’abbondanza” (p. 152), il lavoro retribuito verrà rimpiazzato da attività nell’economia sociale: “non è improbabile che tra mezzo secolo i nostri nipoti guardino al periodo del lavoro di massa svolto nel contesto di mercato con lo stesso senso di incredulità con cui noi oggi guardiamo alla condizione di schiavitù e di servitù dei secoli passati” (p. 186).

Incurante del fatto che in tal modo crolla la sua, già di per sé arbitraria costruzione – dove, venendo meno una parte rilevante del possibile prelievo fiscale, lo stato troverà le risorse per finanziare i costi di investimento? – Rifkin procede imperterrito, sostenendo che stiamo andando verso una società in cui tutti i beni saranno comuni. Naturalmente dall’alto della sua lungimiranza ritiene disdicevole confrontarsi con il dibattito in corso su quali beni vadano considerati comuni e sui problemi da superare per la loro gestione. A suo avviso siamo in presenza di una tendenza inarrestabile, e più non rimandare. Analogo è il suo approccio a nuovi e positivi fenomeni, come la sharing economy e il crowdfunding.

Proprio perché “La società a costo marginale zero” propone soluzioni sbagliate, o eccessivamente superficiali per essere credibili, affermando che in tal modo si potrà realizzare una società che avrebbe sostanzialmente le stesse caratteristiche della green society, l’argomento del contendere è troppo importante per lasciare che un falso profeta lo screditi impunemente, dando il destro a chi lo osteggia e trovare nel suo libro abbondanti spunti per ridicolizzarlo.

Sono anch’io convinto che, per procedere il più celermente possibile sulla strada verso la green economy, occorra essere armati di molta immaginazione, la quale, oltre ad essere la prima fonte della felicità umana (Leopardi), ci può portare ovunque (Einstein). Purché sia creativa e costruttiva, non finalizzata ad épater le bourgeois e a vendere qualche copia in più del proprio libro.

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