Regalo agli inceneritori nel decreto per la direttiva efficienza?

La definizione di “sistemi di teleriscaldamento efficienti” nello schema di decreto per il recepimento della direttiva sull'efficienza energetica equipara di fatto gli impianti alimentati da rifiuti a quelli alimentati da rinnovabili. Gli inceneritori avranno così la porta aperta ai probabili trattamenti di favore per impianti “efficienti”.

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Il diavolo è nei dettagli ed è in un dettaglio del recente schema di decreto per il recepimento della direttiva europea sull’efficienza energetica che potrebbe nascondersi l’ennesimo regalo agli inceneritori. Stiamo parlando di una definizione, quella di “sistemi di teleriscaldamento efficienti”, stando alla quale anche un impianto che brucia rifiuti urbani potrebbe essere considerato parte di un sistema di teleriscaldamento “efficiente” al pari di uno alimentato a fonti rinnovabili.

La definizione in questione è alla lettera ll, comma 2, articolo 2 dello schema di decreto. I “sistemi di teleriscaldamento e teleraffreddamento efficienti”, si legge, comprendono ogni sistema che usi “in alternativa, almeno: il 50 per cento di energia derivante da fonti rinnovabili; il 50 per cento di calore di scarto; il 75 per cento di calore cogenerato; il 50 per cento di una combinazione delle precedenti”.

Definizione che peraltro non viene dalla penna del nostro MiSE, ma è presa dalla direttiva europea da recepire, la 27 del 2012 sull’efficienza energetica (precisamente dal comma 41 dell’articolo 2)

Come specificato dal Governo interpellato sulla questione in Commissione, “la normativa prevede (cfr. decreto MiSE del 6 luglio 2012, Allegato 2, punto 6.1) che il calore fornito dagli inceneritori che bruciano RSU (Rifiuti Solidi Urbani, ndr) indifferenziati o Combustibile Solido Secondario (CSS) ricavato da RSU è per il 51% attribuito a fonte rinnovabile. Altre tipologie di rifiuti non pericolosi (es. plastica, pneumatici fuori uso, ecc.), se bruciate (fino ad un massimo del 30% in peso) insieme a RSU sono assimilate al 51%”.

Ciò vuol dire in sostanza che sarà possibile considerare efficienti anche gli impianti di incenerimento tradizionali, equiparando di fatto il 50% del calore di scarto da incenerimento dei Rifiuti Solidi Urbani alla combustione di biomasse e al calore cogenerato. La definizione di teleriscaldamento e teleraffrescamento efficienti inoltre si basa solo sulla tipologia di combustibile utilizzato, senza minimamente considerare le perdite di efficienza in produzione e della rete; ad esempio, un utilizzo del calore di scarto per il 51% accoppiato a una rete di teleriscaldamento di 50 km e con una perdita di 20 gradi nel suo tragitto potrà comunque essere considerata “efficiente”.

“Oltre ad essere una definizione tecnicamente sbagliata, risulta anche potenzialmente dannosa per gli utilizzatori finali: le inefficienze del sistema di generazione e distribuzione ricadranno tutte su di loro in termini di maggior combustibile pagato. Inoltre l’uso in alternativa di almeno il 50% di calore di scarto che di fatto equipara l’incenerimento di RSU alla combustione di di biomasse e al calore cogenerato  non assegna il giusto valore alle centrali che producono energia con simili fonti”, spiega a QualEnergia.it il deputato Davide Crippa dell’M5S, che ha sollevato la questione.

Insomma, una definizione – quella della direttiva europea ripresa nello schema di decreto – che avrebbe potuto essere scritta meglio e che potrebbe avvantaggiare ingiustamente gli inceneritori, garantendo loro la discutibile etichetta di “efficienti”. “Potrebbe” perché parte delle regole in materia di teleriscaldamento restano ancora da scrivere. Il teleriscaldamento “efficiente” infatti – ci dicono fonti addentro alla materia – avrà dei vantaggi, al momento non ancora definiti, come la priorità nell’accesso ai finanziamenti del fondo per il teleriscaldamento (al quale, ricordiamo, possono accedere impianti alimentati con qualsiasi fonte) e nell’erogazione delle garanzie.

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