Il gas naturale non è il ‘ponte’ giusto per la transizione energetica?

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Il metano è il primo agente climalterante, particolarmente entro i primi 30 anni dall'emissione, anche per le fuoriuscite dalle reti di trasporto e nella distribuzione. Per Francesco Meneguzzo e Mario Pagliaro del CNR la soluzione per arrestare la crisi climatica è elettrificare gli usi finali dell’energia utilizzando le fonti rinnovabili.

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Robert Howarth del Dipartimento di ecologia e biologia evolutiva alla Cornell University ha appena pubblicato su Energy Science & Engineering (abstract), un’analisi che amplia e conferma i dati presentati su Nature tre anni prima: il gas naturale convenzionale è il maggiore inquinatore del clima a causa del grande effetto climalterante prodotto dal metano liberato nell’atmosfera dalle fuoriuscite dalle reti di trasporto e distribuzione, oltre che dai siti di estrazione (particolarmente intense nel caso dei pozzi di fratturazione, fracking).

Ben il 44% dell’effetto serra aggiunto a quello naturale dalla prima rivoluzione industriale a oggi è dovuto direttamente al gas metano. Il metano, infatti, è un gas a effetto serra 25 volte più potente dell’anidride carbonica, mentre il suo tempo medio di residenza in atmosfera non supera i 30 anni. Oltre alla sua trasformazione in anidride carbonica per mezzo della reazione con l’ossigeno atmosferico, occorre considerare le emissioni dirette di metano, sia naturali che di origine tecnologica.

Secondo Howarth qualsiasi contributo ulteriore ai gas serra può essere estremamente pericoloso – anche nel breve termine di uno o due decenni – per cui ha molto più senso considerare l’effetto serra del metano durante i suoi 20 o 30 anni di residenza in atmosfera, piuttosto che su scala secolare.

Limitandosi quindi ai prossimi 20 anni, Howarth trova che sono soprattutto gli usi più comuni del metano – per il riscaldamento domestico, la produzione di calore nell’industria, l’alimentazione dei veicoli e, infine, per la generazione termoelettrica – i principali responsabili della trasformazione di questo gas nel principale agente climalterante. Proprio per le distanze di trasporto, l’obsolescenza delle reti e le conseguenti perdite.

La fonte energetica ‘ponte’?

Fin dagli anni ’80 del secolo scorso, il gas naturale è stato considerato la fonte energetica più pulita tra tutti gli idrocarburi. Con un solo atomo di carbonio e quattro di idrogeno, il metano (CH4) era il migliore candidato a far da “ponte” tra l’era dell’energia ad alta intensità di carbonio e l’economia a basso tenore di carbonio, in prospettiva dominata dalle fonti rinnovabili, cioè acqua, vento, sole, geotermia e biomasse, con l’idrogeno come vettore ad alta densità.

Sulla scorta della pressione ecologista, della comunità scientifica rappresentata dal Ipcc, l’organismo istituito dall’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, e, non secondariamente, dalla crescente instabilità delle aree di estrazione del petrolio, soprattutto in Europa si è realizzata l’epocale transizione al metano quale fonte energetica primaria. Fino almeno al 2009, in Italia quasi il 65% della generazione elettrica avveniva per mezzo del gas naturale (quota in seguito erosa dalla diffusione delle rinnovabili).

La gran parte della politica energetica nazionale ed europea, oltre alla corsa ad ostacoli delle fonti rinnovabili, è stata centrata negli ultimi 25 anni sull’accesso più sicuro e conveniente al gas naturale.

I primi studi critici

Tra il 2011 e il 2012, insieme alle crescenti evidenze dell’approssimarsi del punto di non ritorno del riscaldamento globale, testimoniato per esempio dal collasso della superficie e del volume del ghiaccio marino nell’Artico [Stroeve et al., 2014], la comunità scientifica ha iniziato a interrogarsi sul reale beneficio climatico apportato dal gas naturale rispetto agli altri combustibili fossili.

Negli Usa, nel 2011 Howarth pubblicò due articoli – di cui uno su Nature – destinati a sollevare il dibattito sugli impatti climatici globali dell’estrazione di gas di scisto [Howarth et al., 2011a, 2011b], in cui dimostrava che nei primi 20 anni dall’emissione, l’impatto delle fuoriuscite di gas naturale nelle fasi di fratturazione e di trasporto nelle tubazioni erano talmente elevate che, a parità di energia utilizzabile, il loro contributo all’effetto serra era stimato perfino doppio rispetto al carbone; e ancora pari a quest’ultimo nell’orizzonte dei 100 anni.

Sul fronte del gas naturale convenzionale, per esempio quello trasportato in Italia e in Europa dai gasdotti provenienti dalla Russia, dall’Algeria e dalla Libia, studi condotti in Italia da Gioli, Miglietta e Vaccari all’Istituto di biometeorologia del Cnr dimostrarono che le emissioni dirette di metano a Firenze rappresentavano quasi il 10% del contributo cittadino all’aumento dell’effetto serra; in larga parte (per l’86%) dovute a fuoriuscite dalla rete di distribuzione urbana. E questo limitatamente a una città di medie dimensioni.

Le perdite lungo le molte migliaia di km di reti del gas che si snodano fino alle più piccole comunità, anche molto lontane dai gasdotti principali, sono drasticamente maggiori, e spiegano i risultati dei calcoli di Howarth.

Elettrificare gli usi finali dell’energia

Negli stessi giorni, la Borsa elettrica ha pubblicato la notizia che il 55% dell’elettricità prodotta e venduta è di origine solare (eolico e idroelettrico sono due forme dell’energia solare che si rinnova ogni giorno e ogni anno). E questa è proprio la strada raccomandata da Howarth anche per gli Stati Uniti e per tutti i maggiori Paesi industriali: passare all’elettricità solare, generata per mezzo delle fonti rinnovabili e convertire in elettrici gli usi finali dell’energia, a partire dal riscaldamento e dai trasporti. Ovvero, dire addio alle caldaie e ai motori termici, due tecnologie del XIX secolo.

Per l’Italia questo significa in primo luogo accelerare ulteriormente lungo la strada dell’energia solare; e adottare su vasta scala tanto le tecnologie ad altissima efficienza per il riscaldamento e la generazione di calore industriale (come le pompe di calore), che quelle della mobilità elettrica. Con la sicurezza che il clima non ci lascia scelta.

Nota della redazione:

Come sottolineato dall’articolo, il problema delle emissioni legate alla filiera del gas naturale, specie quelle causate dal fracking, ha dimensioni rilevanti e non va trascurato. Tuttavia, va ricordato che il ruolo principale delle emissioni di metano è dato dall’agricoltura: tra le emissioni antropogeniche di metano circa 200-250 Tg l’anno vengono da coltivazioni e allevamento, contro i 70-120 Tg/anno causati dai combustibili fossili. Nell’ambito dei fossili, poi le emissioni di metano legate al carbone sono doppie di quelle legate a petrolio e metano (riporta uno studio riferito a dati risalenti fino al 1994 ma presumibilmente ancora rappresentativi). Dunque, pur concordando con gli autori sulla urgente necessità di accelerare la corsa verso le rinnovabili, anche tramite l’elettrificazione dei consumi, vogliamo ricordare che il gas, tra le fossili, al momento resta pur sempre quella con il minor impatto ambientale. Un “ponte” con costi climatici importanti, da percorrere il più in fretta possibile (anziché stabilirvicisi come vorrebbe qualcuno che programma eccessivi investimenti in infrastrutture), ma rispetto al quale al momento sembrano mancare passaggi alternativi. Cosa ne pensate?

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