Scenari di una transizione energetica in atto

Attori e strategie in trasformazione nel nuovo orizzonte energetico: fonti rinnovabili ed efficienza imporranno un cambio di strategie da parte delle utilities per aprire nuovi mercati. Ma al momento prevale l'attacco frontale all'energia verde. L'editoriale di Gianni Silvestrini per l'ultimo numero della rivista bimestrale QualEnergia.

ADV
image_pdfimage_print

Versione dell’articolo in pdf

Grande è la confusione sotto il cielo delle rinnovabili, in Italia e non solo. Per questo è importante capire l’orizzonte strategico di queste fonti e i possibili scenari per i vari attori energetici. Partiamo da alcuni dati che rimarcano l’ampiezza delle trasformazioni in atto. Spagna: ad aprile le rinnovabili hanno coperto il 54% della produzione elettrica mettendo in tilt un sistema sovradimensionato a causa della connessione, negli ultimi anni, di ben 26.000 nuovi MW di cicli combinati, al momento totalmente inutili. Portogallo: nel primo trimestre di quest’anno oltre il 70% della generazione è stata soddisfatta dalle rinnovabili, a fronte di un calo di oltre un terzo della produzione termoelettrica. Giappone: nel primo semestre 2013 sono stati installati 3.400 MW fotovoltaici, mentre i reattori nucleari sono al momento totalmente disattivati. E potremmo continuare con i risultati di Germania, Danimarca, Cina e, per finire, dell’Italia dove boom di rinnovabili e calo della domanda hanno comportato la chiusura di diverse centrali. Per capire meglio l’entità dei cambiamenti si consideri che nel nostro Paese, ad agosto, l’elettricità verde ha coperto il 41% della produzione elettrica (con il fotovoltaico arrivato a sfiorare il 12%). 

Ma la corsa delle rinnovabili potrà continuare? Alcuni elementi, come la costante riduzione dei costi a fronte di difficoltà crescenti per la produzione convenzionale, sono certamente favorevoli. Dovranno però essere affrontati importanti investimenti per trasformare le reti. Decisivo sarà il contesto delle prossime negoziazioni sul clima.

Rinnovabili competitive, fossili in affanno

Nelle zone più promettenti le rinnovabili sono già adesso competitive rispetto alla generazione convenzionale, senza incentivi. In Brasile l’eolico si è aggiudicato il 55% delle aste per nuova potenza degli ultimi tre anni con prezzi scesi del 41% rispetto al 2009. Il vento è ormai così competitivo da spiazzare centrali a gas e a carbone, tanto che il Governo di Brasilia ha dovuto creare aste particolari precluse all’eolico a protezione del termoelettrico. Anche il fotovoltaico sta iniziando a diffondersi senza incentivi. La possibilità del solare di poter competere direttamente con le bollette elettriche fa intravvedere scenari interessanti nei Paesi con alti prezzi dell’elettricità come Germania, Italia, Giappone. In Spagna gli impianti solari su edifici realizzati in grid parity si stanno già diffondendo. Si prepara inoltre la prima ondata di centrali solari destinate a immettere elettricità direttamente in rete. Sia in Spagna sia in Cile sono state avanzate richieste per molti GW per realizzare impianti con taglie di 150-500 MW. Naturalmente, la diffusione dipenderà fortemente dalle scelte di regolazione e già si vedono i tentativi di bloccare il fotovoltaico per il timore che questa “disruptive technology” possa crescere in maniera incontrollata.

Passando alla generazione convenzionale, diversi elementi rendono invece preoccupante il futuro di questo comparto. Molti reattori nucleari, ormai obsoleti, avranno bisogno di adeguamenti (EDF intende spendere 50 miliardi € entro il 2025 per allungare di 20 anni la vita delle centrali operanti in Francia), cui seguiranno onerosissimi smantellamenti e la creazione di cimiteri di scorie ancora più costosi. Le centrali a carbone dovranno confrontarsi con limiti alle emissioni più rigorosi e, in alcuni Paesi, con il pagamento di quote di CO2 che già penalizzano gli economics.

Ed è proprio la questione climatica che potrà aggravare significativamente la competitività delle centrali a gas o a carbone. Se nel 2015 si raggiungerà un accordo mondiale per contenere le emissioni climalteranti, le fonti rinnovabili non potranno infatti che essere avvantaggiate. Ma altri elementi vengono a turbare i sonni tranquilli del mondo tradizionale dell’energia. Come la campagna “Divest Fossil” per spingere a disinvestire le azioni legate alle multinazionali dei combustibili fossili, che ha già visto il coinvolgimento di 300 campus universitari negli Usa replicando analoghe iniziative di successo dei decenni scorsi contro il tabacco e contro la segregazione in Sud Africa.

Sempre sul versante degli investimenti c’è poi il rischio che si stia formando una gigantesca “bolla di carbonio”. Infatti tra il 60 e l’80% delle riserve di carbone, petrolio e gas delle aziende quotate in borsa non saranno utilizzabili in presenza di un impegno a evitare che la temperatura del Pianeta si innalzi più di 2 °C. «Gli investitori attenti si stanno accorgendo che puntare su questo tipo di aziende sta diventando una scelta molto rischiosa», afferma Sir Nicholas Stern, già capo economista della Banca Mondiale e presidente della British Academy. Dunque, tutto fa prevedere che, seppure in modo diversificato nei vari Paesi, la crescita delle rinnovabili continuerà. Questo scenario comporterà nuove regole di funzionamento del sistema e profonde trasformazioni del ruolo degli attori coinvolti.

Grandi gruppi all’attacco …

La rapidità della crescita dell’elettricità verde ha spiazzato non solo i produttori storici, ma anche i Governi di molti Paesi generando risposte diversificate, ma generalmente difensive. La situazione più difficile si sta registrando in Spagna con l’introduzione di misure retroattive e la proposta di tassare la produzione fotovoltaica auto-consumata, un’idea che, con un ribaltamento dei ruoli rispetto all’Italia, è stata bocciata proprio dall’autorità regolatrice iberica, CNE.

Anche i grandi gruppi energetici si stanno mobilitando. Significativa l’audizione alla Commissione Energia del Parlamento europeo all’inizio di settembre, nella quale gli amministratori delegati di Eni e GdfSuez, Paolo Scaroni e Gérard Mestrallet, in rappresentanza di nove dei maggiori operatori del Vecchio Continente, hanno lanciato un forte attacco alla strategia energetica della UE. «L’industria energetica europea non può soddisfare il suo potenziale in termini di crescita e di occupazione», hanno sostenuto. Tra le proposte avanzate spicca la richiesta di mettere un freno alle rinnovabili e di dare impulso all’estrazione di risorse fossili, incluse quelle non convenzionali, oltre alla preferenza per un unico target di riduzione sui gas climalteranti al 2030 – «ambizioso ma realistico» – e alla contrarietà nei confronti di obbiettivi specifici per rinnovabili ed efficienza.

Queste posizioni non stupiscono. «Il settore elettrico del Vecchio Continente sta attraversando uno dei più profondi cambiamenti della sua storia», si legge in un recente rapporto di Eurelectric dove si abbina l’analisi delle difficoltà del settore con alcune proposte per cambiare modello di business e sopravvivere.

I dati, in effetti, sono preoccupanti. I profitti sono calati del 10% tra il 2011 e 2012, e in alcuni casi molto di più. Il valore delle azioni di aziende come Enel, o delle tedesche E.On e RWE si è più che dimezzato negli ultimi anni. E i risultati economici sarebbero stati ancora peggiori senza gli investimenti nelle rinnovabili. Così l’utile netto di Enel Green Power, che rappresentava solo l’8% sul totale del gruppo nel 2009, nel primo semestre di quest’anno è passato al 17%. Le cause sono legate a tre fattori, la sovraccapacità termoelettrica, il calo della domanda e, soprattutto, il dinamismo delle rinnovabili, assolutamente non previsto dalle utilities, che ha comportato una combinazione micidiale: riduzione delle vendite di kWh e calo del prezzo della minore elettricità prodotta. Da qui la fiera opposizione degli ultimi mesi.

Ma un dato è certo. Anche se d’ora in poi non venisse immessa in rete alcuna elettricità da nuovi impianti rinnovabili, la situazione delle aziende elettriche non cambierebbe. Quando la produzione da rinnovabili raggiunge una massa critica, come è ormai il caso in diversi Paesi europei, l’impatto sul sistema elettrico risulta infatti irreversibile e cambia profondamente lo scenario della produzione.

Attori e strategie in trasformazione

Il nuovo modello che va emergendo vede tre tipologie di attori. Al settore storico delle utilities che gestisce larga parte delle centrali termoelettriche si è affiancato quello della produzione “concentrata” di rinnovabili (parchi eolici, centrali solari) gestita – in proporzione variabile nei diversi Paesi – da aziende elettriche storiche e da nuovi entranti. Infine, è comparsa una terza area nella quale produttori e consumatori di elettricità coincidono, i “prosumers”, in grado di soddisfare con le rinnovabili parte del proprio fabbisogno. Quest’ultima componente, la generazione distribuita, al momento è minoritaria.

Il fotovoltaico, per esempio, vede 1 milione di utenze in Australia, mentre l’Europa ha superato i 3 milioni di impianti. I “prosumers” sono destinati ad accrescere notevolmente il loro ruolo che diventerà centrale in alcuni Paesi.

Quale sarà dunque l’evoluzione futura? La produzione termoelettrica calerà, pur mantenendo un ruolo fondamentale nella transizione e sopravviverà grazie all’introduzione di meccanismi di “capacity payment” in grado di remunerare il contributo di potenza indispensabile. Le rinnovabili concentrate si espanderanno, in particolare in alcuni Paesi come il Regno Unito. Ma l’incremento maggiore si avrà nella generazione distribuita verde, sia sul versante elettrico sia in quello termico. E questa invasione di campo ci porta a parlare del metano.

Anche il settore del gas, infatti, è in fibrillazione. I consumi europei sono calati del 14% rispetto al 2005, in parte per la crisi e in parte per lo spiazzamento dei cicli combinati da parte delle rinnovabili. E il futuro del comparto non è roseo. Le politiche di riqualificazione energetica dell’edilizia previste dall’ultima Direttiva sull’efficienza, 2012/27/EU, consentiranno infatti una forte riduzione dei consumi energetici nel settore civile. Per inciso, ricordiamo che entro il 30 aprile 2014 anche il nostro Governo dovrà definire una propria roadmap per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio al 2020 e per i decenni successivi, coerente con l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni di CO2 del settore civile a metà secolo.

Le prospettive di riduzione dei consumi nell’edilizia legati all’efficienza e al maggior uso di rinnovabili quali il solare, le biomasse, la geotermia preoccupano non poco le aziende del gas. Così come viene vista con sospetto la prossima diffusione del biometano per autotrazione. Da qui l’agitazione in atto.

Tornando all’audizione a Bruxelles, va sottolineato come «il potenziale in termini di crescita e di occupazione» che le utilities vedono minacciato, sarà più che compensato dalla presenza di molti nuovi attori dell’efficienza e delle rinnovabili. Del resto, nel citato documento di Eurelectric si afferma che le utilities dovranno cambiare modello di business e attrezzarsi per compensare il calo delle entrate legate alla produzione con la creazione di maggior valore aggiunto nella distribuzione. Occorre, si dice, un approccio dinamico nei confronti dei consumatori offrendo nuovi servizi sul versante dell’efficienza, degli accumuli, del Demand Response, della mobilità elettrica, del fotovoltaico distribuito. E diversi segnali fanno ritenere che questo riposizionamento sia già in atto.

Il settore degli utenti finali vedrà quindi i semplici consumatori sempre più corteggiati da parte delle utilities elettriche e del gas e una quota di autoproduttori destinata a crescere rapidamente. È dunque prevedibile un ribaltamento delle strategie degli attori storici. Al momento prevale l’attacco alle rinnovabili e la preoccupazione per gli obiettivi al 2030 su efficienza ed energia verde. Ma fra non molto partiranno le campagne in grande stile per offrire servizi nell’efficienza e nelle rinnovabili, là dove si concentra la possibilità di massimizzare gli utili, e cambierà anche l’atteggiamento delle aziende energetiche: inizialmente quelle elettriche, in tempi più lunghi anche quelle del gas. La fase di transizione coinvolgerà tutta l’Europa e, se gestita bene, porterà rilevanti vantaggi ambientali, economici e di sicurezza all’intero Continente.

L’articolo è stato pubblicato sul n. 4/2013 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo “Transizione in atto”

ADV
×