Come ti trasformo l’auto a benzina in un’ibrida elettrica

Trasformare la propria normalissima auto con motore a combustione in un moderno mezzo a motorizzazione ibrida o elettrica e risparmiare. Grazie a una tecnologia sviluppata da una spin-off del Politecnico di Milano è possibile. Una soluzione interessante ma con qualche ostacolo da superare. Abbiamo voluto approfondire la storia.

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La notizia non piacerà molto alle case automobilistiche, strozzate dalla crisi di vendite in Italia ed Europa, ma fra qualche tempo fra il continuare a usare auto vetuste, inquinanti e costose, e comprare un’auto nuova, sarà possibile scegliere una terza opzione: trasformare il proprio “macinino” in una moderna auto ibrida o elettrica. L’idea è venuta a ECo (cioè Electric&Hybrid-Drive Company), uno spin-off del Politecnico di Milano, con sede in Val d’Aosta, a cui collaborano anche due altre società, la Ireth, consulenza ingegneristica e di marketing internazionale, e la Mecaprom Technologies, che si occupa di tecnologie automotive.

Il concetto è intrigante, anche se non nuovissimo: realizzare kit di trasformazione per i modelli di auto più vendute, in grado di tramutarle in auto ibride. In questo modo non solo i proprietari “ringiovanirebbero” i loro mezzi, trasformandoli in auto a basso consumo ed emissioni, ma si eviterebbe anche l’inquinamento e lo spreco di materiali ed energia, connesso al rottamare mezzi ancora perfettamente in grado di viaggiare, per costruirne da capo di nuovi. 

I kit della ECo saranno di due tipi diversi. Nel primo caso (range extender, simile alla configurazione usata nella Opel Ampera), il motore dell’auto verrebbe rimosso, sostituito da un generatore elettrico con piccolo motore a scoppio (che in futuro potrebbe anche andare a metano o biocombustibili), che alimenta una batteria che, a sua volta, fa muovere un motore elettrico di potenza sufficiente a far andare l’auto in tutte le situazioni. Questo tipo di auto va sempre elettricamente, con un’autonomia della batteria, ricaricabile anche esternamente, di una cinquantina di chilometri. Ma quando la batteria durante la marcia scende sotto a un livello minimo (circa 1/3 della carica massima), il generatore entra in azione ricaricandola e permettendo così una percorrenza limitata solo dai rifornimenti di carburante.

Nel secondo caso (bimodale, simile alla configurazione delle auto ibride più diffuse, come la Toyota Prius) il motore a scoppio resta, ma viene affiancato da un meno potente motore elettrico collegato all’asse anteriore dell’auto, che viene alimentato da una batteria, ricaricabile anche esternamente.  In questo caso l’auto, in modalità solo elettrica, può fare una quarantina di chilometri, prima di essere ricaricata “alla spina”, ma può anche andare con il solo motore a scoppio o con la somma di entrambe le propulsioni, grazie a un’elettronica che sceglie la configurazione più adatta per le varie situazioni di marcia.

In entrambi i casi le batterie usate dalla ECo saranno modelli al litio di ultima generazione, che stanno entrando ora in produzione in Asia, del 30% più economici e più capienti di quelle attualmente in uso. Le batterie occuperebbero un centinaio di litri del bagagliaio, un po’ come i serbatoi del GPL.  «Abbiamo scelto questi tipi di ibrido, invece dell’elettrico puro, che pure consentirebbe una conversione anche più facile», spiega l’ingegner Paolo Bernardini, presidente Ireth «perché riteniamo che per ora l’elettrico non sia proponibile all’automobilista medio, per le limitazioni di percorrenza e per la scarsità di infrastrutture di ricarica».

Al momento il Politecnico sta sperimentando il sistema bimodale su una Grande Punto, mentre Mecaprom sta testando quello range extended su una Toyota iQ. Ma non saranno questi i primi kit ad uscire dalle linee della ECo «Credo che saremo pronti per la commercializzazione per l’autunno del 2013, iniziando con  kit di conversione per piccoli quadricicli per il lavoro e per la mobilità urbana. In seguito cominceremo a produrre quelli, più complessi, per i modelli più comuni di auto. Pensiamo che i nostri primi clienti saranno le flotte aziendali, comunali o i taxi, tutti soggetti molto sensibili ai crescenti costi del carburante».

Da allora, se tutto andrà come sperano alla ECo, chi si troverà un’auto vecchia (massimo 7, 8 anni di vita), ma ancora in buono stato, invece di rottamarla potrà farla diventare ibrida, con un intervento di circa 6 ore, in un’officina convenzionata. Ma converrà farlo? «In gran parte dipenderà dagli incentivi governativi messi a disposizione per le auto “ecologiche”. Il costo dei nostri kit, stimiamo, varierà da 7.000 a 11.000 euro, ma se l’incentivo da 5.000 euro, oggi previsto per l’acquisto di auto elettriche nuove, fosse esteso anche alla conversione, come speriamo avverrà, il costo scenderebbe così tanto che il prezzo del kit si recupererebbe, con il risparmio di carburante, in appena un paio di anni, percorrendo anche solo 10.000 chilometri ogni 12 mesi».

Fra la ECo e il successo di questa iniziativa, però, c’è un ostacolo legale grosso come una casa. Alcuni anni fa il professore Ugo Bardi, dell’Università di Firenze, con alcuni suoi amici, trasformò una vecchia 500 in un’auto elettrica, con l’idea di avviare un’attività di conversione, simile a quella ora tentata da ECo. Ma ben presto si resero conto che nel nostro Paese esistono norme che vietano di modificare la propulsione di un’auto, senza il consenso della casa produttrice. La Fiat, scoprirono, concede questi permessi per aumentare la potenza dei motori, come nel caso delle “auto truccate” tipo Abarth, ma non per diminuirla, come accade inserendo un motore elettrico (che essendo più efficiente di quello a scoppio, ha una sua potenza nominale minore). La prima Fiat 500 elettrica al mondo, quindi, fu costretta a girare solo con targa prova, e l’iniziativa imprenditoriale abortì.

Non succederà lo stesso con la ECo, tanto più che oggi l’idea di perdere clienti, concedendogli di convertire le vecchie auto invece di buttarle, renderà questa iniziativa ancora più indigeribile alle case automobilistiche? «Il problema esiste, ne siamo consapevoli. Ma intanto abbiamo raccolto consensi fra vari produttori di auto asiatici, che pensano che il nostro kit possa diventare un prodotto da abbinare ai loro modelli. E c’è grande interesse per questa idea anche nei Paesi del Medio Oriente, dove intendono evitare di consumare internamente petrolio, per esportarne il più possibile. In seguito parleremo anche con i produttori europei, per saggiarne la disponibilità e convincerli della validità dell’idea. Siamo convinti che per quelli di loro che non hanno per ora investito in auto ibride, i nostri kit di conversione potrebbero anche essere montati direttamente in fabbrica su auto nuove, evitandogli le spese e i tempi necessari per elaborarli internamente. Se poi alcune case fossero del tutto refrattarie, si potranno percorrere altre strade, per esempio omologando autonomamente il kit in altre motorizzazioni europee, il cui parere comunque sarebbe valido anche da noi, garantendo poi la stessa certificazione nelle auto convertite a ibrido in officine autorizzate».

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