Fossili contro rinnovabili: ora la bioraria conviene meno

È meno dell'1% il risparmio in bolletta di un consumatore attento con la tariffa bioraria: la differenza del prezzo dell'elettricità tra le fasce orarie si riduce sempre di più. Colpa della lotta tra le rinnovabili, che tengono basso il prezzo del kWh di giorno, e i produttori da fonti convenzionali, che per rifarsi alzano i prezzi in fascia serale.

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Da una parte ci sono le rinnovabili che stanno facendo sentire il loro peso sul mercato elettrico, dall’altra i produttori da fonti tradizionali che cercano di difendere i loro guadagni. Nel mezzo il consumatore, che paga di più in bolletta e inoltre vede quasi annullato il vantaggio che potrebbe avere approfittando appieno della tariffa bioraria, concentrando i consumi nelle fasce in cui l’elettricità dovrebbe costare di meno.

L’ingresso delle fonti pulite nel nostro mercato elettrico sta avendo effetti sulla bolletta che vanno al di là della questione del peso degli incentivi, solitamente la più dibattuta. Uno di questo è appunto che i risparmi che si possono ottenere spostando i consumi nella fasce orarie meno costose sono sempre più esigui e, se il mercato non verrà corretto, lo saranno sempre di più.

La differenza di prezzo tra l’elettricità nella fascia diurna lavorativa, la cosiddetta F1, e nelle fasce serali, notturne e festive, le F2 e F3, infatti, è sempre più ridotta. Le cause vanno cercate nell’esplosione del fotovoltaico, che ha tagliato il prezzo dell’energia durante il giorno, e nella reazione dei produttori da fonti tradizionali che, si presume da più parti, per rifarsi dei guadagni che il solare sottrae loro di giorno stanno facendo schizzare verso l’alto il prezzo nel picco serale. Una dinamica che abbiamo provato a illustrare su queste pagine (Qualenergia.it, Un cartello delle fossili per difendersi dal fotovoltaico?).

Prima dell’esplosione del fotovoltaico, che ha sorpassato i 13 GW di potenza di cui 9 allacciati nel 2011, alla Borsa elettrica c’erano due picchi di prezzo, uno di giorno, verso le 11 di mattina, e uno di sera, verso le 18-20. Ora il picco delle 11 di mattina è praticamente scomparso ma ‘in compenso’ il picco di prezzo serale è salito alle stelle. Se il giovedì 13 marzo 2008 tra le 18 e le 20 non si superavano i 120 €/MWh, giovedì 14 marzo 2012 alla stessa ora si sono sfiorati i 175 €/MWh a livello nazionale e i 250 €/MWh in mercati di zona come quello sardo (che concorrono a formare il prezzo nazionale).

Quel che succede è che il fotovoltaico, assieme alle altre rinnovabili, producendo a costi marginali nulli (non serve più combustibile per dare un kWh in più), di giorno fa concorrenza alle centrali tradizionali e riesce a contenere il prezzo dell’energia. È il cosiddetto peak shaving che, secondo le ultime stime Irex, nel 2011 ha tagliato la bolletta di circa 400 milioni di euro. A rimetterci sono i produttori da fonti tradizionali, specie chi ha investito in nuovi impianti a ciclo combinato, che durante il giorno deve spesso tenere ferme le centrali, con evidente danno economico. L’ipotesi di Qualenergia (supportata da esperti quali G.B. Zorzoli e Davide Tabarelli e che la stessa Assoelettrica non smentisce) è che dietro l’impennata del prezzo nel picco serale ci sia il tentativo dei produttori da fonti convenzionali di rifarsi dei guadagni erosi nella fascia diurna.

Un fenomeno che Autorità e Antitrust dovrebbero indagare, vista l’ipotesi di cartello, ma che intanto sta producendo due grossi effetti: fa costare l’elettricità più di quanto potrebbe costare se il sistema fosse efficiente e meno distorto e, in più, erode il risparmio che si potrebbe ottenere con la tariffa bioraria. “Quando si è pensata la bioraria alla Borsa elettrica, la differenza del prezzo dell’elettricità tra le fasce F1 e F2-F3 in Borsa era del 30%, ora è scesa sotto il 4%”, spiega a Qualenergia.it Mauro Zanini, esperto di energia di Federconsumatori.

Attualmente, con un consumo annuo di 2.700 kWh, l’utente attento che concentra il 70% dei consumi nelle fasce meno costose risparmia circa 4,80 euro, cioè solo l’1%, rispetto all’utente meno virtuoso che in F2 e F3 ha solo il 55% dei consumi. Se consumasse 3.500 kWh il risparmio sarebbe di 6,40, lo 0,91%, dicono i calcoli fatti dall’associazione consumerista per un rapporto di prossima pubblicazione.

Un risparmio che sarà ancora più esiguo in futuro, a meno che la dinamica di mercato che abbiamo spiegato non venga corretta. Il modo in cui il prezzo dell’elettricità in Borsa nelle diverse fasce si ripercuote sulle tariffe in bolletta, infatti, è in parte mediato e questo sta attutendo l’effetto: l’Acquirente Unico (l’ente che acquista sul mercato l’energia per i clienti del servizio di maggior tutela) compera l’energia in parte in Borsa e in parte con contratti a lungo termine. Quando la sempre più ridotta differenza di prezzo in Borsa tra le fasce, che si sta manifestando in questi ultimi tempi, verrà assorbita anche nei contratti a lungo termine il risparmio in bolletta, che la bioraria può dare, verrà ulteriormente limato.

Si svuota così questo strumento di gestione della domanda che, spostando i consumi nelle fasce orarie “di valle”, oltre a far risparmiare i consumatori potrebbe dare grossi benefici ad ambiente e sistema elettrico: l’Aeeg stima che, se l’insieme delle famiglie italiane spostasse il 10% dei consumi nei periodi più favorevoli, si otterrebbe una riduzione di 450mila tonnellate l’anno di CO2 (equivalente alle emissioni di una centrale in grado di soddisfare i consumi di una città di circa 500mila abitanti), si risparmierebbero circa 9 milioni di euro l’anno per minori emissioni, circa 80 milioni come costo per combustibile e oltre 120 milioni come costi di impianto.

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