Il fotovoltaico su terreni agricoli e i sassi dai cavalcavia

Le modifiche alla normativa per gli impianti fotovoltaici su terreni agricoli nel decreto liberalizzazioni rischiano di avere pesanti effetti sugli investimenti in corso. Anche diversi impianti già completati, ma non allacciati, verrebbero lasciati senza incentivi. Ne parliamo con uno degli operatori colpiti, Marco Matteini di Fedi Impianti.

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“E’ un po’ come se prima fosse stata aperta al traffico una nuova autostrada e poi, per altre considerazioni e pressioni varie, venisse deciso di chiuderla, buttando pietroni dai cavalcavia prima ancora di aver dato il tempo agli autotrasportatori di uscire dai caselli e cambiare percorso”. Il paragone colorito è di Marco Matteini, presidente di FEDI Impianti e rende bene l’idea di come chi ha investito in impianti fotovoltaici su terreni agricoli sta vivendo le novità introdotte con l’art. 65 del decreto liberalizzazioni.

La norma, che nella sua prima (maldestra) stesura diffusa venerdì avrebbe favorito una corsa deregolata a questo tipo di installazioni, è stata modificata all’ultimo momento. Nella sua versione definitiva invece, mantiene le restrizioni definite dal d.lgs 28 del marzo 2011 e dà lo stop, dal 24 gennaio 2012, agli incentivi per tutti gli impianti su terreni agricoli. Dando origine però, denunciano gli operatori, a pericolosi effetti retroattivi che colpirebbero investimenti in corso e addirittura impianti già autorizzati e completati. Ne parliamo con il presidente di una delle molte aziende danneggiate dal nuovo provvedimento.

Matteini, quali sono le ricadute pratiche di questa novità normativa?

La prima formulazione dell’articolo 65 era chiara e lineare e per gli operatori EPC (che fanno impianti in conto terzi, ndr) come noi condivisibile. Con la versione approvata definitivamente, invece, sono state inserire tre righe che contraddicono il senso del provvedimento, che doveva essere restringere la possibilità di fare impianti su terreni agricoli, serre escluse, dando però una moratoria per quelle situazioni in cui sono già stati acquisiti i permessi.

Ci spieghi perché.

Il decreto Romani (d.lgs. 28 – 2011, qui l’articolo 10 sul FV a terra, ndr) dava come termine per realizzare questi impianti, allacciamento compreso, il 28 marzo 2012. Noi tutti ci eravamo programmati in modo da riuscire a rispettare quella scadenza, assumendoci comunque un rischio, dato che i tempi di connessione sono sempre al di fuori del controllo dell’operatore EPC. Con questa nuova modifica non c’è più nemmeno la data del 28 marzo: dopo percorsi autorizzativi e progettuali molto lunghi e tortuosi, si parla anche di anni, ci troviamo con impianti anche finiti e in attesa di allacciamento che non hanno più diritto agli incentivi.

Ma il nuovo articolo 65 fa espressamente salvi tutti quegli impianti che hanno ottenuto o richiesto il titolo abilitativo, ossia l’autorizzazione, entro il 24 gennaio 2012. Come è possibile che vengano colpiti  investimenti già fatti?

Tra le aggiunte fatte nell’ultima versione ci sono quelle tre righe in cui si dice che detti impianti si debbono comunque applicare le condizioni dei commi 4 e 5 del articolo 10 d.lgs 28. Cioè i commi che impongono il limite di taglia di 1 MW e del 10% della superficie. Il decreto Romani però stabiliva, al comma 6 dello stesso articolo, che queste condizioni dovessero esser rispettate solo dagli impianti entrati in esercizio dopo il 28 marzo 2012. La nuova norma, abrogando questo comma 6, cancella la finestra, impedendo l’accesso agli incentivi a tutti quegli impianti che non abbiano le caratteristiche dei commi 4 e 5 del d.Lgs 28 e che non siano entrati in esercizio entro il 24 gennaio 2012.

Che impatto può avere questo sul settore?

Tutti gli investimenti già programmati, i lavori in corso e persino gli impianti conclusi, compreso quelli in attesa di allacciamento da effettuarsi entro tale data, resterebbero privi di incentivi, facendo così saltare tutti i piani economici sulla base dei quali è stato programmato il futuro di molte aziende. L’ennesimo provvedimento retroattivo. E che danneggia solo chi lavora, perché comunque banche e investitori si erano tutelate, stabilendo di concedere i finanziamenti e acquistare gli impianti solo ad incentivo ottenuto.

Si parla dunque di impianti già realizzati che rischiano di non ricevere gli incentivi …

Noi ad esempio abbiamo un impianto finito in Puglia che si contava di allacciare entro il 28 marzo e che dunque è rimasto fuori. Poi abbiamo altri 8 impianti per un totale di 9 MW che pensavamo di completare e connettere entro la stessa data, ma per i quali eravamo in una fase molto avanzata dei progetti. Poi abbiamo anche un appalto pubblico …

Come farete con questi impianti?

Stiamo valutando, ma probabilmente andremo avanti, sperando in una modifica. Fermarsi vorrebbe dire mettere in dubbio la sicurezza del posto di lavoro dei nostri 80 dipendenti e dei circa 200 dell’indotto.

Sono possibili azioni legali contro questa norma?

Ci stiamo riflettendo. Anche a me, pur non essendo un giurista, appare evidente l’incostituzionalità di un provvedimento del genere per via della sua retroattività.

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