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Carburanti sporchi, petrolieri contro la California

Una lobby di petrolieri porta in tribunale la nuova legge californiana sulle emissioni nei trasporti: sarebbe incostituzionale. Prima misura del genere al mondo, il "low carbon fuel standard", penalizza i combustibili con maggiori emissioni nell'intero ciclo di vita. Davanti al giudice finisce un esempio che però molti si accingono ad imitare.

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È guerra tra i petrolieri e il governatore Schwarzenegger. Al centro della battaglia la legge della California che vorrebbe tagliare del 10% le emissioni dai trasporti al 2020. Si tratta del cosiddetto “low carbon fuel standard” (LCFS), un sistema che penalizza i carburanti più sporchi, ossia quelli con un ciclo di vita con alte emissioni di CO2, primo fra tutti il petrolio spremuto dalle sabbie bituminose del vicino Canada.

Ed ecco che, a meno di un mese dall’entrata in vigore dell’ LCFS (proposto già nel 2007, approvato ad aprile 2009 ma reso operativo da gennaio), gli interessi delle fonti fossili hanno già alzato la voce, iniziando una battaglia legale. Secondo la National Petrochemical & Refiners Association (NPRA) il sistema istituto sarebbe illegale poiché impone “balzelli non dovuti ed incostituzionali sul commercio interstatale”. Di più: secondo la lobby – cui si sono subito aggregati il Centre for North American Energy Security e i trasportatori dell’ American Trucking Associations – oltre ad avere “un impatto scarso o nullo” sulla riduzione della CO2, l’LCFS metterebbe a rischio la sicurezza energetica nazionale “penalizzando l’uso del greggio Canadese e dei biocarburanti prodotti nel mid West”.

Primo provvedimento del genere al mondo, l’LCFS californiano, infatti, cambierebbe di molto il mondo dei carburanti. Lo standard si basa sull’analisi dell’intero ciclo di vita dei vari combustibili, compresi cioè produzione e trasporto: “dal pozzo alla ruota” o “dal seme alla ruota” nel caso dei biocarburanti. Proprio attorno questi ultimi erano sorte delle controversie, in particolare sulla metodologia di conteggio delle emissioni legate al cambio d’uso del suolo: in una concessione all’industria dell’etanolo si è deciso che queste verranno calcolate solo a partire dal 2011.

Ai produttori la legge californiana impone riduzioni delle emissioni che devono arrivare al 10% al 2020. Tagli della CO2 che si possono ottenere migliorando l’efficienza della filiera o partecipando ad un mercato di scambio delle emissioni. Ad esempio, un produttore di petrolio potrà acquistare crediti da un azienda più “pulita” come una che produca idrogeno da rinnovabili: nell’intenzione dei legislatori un modo per incentivare i carburanti più sostenibili. E’ chiaro come la batosta più dura vada a quei combustibili con un bilancio in termini di emissioni disastroso, come il petrolio ottenuto dalle sabbie bituminose canadesi, che per ogni barile comporta il triplo delle emissioni rispetto al petrolio convenzionale (Qualenergia.it – “L’ultima spiaggia del petrolio”).

Accolta positivamente da ambientalisti e utility elettriche, la legge, come anticipato, solo il mese scorso ha visto l’approvazione dei regolamenti che la rendono operativa. Chi è contrario fa notare il timore per un aumento dei prezzi dell’energia (ma anche dei cereali vista la spinta che darebbe ai biocarburanti) e accusi la misura di protezionismo. Ora la legalità dell’LCFS verrà decisa al tribunale di Fresno. E si può stare certi che la battaglia sarà seguita ben oltre i confini della California: sono almeno 13 gli Stati Usa che stanno lavorando a provvedimenti analoghi, senza contare lo standard a livello federale contenuto nella versione del “climate bill” approvata alla Camera, ma, come si sa, ancora ferma al Senato.

GM

15 febbraio 2010

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