Un petrolio sempre più scarso

  • 24 Ottobre 2009

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Mentre il barile risale sopra gli 80 $ si torna a parlare del problema della scarsità del petrolio. Già nel 2015 potrebbe essere troppo poco per soddisfare la domanda. Due nuovi studi internazionali e l'opinione di Ugo Bardi, presidente di Aspo Italia, l'associazione che studia il picco del petrolio, riunita proprio in questi giorni in congresso nazionale a Lucca.

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Il petrolio finirà prima che il nostro mondo sia pronto ad abbandonarlo? E la carenza di greggio convenzionale darà una spinta a efficienza energetica e rinnovabili o vedrà il rilancio dei metodi di estrazione più sporchi e costosi, sabbie bituminose in primis? Dopo una tregua causata dalla crisi economica, il prezzo del petrolio è tornato a salire: anche oggi il barile era sopra gli 80 dollari, e proprio in questi giorni picco e scarsità del petrolio sono ritornati al centro del dibattito.

Oggi e domani, a Lucca, si sta infatti svolgendo il congresso nazionale di Aspo, l’associazione che studia il picco del petrolio. Che il petrolio sia destinato a divenire sempre più scarso e caro, per il professore Ugo Bardi, presidente di Aspo-Italia, raggiunto al telefono, è chiaro: “Il picco a mio avviso è già stato toccato nel 2008 – spiega – e ora siamo in una situazione piatta, tra qualche anno la produzione comincerà a scendere, mentre i consumi, specie nei paesi produttori sono in aumento”. Dunque verso un petrolio sempre più caro? “Certamente, la produzione diventa sempre più costosa, anche se i prezzi probabilmente non supereranno quelli raggiunti nel 2008”.

Nelle scorse settimane due nuovi studi hanno riportato al centro del dibattito il tema delle risorse petrolifere che presto saranno troppo scarse rispetto al fabbisogno mondiale. Entrambi con lo stesso stesso messaggio: i consumi aumentano più in fretta dei nuovi giacimenti scoperti e il mondo è ancora troppo dipendente dall’oro nero. Uno dei due studi, quello pubblicato dalla ONG Global Witness ha un titolo significativo: “Heads in the Sand” (vedi allegato), ossia “teste nella sabbia” . Il report è una sorta di grido d’allarme che, a partire dai dati dell’International Energy Agency, denuncia come il mondo non sia preparato ad affrontare il problema.

Secondo i dati del World Energy Oulook 2008 dell’IEA (Qualenergia.it, “La cruda realtà dell’energia mondiale” ) infatti il divario tra produzione e fabbisogno potrebbe sentirsi già dal 2015 e per quell’anno sarebbe pari al 7,7% della domanda mondiale. Per continuare a soddisfare il fabbisogno di petrolio globale da qui al 2030 si dovrebbero scoprire giacimenti per 64 milioni di barili, cioè pari a “6 volte quelli dell’Arabia Saudita”. “Heads in the Sand” però contesta la strategia suggerita dall’IEA per affrontare il problema e cioè investire di più nell’estrazione e ricorrere anche a forme di greggio non convenzionale, come quello ricavato dalle sabbie bituminose, uno dei modi più devastanti a livello ambientale di ottenere energia. Per Global Witness meglio investire nelle rinnovabili, anche se si sarebbe dovuto cominciare molto tempo prima a preparare la fase post-petrolio.

Anche l’altro report uscito la scorsa settimana, quello dell’UK Energy Reserch Center (vedi secondo allegato), evidenzia il problema della scarsità. Lo studio, in realtà, è una rassegna della letteratura sull’argomento e non si sbilancia in previsioni su quando il problema si manifesterà. La preoccupazione che ne emerge è però simile a quella di “Heads in the Sand”: “anche scoperte di grandi giacimenti come quella avvenuta di recente nel Golfo del Messico spostano solo di giorni o settimane il problema” vi si legge: occorrerebbe scoprire “un’Arabia Saudita ogni 3 anni” e le previsioni che la produzione continui a crescere oltre il 2030 sono “quanto meno ottimistiche e probabilmente irrealistiche”.

Insomma, la futura scarsità di petrolio pare un dato condiviso da molti. Come la si affronterà, chiediamo al professor Bardi? “Occorre ridurre in maniera controllata i consumi prima di essere costretti a farlo, quindi bisogna puntare sull’efficienza. Altra cosa investire sulle fonti alternative ai combustibili fossili, rinnovabili in primis, che però hanno ancora livelli di produzione troppo bassi”.

È dunque possibile che un petrolio con un prezzo elevato favorisca anche fonti ancora più inquinanti come le sabbie bituminose? “Non c’è veramente la corsa verso queste fonti – spiega Bardi – perché, oltre ad essere più inquinanti sono più inefficienti e più costose”. E il carbone? “Il carbone sta andando verso costi di estrazione sempre più cari; non ancora, ma in tempi non lunghissimi vedremo  un declino anche della la produzione di carbone”.

GM

23 ottobre 2009

 
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