Riforma ETS: come e perché l’Europa continua a fare sconti al carbone

La Polonia, capofila di vari paesi dell’Est, sta riuscendo a ottenere una serie di compromessi nei negoziati sulla nuova direttiva che regolerà il mercato della CO2 post-2020. Più permessi gratuiti ai combustibili fossili e utilizzo distorto dei fondi per la modernizzazione energetica.

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La Polonia, capofila dei paesi europei che continuano a sostenere la generazione elettrica a carbone, sta condizionando in modo pesante i negoziati trilaterali – tra Commissione, Consiglio e Parlamento UE – sulla riforma del sistema ETS (Emissions Trading Scheme).

La nuova direttiva fisserà le regole per il mercato della CO2 post-2020, coinvolgendo oltre 11.000 industrie dei 28 Stati membri (articolo di QualEnergia sui punti principali dell’ipotesi di riforma).

In sintesi, l’ETS è uno schema di tipo cap-and-trade, dove Bruxelles fissa un tetto annuale per le emissioni di anidride carbonica nei vari settori cosiddetti “energivori”, come cementifici, cartiere, centrali a carbone, raffinerie, stabilimenti chimici.

Le singole imprese, a loro volta, devono ricavare un numero corrispondente di crediti/permessi (allowances) di CO2, acquistandoli nelle aste pubbliche o sul mercato, da aziende virtuose che emettono meno CO2 di quella consentita, o ricevendoli gratuitamente da Bruxelles.

I negoziati di queste settimane vertono essenzialmente su due binari: da un lato, ridurre l’eccesso di quote invendute sul mercato, che si è accresciuto moltissimo negli ultimi anni, tanto da far crollare il prezzo della CO2 intorno a 5 € per tonnellata. Dall’altro, assecondare le richieste di quelle nazioni, Polonia in testa, che cercano di ottenere sconti per mantenere in attività i siti industriali più “sporchi”.

D’altronde, il costo della CO2 dovrebbe salire almeno a 30 €/tonnellata: sotto questa soglia, alle imprese non conviene investire in tecnologie pulite per abbattere le emissioni di gas-serra, tanto più se il flusso di permessi gratuiti (free allowances) rimarrà elevato (vedi anche QualEnergia.it).

Sono proprio i permessi gratuiti al centro delle attuali polemiche tra chi vuole rafforzare l’ETS e chi, invece, punta a conservare lo status quo.

Varsavia ha sempre chiesto, e ora ottenuto, stando alla bozza di compromesso riportata dall’agenzia EurActiv, di incrementare il numero di quote-CO2 che la Polonia, al pari di altri paesi dell’Est europeo, può assegnare gratuitamente alle centrali a carbone.

È una deroga prevista dall’articolo 10c per gli Stati membri più poveri, che teoricamente dovrebbe favorire la loro transizione dai combustibili fossili verso le fonti rinnovabili, perché il valore equivalente delle free allowances dovrebbe essere investito in progetti per modernizzare e variare il mix energetico.

La realtà è che la maggior parte di tali fondi europei è stata impiegata per potenziare gli impianti convenzionali, anziché installare nuova capacità rinnovabile.

La Polonia, negli anni passati, ha investito l’82% dei soldi provenienti dall’ETS nelle fonti fossili, tra cui la centrale a carbone di Belchatów, la più grande e inquinante d’Europa.

Alcuni paesi, tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna, riporta l’agenzia di stampa europea, hanno chiesto di vincolare i fondi per la modernizzazione energetica a un criterio ambientale (Emission Performance Standard) pari a 450g di CO2 per kWh, tale da escludere carbone e lignite dai finanziamenti.

Tuttavia, la presidenza estone di turno è riuscita a intavolare un compromesso che in sostanza elimina questa possibilità; “EP amendments on this topic are not acceptable”, si legge nella bozza della proposta. C’è il rischio, quindi, che l’ETS post-2020 continuerà a sussidiare le fonti fossili con decine di miliardi di euro spesi per estendere la vita utile degli impianti più obsoleti, senza alcuna protezione ambientale.

Infine, EurActiv riporta i malumori dei petrolieri, che temono le ripercussioni negative sulle raffinerie che si avrebbero con un mercato della CO2 più “corto”, con un numero decrescente di permessi di emissione.

I petrolieri chiedono sostanzialmente due cose: in primo luogo, mantenere alta la percentuale di quote regalate, 48% del totale anziché il 43% proposto dalla Commissione, in modo da contrastare il carbon leakage, lo smantellamento delle attività in Europa per spostarle in paesi con minori restrizioni ambientali.

In secondo luogo, la lobby delle raffinerie vorrebbe introdurre una “valvola di sicurezza” (safety valve) nella cosiddetta riserva stabilizzatrice (MSR, Market Stability Reserve), con cui sbloccare e assegnare gratuitamente alle industrie energivore le quote inutilizzate di CO2, che dal 2019 saranno ritirate dal mercato e assorbite nella riserva allo scopo di stabilizzare i prezzi del carbonio.

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