Rinnovabili e contratti PPA delle aziende, come e perché possono convenire

Negli Stati Uniti si stanno diffondendo gli accordi di lungo periodo tra imprese e produttori di elettricità verde, sulla scia delle esperienze maturate dai colossi dell’informatica come Apple e Google. In Italia si parla di corporate PPA nella nuova SEN. Attenzione però ai possibili rischi finanziari.

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Sono sempre di più le aziende a seguire le orme di Google, Apple e altri colossi dell’informatica, che sono stati i primi a sottoscrivere contratti di lungo termine per le fonti rinnovabili (PPA, Power Purchase Agreement).

Spinte dalla necessità di coprire il crescente fabbisogno energetico dei centri elaborazione dati, le firme del web hanno aperto la strada agli investimenti verdi delle imprese.

Nei giorni scorsi, ad esempio, Goldman Sachs ha annunciato di aver siglato un PPA con una società sussidiaria di NextEra Energy Resources, che costruirà un parco eolico da 68 MW in Pennsylvania.

L’impianto sarà operativo nel 2019 e produrrà energia pulita per la banca d’affari statunitense. L’obiettivo di Goldman Sachs è arrivare al 100% di elettricità rinnovabile, nell’ambito dell’iniziativa RE100 che coinvolge oltre 90 aziende in tutto il mondo.

Di recente, un contratto green di lungo termine (15 anni) è stato firmato dal gigante americano dell’alimentazione General Mills con Renewable Energy Systems (RES) per 100 MW del parco eolico “Cactus Flats” che sorgerà in Texas. General Mills otterrà dei crediti di energia rinnovabile con cui ridurre la sua “impronta della CO2”.

Anche in Italia si sta iniziando a ipotizzare la diffusione di accordi di questo tipo, grazie alle misure previste dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN) al momento in consultazione.

Per ora, i corporate PPA, molto diffusi all’estero, nel nostro paese non possono decollare soprattutto perché le norme attuali permettono al compratore di disdire il contratto senza penali in qualsiasi momento (articolo di QualEnergia.it con le prime valutazioni sulla SEN).

È necessario, quindi, definire nuovi modelli contrattuali di lungo periodo per le rinnovabili, basati su garanzie commerciali per entrambe le parti coinvolte: chi produce-vende l’energia di un grande impianto eolico o FV e chi acquista quella stessa energia per un determinato numero di anni (singola azienda, gruppo di aziende, consorzio).

Aggregare la domanda elettrica di più soggetti, quindi, in Italia potrebbe essere una soluzione per facilitare la realizzazione di nuovi progetti di eolico e fotovoltaico utility-scale con diversi MW di potenza installata, perché l’operatore avrebbe la certezza di vendere l’intero output elettrico a un prezzo fisso pluriennale.

Tuttavia, come evidenzia il Rocky Mountain Institute americano, i contratti PPA sono tutt’altro che semplici da valutare nella loro interezza e non vanno presi sottogamba.

Dal 2014, le grandi aziende USA hanno consentito di aggiungere oltre 7 GW di rinnovabili negli Stati Uniti, attraverso le intese di lungo termine sottoscritte con gli operatori del settore.

Due macro tendenze hanno favorito il boom degli accordi PPA per le tecnologie pulite: gli obiettivi sempre più severi di riduzione delle emissioni inquinanti che le imprese si autoimpongono (ad esempio la già citata iniziativa RE100) e la crescente competitività delle risorse verdi, con i migliori progetti eolici e solari in grado di battere la generazione tradizionale a gas e carbone nel confronto dei valori medi LCOE (Levelized Cost of Electricity, vedi anche QualEnergia.it).

I contratti PPA più diffusi sono però virtuali, così definiti perché l’energia rinnovabile generata dall’impianto non è fornita direttamente e “fisicamente” all’acquirente, ad esempio dell’azienda X.

Quest’ultima – che continuerà a prelevare l’elettricità dal suo distributore locale – accetta di pagare un prezzo fisso d’esercizio (strike price) al gestore dell’impianto, assumendosi così un rischio finanziario: l’intero meccanismo si regge, infatti, sulla differenza tra il prezzo di riferimento concordato nel PPA e i valori di mercato, perché il produttore venderà l’elettricità sul mercato all’ingrosso a prezzi variabili.

Poniamo, ad esempio, che lo strike price stabilito nel PPA sia pari a 20 $/MWh e che il prezzo medio dell’energia venduta in rete sia pari a 18 $/MWh: ebbene, in questo caso il nostro acquirente X starebbe pagando l’elettricità più cara rispetto a un contratto agganciato ai valori spot di mercato.

Al contrario, se il prezzo medio di mercato fosse di 22 $/MWh, il produttore dovrebbe versare la differenza positiva sullo strike price, quindi 2 $/MWh, alla sua controparte del contratto PPA.

In definitiva, spiega il Rocky Mountain Institute, il costo fisso dell’energia non è l’unica variabile da considerare quando si stipula un accordo di lungo termine con un produttore di elettricità rinnovabile.

D’altronde, stimare l’evoluzione futura dei prezzi spot può essere molto complicato per un compratore: negli Stati Uniti il compito è facilitato dalla nuova piattaforma online creata dal Business Renewable Center (BRC), uno strumento che è in grado di combinare una serie di dati per individuare i siti in cui è più conveniente investire in progetti eolici e solari.

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