L’acqua “supercritica”, tecniche di perforazione e sfruttamento della geotermia profonda

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Si sta valutando se e come sfruttare risorse geotermiche a temperature e pressioni molto più alte di quelle finora sperimentate, con produzioni potenziali dieci volte maggiori rispetto alla geotermia convenzionale. Sarà possibile in Italia? Quali sono i problemi tecnici da affrontare?

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C’è una grossa differenza fra eolico e geotermia, da un lato, e fotovoltaico, idroelettrico e biomasse dall’altro: le prime due, per così dire, sfruttano una risorsa 3D, che si estende dal terreno in alto e in basso a vari livelli, le seconde usano invece una risorsa 2D, “spalmata” sulla superficie terrestre.

Tentativi di sfruttare l’eolico nella terza dimensione, sono stati fatti, cercando di andare a prendere il vento anche a grandi altezze, ma finora senza troppi risultati (vedi QualEnergia.it),

Adesso sembra che si cominci a pensare la stessa cosa per la geotermia, andando a cercare risorse molto più in basso di quanto fatto finora.

«In realtà non è proprio così – precisa l’ingegner Paolo Romagnoli, responsabile del Centro di eccellenza geo e drilling di Enel Green Power – la geotermia da sempre opera in un contesto tridimensionale, basti pensare a quella per pompe di calore e teleriscaldamento, che “gratta” appena la superficie terrestre, mentre quella per le centrali geotermoelettriche opera già a profondità molto diverse, a secondo di dove si trova la risorsa».

«Diciamo che adesso, più che a nuove profondità, con il progetto europeo Descramble e con il consorzio industriale Deepegs, a entrambi dei quali partecipa EGP, stiamo valutando se e come sfruttare risorse geotermiche a temperature e pressioni molto più alte di quelle finora sperimentate».

Il progetto Deepegs è quello che ha fatto più notizia: a Reykjanes, in Islanda, è stato perforato un pozzo di 4.659 metri di profondità in un’area di vulcanismo attivo, raggiungendo acqua allo stato supercritico, a 427 °C e 340 atmosfere di pressione.

L’acqua in questo stato ha un comportamento intermedio fra quello di un gas e di un liquido, e, cosa particolarmente importante per gli usi energetici, consente di produrre 10 volte l’elettricità di un fluido geotermico convenzionale (a 250-350 °C e poche decine di atm di pressione), a parità di volume.

«Questo è vero in teoria – dice Romagnoli – ma in pratica riuscire a sfruttare fluidi a quelle temperature e pressioni estreme, richiede tecniche particolari, che devono essere ancora messe a punto. E a questo sta appunto provvedendo il progetto Descramble, in corso a Larderello».

La località toscana è quella dove la geotermia elettrica è stata inventata nel 1904, e questo non per caso, ma proprio perché è una delle regioni al mondo più favorite: una intrusione di magma è risalita milioni di anni fa sotto l’area, senza mai emergere, ma con abbastanza forza da fratturare le rocce e scaldarle, così che in esse l’acqua superficiale potesse filtrare e trasformarsi in vapore bell’e pronto per l’uso.

«Finora siamo andati a pescare, fino a 3.000 metri, in quella sorta di pentola a pressione naturale. Ma alcuni anni fa ci siamo accorti che sotto Larderello, a profondità maggiori di quelle finora raggiunte, c’è una “cupola” di rocce che riflettono le onde sismiche», dice l’esperto Enel.

«Questo può derivare da due cose: o è la zona dove le rocce cambiano stato per il calore diventando “pastose”, o è una zona dove le infiltrazioni di acqua a grande profondità hanno creato un fluido supercritico. Se è vera la seconda ipotesi, ecco che le risorse geotermiche dell’area improvvisamente si moltiplicano». 

Per capire se sia, come Romagnoli spera, non si può far altro che perforare. Così EGP ha individuato il vecchio pozzo Venelle 2, di 1.800 metri di profondità, posto proprio sopra la sommità della “cupola”, e, grazie anche ai fondi europei Horizon 2020, ha cominciato ad approfondirlo, per raggiungere l’area “misteriosa” posta in quel punto a oltre 3.000 metri sotto la superficie.

Per farlo sperimenta le nuove tecniche necessarie a perforazioni di quel tipo, che poi potranno essere usate anche altrove.

«In effetti questi due progetti, Descramble e Deepegs, che oltre all’Islanda prevede anche due perforazioni profonde in Francia, si integrano bene fra loro, individuando le tecniche per la perforazione e lo sfruttamento della geotermia profonda in situazioni geologiche molto diverse, così da essere pronti per applicarle poi in altre aree europee ed extraeuropee simili. Una sperimentazione ad hoc è necessaria per ogni contesto geologico, visto che questo può influenzare le caratteristiche del fluido eventualmente presente», ci spiega Romagnoli.

Nel caso islandese, per esempio, non si sa ancora se ci sia sufficiente circolazione d’acqua alle profondità raggiunte: lo scopriranno iniettando traccianti nel pozzo e verificando come si diffondono.

E se si arrivasse invece a rocce caldissime, ma essenzialmente asciutte perché troppo poco fratturate, cosa si può fare?

«La produzione di energia elettrica dalla geotermia – dice Romagnoli – funziona solo se c’è una grande quantità di acqua ad alta temperatura già pronta nel sottosuolo. Si è pensato di sfruttare il calore di rocce calde, ma secche, usando scambiatori di calore introdotti nel pozzo. In teoria questo darebbe grandi vantaggi sia ambientali perché in superficie non arrivano gas, sia tecnici, perché il fluido per le turbine non avrebbe sali disciolti. Ma purtroppo la tecnica non è di fatto applicabile. La trasmissione del calore dalle rocce asciutte è infatti molto difficile e non consente di ottenere potenze superiori a qualche centinaio di chilowatt per pozzo: troppo poco per essere conveniente. Non è un caso che dopo decenni di studi nessuna applicazione di dimensioni significative sia stata realizzata nel mondo».

Un’altra alternativa è la fratturazione idraulica, simile a quella del fracking petrolifero, per rendere le rocce permeabili, ma chissà se funzionerebbe con rocce così calde, e comunque il fatto che questa tecnica produca scosse sismiche la rende molto impopolare in aree densamente abitate come quelle europee.

Immaginiamo tuttavia che potremmo essere fortunati e l’acqua supercritica si possa riscontrare anche nella “cupola” di Larderello. Quanto potrebbe aumentare la produzione dell’area?

Per Romagnoli è un po’ prematuro dirlo, visto che non è stata ancora raggiunto la risorsa, sempre che ci sia: «Tuttavia – dice – si possono fare alcune considerazioni: prima di tutto un unico pozzo di quel genere produrrebbe quanto diversi pozzi “convenzionali”, e questo farebbe sì che anche da aree limitate si potrebbe estrarre una gran quantità di energia. D’altra parte la formazione geologica è una cupola, quindi più ci si allontana dal centro e più bisognerà scavare per raggiungerla: a un certo punto i costi di trivellazione renderanno antieconomica la produzione elettrica, quindi l’area utilizzabile non sarà molto ampia. Personalmente punterei su un aumento di 200-300 MW, circa il 25% della potenza geotermica attuale italiana».

E ci potrebbero essere altre aree simili in Italia?

«È probabile che nelle aree vulcaniche del sud Italia ci siano condizioni simili a quelle islandesi, ma attenzione, non è detto che siano l’ideale per la geotermia, visto che le rocce vulcaniche, poste a stretto contatto con magma, tendono a richiudere le fratture e bloccare la circolazione dei fluidi».

Eppure l’area dei Campi Flegrei ed Ischia nel 2014 è stata indicata da Francesco Peduto, presidente dell’Ordine dei geologi della Campania, come quella con almeno 17 GW di potenziale geotermico, come dire 20 volte la Toscana.

«Può darsi, però quello che sappiamo da prospezioni fatte una trentina di anni fa, è che i fluidi geotermici dell’area sono molto salati, più difficili da usare in centrale di quelli toscani. Per non parlare poi di altri fattori come l’alta densità abitativa dell’area e il turismo termale, che rendono  problematico pensare là ad uno sviluppo della geotermia ad alta entalpia».

Quindi bisogna sperare ancora solo nell’area toscana, stavolta profonda, per l’aumento della potenza geotermoelettrica italiana.

Ma quando sapremo se esistono fluidi supercritici sotto Larderello? Romagnoli ci spiega che entro due mesi la trivellazione sarà completata ed entro l’estate si potrà dare una risposta definitiva.

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