Per il carbone è la fine del boom: dati e previsioni

Oltre 600 GW di progetti sospesi in tutto il mondo, soprattutto in Cina e India, dove i rispettivi governi stanno puntando sempre di più sulle rinnovabili. Dopo un decennio in costante crescita, la fonte fossile più “sporca” sembra entrata in una fase di declino. I numeri in un nuovo rapporto presentato da Greenpeace, Sierra Club e CoalSwarm.

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Dopo un decennio di continua espansione, il carbone è in caduta libera in tutto il mondo, grazie soprattutto alle mutate condizioni politiche in Cina e India, due paesi cruciali per orientare la transizione energetica dai combustibili fossili alle tecnologie rinnovabili (vedi anche nostra intervista all’economista australiano John Mathews).

Questa è la conclusione dello studio diffuso da Greenpeace, Sierra Club e CoalSwarm, “Boom and Bust 2017: Tracking The Global Coal Plant Pipeline” (allegato in basso), che illustra i dati sull’avanzamento dei progetti di nuove centrali elettriche a carbone nei diversi continenti.

La tabella sotto riassume le differenze tra gennaio 2016 e gennaio 2017. Come si vede, gli impianti a carbone in via di sviluppo a livello globale sono crollati del 48% da un anno all’altro, considerando tutti quelli che si trovavano nello stadio che precede la costruzione vera e propria.

Parliamo di progetti annunciati, o che avevano ottenuto le autorizzazioni o le stavano chiedendo alle autorità competenti, per un totale di 570 GW censiti un paio di mesi fa, contro un migliaio abbondante all’inizio del 2016.

Il documento poi ha registrato un nettissimo calo per la “posa della prima pietra” (construction starts) di futuri impianti nei dodici mesi precedenti: 65 GW all’inizio del 2017 contro quasi 170 GW a gennaio dell’anno scorso.

Pure la realizzazione in fase più avanzata di nuove unità a carbone (ongoing construction) ha visto una diminuzione del 19% fermandosi a 273 GW, così come il completamento-entrata in funzione di nuove centrali nei dodici mesi precedenti: 77 GW e -29% in confronto a gennaio 2016.

In tutto il mondo, si legge nel rapporto, ci sono oltre 600 GW di progetti sospesi, di cui la maggior parte in Cina (441) e India (82), come chiarisce la tabella sotto.

Queste due nazioni hanno installato l’86% della nuova capacità a carbone nel decennio 2006-2016, quindi è chiaro che la fine del boom asiatico avrà un ruolo fondamentale nella lotta al cambiamento climatico.

Eliminare progressivamente il carbone dal mix energetico planetario, infatti, è prerequisito irrinunciabile per riuscire a contenere il surriscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi, come stabilito dagli accordi di Parigi. Secondo le stime di Greenpeace, nel 2016 Pechino ha autorizzato la costruzione di 22 GW di centrali fossili, contro 142 GW autorizzati un anno prima (-85%).

Il governo indiano, di recente, ha dichiarato che non ci sarà bisogno di pianificare altri impianti a carbone nei prossimi anni, perché quelli attivi o in costruzione saranno più che sufficienti a coprire la domanda elettrica aggiuntiva. L’India, come abbiamo già osservato sul nostro sito, si trova nel pieno di un altro boom, quello del fotovoltaico, tanto da aver raddoppiato l’obiettivo per i grandi parchi fotovoltaici nel 2020.

La politica energetica indiana e cinese sta virando sempre di più verso le rinnovabili, pur conservando una serie di limiti e contraddizioni, tra cui l’incapacità di rinunciare al carbone in tempi brevi e di sfruttare al massimo l’output degli impianti eolici e solari, a causa delle infrastrutture elettriche obsolete che andranno ammodernate e potenziate con grandi piani nazionali di reti intelligenti (smart grid).

Escludendo Pechino e Nuova Delhi, in 10 nazioni si concentra il 75% dei progetti globali che si trova nella fase di pre-construction (impianti a carbone annunciati o in attesa delle autorizzazioni). Parliamo di Turchia, Indonesia, Vietnam, Giappone, Egitto, Bangladesh, Pakistan, Filippine, Corea del Sud, Thailandia.

Lo studio assume un tasso di realizzazione (implementation rate) del 20%, quindi prevede che da qui al 2030 saranno costruiti non più di 61 GW di nuovi impianti fossili in paesi che non siano la Cina e l’India.

Va detto che la media di realizzazione dei progetti è stata più alta negli anni passati, intorno al 33%, ma gli autori del documento hanno ipotizzato un rallentamento più deciso per le future installazioni, sulla scia dei costi in costante diminuzione per la generazione elettrica con fonti rinnovabili.

La competitività delle fonti pulite è un tema che QualEnergia.it ha affrontato diverse volte, anche in ambito europeo con i casi della Gran Bretagna e della Germania.

Mentre in Inghilterra la crisi del carbone a vantaggio del gas naturale e dell’eolico-solare FV è assai marcata, grazie alla carbon tax imposta da Londra, in Germania il quadro è più sfumato, perché lo smantellamento delle centrali più vecchie e inquinanti è un tema che divide l’opinione pubblica e incontra le resistenze delle grandi utility.

L’accantonamento o la cancellazione di centinaia di progetti nella fonte fossile più inquinante in tutto il mondo, sostiene infine Greenpeace, è certamente una notizia che induce a un maggiore ottimismo, soprattutto se confrontata con l’impennata di nuove costruzioni nell’ultimo decennio, anche se il margine d’errore nelle previsioni resta molto alto.

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