Anche i consiglieri economici di Trump scommettono sulle rinnovabili

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Fin dalla campagna elettorale, Trump ha “sparato” la sua ricetta di clima-scetticismo favorevole alle fonti fossili. Una scelta che però non trova riscontro nelle strategie industriali-commerciali dei suoi consulenti economici, che, a partire da Elon Musk, sono spesso in prima fila nella green economy.

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Tra l’America del petrolio e l’America delle rinnovabili, per il momento Donald Trump ha scelto la prima, iniziando a smantellare la politica verde di Barack Obama subito dopo essersi insediato alla Casa Bianca (vedi QualEnergia.it).

Eppure, gli amministratori delegati che siedono nel business advisory council di Trump sono tutto fuorché un manipolo di affaristi che negano il cambiamento climatico.

Su queste pagine avevamo già osservato questa contraddizione, quando il numero uno di Tesla, Elon Musk, aveva accettato di diventare membro dello Strategic and Policy Forum, il gruppo di imprenditori che dovrà consigliare la nuova amministrazione sulle scelte di politica economica e del lavoro.

Fin dalla campagna elettorale, Trump ha “sparato” la sua ricetta di “clima-scetticismo” favorevole alle fonti fossili, che però non trova riscontro (o ne trova assai poco) nelle strategie industriali-commerciali dei suoi consulenti economici.

Vediamo allora chi sono questi personaggi più “illuminati”, che potrebbero dirottare verso la green economy almeno una parte delle prossime decisioni del magnate repubblicano.

Oltre al già citato Musk, paladino dell’auto elettrica e, più in generale, della transizione energetica verso le tecnologie pulite, l’advisory council può contare su Stephen Schwarzman, amministratore delegato di Blackstone, una delle società finanziarie più importanti del mondo, molto attiva nel campo delle rinnovabili da diversi anni, fermamente convinta che tutti gli investitori debbano incorporare le tecnologie verdi nei rispettivi portafogli.

Troviamo poi alcuni nomi di società di consulenza tra le più autorevoli nel settore energetico: ad esempio Mark Weinberger, amministratore delegato di Ernst & Young (EY), che ogni anno pubblica diversi aggiornamenti del suo indice RECAI (Renewable Energy Country Attractiveness Index), la classifica mondiale dei paesi in cui conviene di più investire nelle fonti pulite.

EY lo scorso ottobre aveva ipotizzato il rischio di un declassamento per gli Stati Uniti, che potrebbero essere scavalcati al primo posto dalla Cina e altre nazioni, se Trump dovesse perseguire la sua idea di rilancio per petrolio, gas e carbone, a scapito di nuovi investimenti nell’economia verde.

Un’altra società di consulenza pro-rinnovabili, rappresentata nello Strategic and Policy Forum dal suo numero uno Rich Lesser, è Boston Consulting Group, che nei suoi rapporti continua a evidenziare il ruolo “perturbatore” (disruptive) delle tecnologie pulite, soprattutto della generazione distribuita con i profondi cambiamenti che quest’ultima sta introducendo nel sistema elettrico.

Nel gruppo di consiglieri c’è anche Daniel Yergin di IHS Markit, tra i massimi esperti internazionali di fonti fossili, che però ha sempre riconosciuto la forza delle rinnovabili in un mix energetico in rapido mutamento.

Poi troviamo Jamie Dimon, presidente di JPMorgan Chase, colosso finanziario che negli ultimi anni ha investito miliardi di dollari in svariati progetti eolici, solari e di geotermia; Kevin Warsh dell’Hoover Institution, che pubblica regolarmente analisi e documenti sulla necessità di penalizzare le industrie più inquinanti con tasse sul carbonio (carbon tax); Adebayo Ogunlesi di Global Infrastructure Partners, un fondo di investimenti impegnato in molti progetti rinnovabili in tutto il mondo.

La lista è ancora lunga e comprende aziende come Boeing, General Motors, Wal-Mart, Pepsi, Walt Disney, IBM, tutte impegnate a vario titolo in programmi per mitigare l’impatto ambientale delle loro attività, attraverso misure di efficienza energetica, produzione di elettricità rinnovabile, riduzione dei rifiuti, utilizzo di materiali eco-compatibili, abbattimento delle emissioni inquinanti.

Vedremo se questo variegato mondo imprenditoriale saprà indirizzare Trump su una strada più amica dell’ambiente, magari facendogli rimangiare qualche affermazione un po’ fuori luogo (come quella sulla “bufala” del cambiamento climatico): compito difficile ma “business is business” e quindi anche Trump potrebbe finalmente fiutare le opportunità d’investimento nelle tecnologie green, e non solo nel petrolio.

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