Il petrolio e il gas russi ai tempi di Trump e del global warming

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Il comparto dell'energia russo è ancora fortemente centrato sulle fonti fossili e sembra vedere nell'America di Donald Trump un'occasione per una maggiore collaborazione internazionale, volta più che altro a mantenere la tranquillità sul mercato del petrolio. Un'intervista all'ex ministro dell'energia russo, Igor Yusufov.

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Potenza mondiale delle fossili, la Russia continua ad avere una politica energetica centrata su petrolio e gas.

Da sempre in retroguardia sulla lotta al cambiamento climatico, il mondo dell’energia russo sembra vedere nell’America di Trump un’occasione per una maggiore collaborazione internazionale. Collaborazione che però è volta a mantenere la tranquillità sul mercato del petrolio e del gas e non, come si potrebbe auspicare, a disinnescare la bomba del clima che cambia.

Abbiamo avuto l’occasione di fare qualche domanda a Igor Yusufov, ministro dell’energia in Russia dal 2001 al 2004, fino al 2013 nel consiglio di amministrazione di Gazprom e ora direttore di un fondo di investimento specializzato in oil & gas.

Ingegner Yusufov, la produzione di petrolio nella Federazione Russa non è cresciuta o possiamo dire sia stata debole durante gli ultimissimi anni. Pensa che si passerà attraverso una nuova fase di picco e declino, come è accaduto nei primi anni ’90?

L’andamento di picco e declino appartiene, generalmente parlando, ad ogni esempio di sviluppo: cambiamenti di massa a livello quantitativo concentrano e causano crescita e viceversa. I mercati del petrolio sono collegati a dozzine di fattori, ma non vedo ragioni per cui questo “ribasso hegeliano” non possa essere applicato al petrolio. Al tempo stesso la produzione russa di idrocarburi nel complesso sta crescendo. Per quanto concerne il petrolio è aumentata dal 1998 quando partiva da 304 milioni di tonnellate. Nel 2008 era a 494 milioni di tonnellate, appena tre tonnellate meno dell’anno precedente. Ma gli impressionanti dati del 2016, con 547 milioni di tonnellate, superano anche quelli dell’anno prima che erano circa 541 mln t.

Gli Stati Uniti sono stati capaci di aumentare rapidamente la loro produzioni di liquidi nel corso degli anni passati sfruttando lo shale oil. La Russia potrebbe fare lo stesso?

La Russia ha sufficienti nuovi progetti di estrazione petrolifera, tra gli altri quelli nelle aree artiche offshore. Allo stesso tempo le compagnie russe stanno già sviluppando depositi di petrolio stranded (cioè riserve finora trascurate perché difficili da estrarre, ndr) “a goccia a goccia si scava la roccia!” (in italiano nell’originale, ndr). Questo è un tema per me molto importante: ci sono riserve di questo tipo nella maggior parte dei pozzi in Siberia e nella penisola dello Yamal, dove conduce esplorazioni Fund Energy, il fondo da 2 miliardi di dollari che ho fondato 6 anni fa. Secondo dati ufficiali, il sottosuolo russo riserve di questo tipo circa per 20-40 milioni di tonnellate di petrolio e le nostre compagnie sono in grado di sfruttarle, anche in un contesto in cui le sanzioni restringono l’accesso ad alcune elle tecnologie più nuove.

Le riserve energetiche russe non sono comunque certo inesauribili: la Federazione Russa ha una prospettiva di lungo temine su questo?

L’esaurimento delle riserve è certamente inevitabile, ma per la Russia non è certo la sfida più urgente. Allo stesso tempo come altri Paesi pensiamo ad altre fonti: da questo punto di vista il carbone è molto importante, anche visto il clima russo. A proposito, se analizziamo i “First Steps” sulla politica energetica della Casa Bianca vediamo che lo sviluppo delle tecnologie per il carbone pulito è una delle priorità.

E per quanto concerne le rinnovabili?

Per le rinnovabili, in Russia la ricerca procede con successo e ci sono varie buone pratiche, ma non sorpassano il 2-3% della produzione totale di energia. Queste fonti sono ancora piuttosto costose, per cui vedo il futuro dell’energia russa, e forse di quella mondiale, come una combinazione ragionevole di risorse convenzionali e rinnovabili.

Ma la Russia si rende conto dei danni all’economica nazionale che saranno causati dagli impatti del cambiamento climatico, come la fusione del permafrost o l’allagamento di aree nelle regioni settentrionali?

La Russia è più vicina di altri Paesi, come l’Italia, alle aree del permafrost, ma i rischi generati dalla fusione sono globali. È una sfida transnazionale, per tutta l’umanità. Se il permafrost, che copre circa il 24% delle terre dell’emisfero boreale, si fonde, le conseguenze non si limiteranno agli allagamenti di alcune aree: la scienza ci avverte che verranno rilasciati in atmosfera anidride carbonica e metano, con le conseguenze del caso per il clima mondiale.

Quindi in sintesi quali sono le sue risposte all’attuale quadro energetico e ambientale?

Servono interventi ragionevoli da parte di nazioni e compagnie per affrontare diverse criticità riguardanti l’energia. Ad esempio una politica dei prezzi coordinata, con la possibile partecipazione americana, potrebbe essere benefica per una stabilità sostenibile sui mercati del petrolio e del gas, anche dopo l’inizio del massiccio export di shale che citavate nelle vostre domande. Ciò porterebbe maggior armonia sui mercati energetici: “chi cerca trova!” (in italiano nell’originale, ndr).

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