Ecco perché la pericolosità del nucleare è sempre elevatissima

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Nuovi documenti spiegano perché la probabilità del verificarsi futuro di gravi incidenti nucleari è estremamente elevata. Costi molto alti per la messa in sicurezza e per i nuovi impianti, allungamento della vita dei vecchi reattori, materiali non efficienti. E un rinascimento nucleare che non c’è.

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Alcune nuove ricerche spiegano perché la probabilità del verificarsi futuro di gravi incidenti nucleari è estremamente elevata. Costi molto alti per la messa in sicurezza e per i nuovi impianti, allungamento della vita dei vecchi reattori, materiali non efficienti. E un rinascimento nucleare che non c’è.

Volendo trovare un lato buono in ogni cosa, si può dire che persino i disastri nucleari di Chernobyl e Fukushima a qualcosa sono serviti: hanno reso, attraverso controlli, stress test e adeguamenti, il nucleare esistente più sicuro, forse tanto sicuro che disastri di quella portata sono diventati praticamente impossibili.

Ma è proprio così? Pare di no. Due ricerche condotte dal matematico statistico Spencer Wheatley, con colleghi dell’Università del Sussex e del Politecnico di Zurigo, e pubblicate sulle riviste Energy Research & Social Science e Risk Analysis, mettono in guardia contro i facili ottimismi: il rischio di gravi incidenti nucleari resta più o meno quello che era prima di Fukushima, cioè “estremamente alto”, nelle parole di Wheatley.

Per arrivare a questa preoccupante conclusione, i ricercatori hanno fatto una raccolta senza precedenti di dati e notizie sugli incidenti del passato, arrivando a una documentazione pressoché doppia di quella fornita dalle industrie agli enti di controllo del nucleare.

Analizzando quella enorme massa di dati Wheatley e colleghi hanno tratto alcune conclusioni.

1) Gli incidenti nell’industria nucleare sono in effetti diminuiti da Chernobyl in poi, ma la diminuzione ha interessato più che altro gli incidenti di basso e medio livello, mentre hanno continuato alla stessa frequenza gli incidenti gravi. Ma sono proprio gli incidenti catastrofici a creare gran parte dei danni: per esempio Chernobyl e Fukushima da soli, hanno creato danni stimabili in 425 miliardi di dollari, 5 volte la somma dei danni degli altri incidenti.

2) Gli upgrade ai reattori fatti dopo gli incidenti di Three Miles Island (1979) e Chernobyl (1986) spiegano la diminuzione nella frequenza di incidenti, mentre non è ancora possibile valutare l’effetto dei provvedimenti presi dopo Fukushima (2011).

3) L’analisi degli incidenti del passato, però, indica che una effettiva messa in sicurezza dei reattori di seconda generazione, quelli costruiti fra anni ’70 e ’90 che costituiscono gran parte del parco nucleare attuale, sarebbe di gran lunga troppo costosa perché venga attuata, mentre il loro invecchiamento, estremizzato dall’attuale attitudine a prolungarne la vita di decenni, tende ad annullare l’effetto degli upgrade sulla riduzione dei rischi.

4) Le valutazioni eccessivamente ottimistiche sui rischi, che vengono diffuse ufficialmente, dipendono dai dati distorti e scarsi che l’industria diffonde dopo gli incidenti e che enti come l’International Atomic Energy Agency, con un ambiguo ruolo di controllo e di sostegno al nucleare civile,  non mettono in discussione.

5) La scala Ines di livello degli incidenti nucleari, che oggi va da 0 a 7, è troppo corta e poco dettagliata per accogliere tutte le varie casistiche e gravità. Per esempio, secondo i ricercatori incidenti come Chernobyl e Fukushima, richiederebbero un livello 10-11. Questo riduce la comprensione adeguata di molti eventi e quindi una corretta valutazione dei rischi.

6) Tutto considerato, secondo Wheatley e colleghi, il rischio di gravi incidenti nucleari resta molto alto: entro i prossimi 65 anni c’è una possibilità su due di un altro incidente di massima gravità (fusione del reattore con enorme rilascio di radioattività nell’ambiente) tipo Chernobyl o Fukushima, e una più alta del 50% che avvenga un altro incidente tipo Three Miles Island (fusione del reattore con limitato rilascio di radioattività) entro i prossimi 20 anni .

Abbiamo chiesto a Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia ed esperto di industria nucleare, se questi nuovi studi li colgono di sorpresa.

«Le loro conclusioni confermano quanto diciamo da anni, e cioè che la valutazione dei rischi in campo nucleare su cui si basa la normativa è inconsistente: analizzando una più ampia base dati rispetto ad altri, mostrano che il rischio di incidenti gravi è più elevato. Oggi l’industria nucleare è presa in una morsa da cui non riesce a uscire: per raggiungere un livello accettabile di sicurezza, dovrebbe aumentare così tanto i suoi costi e complessità costruttiva, da finire fuori mercato o sopravvivere solo con forti aiuti pubblici. I reattori oggi funzionanti sono stati costruiti sulla base di una normativa “ottimistica”. Basti pensare che fra il 1979 e oggi ci sono già stati tre incidenti con gravi fusioni del nocciolo di reattori, e nel complesso abbiamo avuto una dozzina di eventi di fusione del nocciolo, eventi che dovrebbero accadere secondo l’industria nucleare “uno ogni 10mila anni-reattore”, invece si sono presentati con una frequenza otto volte superiore».

Nessuno di questi gravi incidenti però è avvenuto in Europa Occidentale. Forse il nostro continente ha lavorato meglio, oppure le sue condizioni di rischio sono minori?

«Più che altro siamo stati fortunati. Nel 2012 Greenpeace ha prodotto un rapporto sulla situazione dei reattori europei indicando le 13 situazioni a maggior rischio. Per esempio, la centrale belga di Thiange, recentemente diventata famosa per le micro fessure scoperte nel vessel di uno dei suoi reattori, è in un’area a forte rischio  alluvioni, ma non è protetta dagli eventi più gravi, che stanno diventando pericolosamente frequenti per il cambiamento climatico. La centrale slovena di Krško, non lontana dall’Italia, è stata costruita proprio su una faglia sismica: un forte terremoto potrebbe danneggiare sia il reattore che la vasca del combustibile esausto. La centrale di Mochovce in Slovacchia manca del contenimento secondario intorno ai reattori, come a Chernobyl: in caso di grave incidente rilascerebbero la loro radioattività direttamente nell’ambiente. Un’altra centrale non lontana dall’Italia, Mühleberg in Svizzera, non solo è molto vecchia, operando dal 1972, ma è in un area a rischio sismico e di alluvioni».

Però dopo Fukushima tutti gli impianti europei sono stati sottoposti a stress test, per valutarne la sicurezza e imporre miglioramenti.

«Si, ma gli stress test si sono occupati solo dei possibili disastri naturali, senza tener conto del calo di resistenza di molti di questi impianti dovuto all’invecchiamento. E anche laddove, come in Francia, esiste un piano di interventi questo prevede costi risibilmente bassi, mentre secondo un nostro studio servirebbero oltre 4 miliardi di € a reattore. A peggiorare le cose l’allungamento della vita di molti reattori di altri 10-20 anni oltre la prevista chiusura, un comportamento comprensibile solo dal punto di vista del profitto, non certo della sicurezza delle aree densamente abitate in cui questi reattori spesso operano».

Però la prossima generazione di impianti, avrà fatto tesoro della lezione e sarà costruita con criteri molto più severi.

«Lei crede? Se la nuova generazione è rappresentata dagli Epr francesi, le cose non sembrano essere molto migliorate. A parte i continui rinvii nel termine dei lavori per i due Epr europei di Flamanville e Okiluoto e il costo esploso da 3 a 10 miliardi, ultimamente si è scoperto che il fornitore dell’acciaio per il vessel degli Epr, la francese Creusot Forge, ha falsificato i dati sul contenuto in carbonio dell’acciaio della testa di quel componente fondamentale per la sicurezza, realizzandolo di quasi il 50% fuori dalle specifiche previste, il che ha costretto a rimuoverlo contribuendo a aumentare i ritardi e i costi. Lo scandalo si sta allargando a macchia d’olio: le indagini hanno scoperto che altri 28 reattori nucleari hanno un vessel Creusot di cui andrebbe verificata la qualità dell’acciaio, di cui 18 in Francia, per un totale del 44% della potenza nucleare totale di quel paese. È pazzesco, ma queste cose continuano ad accadere ancora oggi, dopo tutte le polemiche, gli incidenti e gli scandali che hanno colpito l’industria nucleare in questi decenni. Sembra quasi che quell’industria abbia una volontà suicida …».

Eppure si continuano a costruire tante centrali nel mondo.

«In realtà, secondo l’ultimo World Nuclear Report, un rapporto molto informato e imparziale sul settore, solo la Cina continua a costruire in modo significativo, ma purtroppo è un paese in cui non è certo facile indagare sulla qualità delle realizzazioni e sul conseguente livello di rischio. Nel 2015 hanno cominciato ad operare 10 nuovi reattori, di cui 8 in Cina, mentre altri 8 hanno chiuso nel mondo. Solo 8 nuovi progetti, di cui 6 in Cina, sono iniziati nel 2015 e nessun altro nella prima metà del 2016. Al momento ci sono 58 reattori in costruzione nel mondo, di cui 21 in Cina, ma presentano quasi tutti ritardi di anni; fra questi 6 sono indietro di un decennio, 3 addirittura di 30 anni. Ma forse il dato più sconfortante per chi sperava in un “rinascimento nucleare” è questo: il nuovo nucleare 2015 fornirà 31 TWh di elettricità in più al mondo ogni anno, l’aggiunta dovuta alle rinnovabili nello stesso periodo è di 250 TWh».

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