Eni, storie di corruzione e tangenti internazionali

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La società del cane a sei zampe deve affrontare nuove rilevazioni e prove che vanno a rafforzare le ipotesi di tangenti che la società avrebbe pagato tra il 2007 e il 2011 per ottenere grandi appalti in Algeria e in Nigeria. Nuovi documenti parlano di mazzette per circa un miliardo e mezzo di dollari.

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A turbare l’ENI in questa fase non ci sarebbero tanto i pessimi dati economici del primo semestre 2016, quanto piuttosto la storia delle maxi tangenti internazionali che sarebbero state pagate dall’azienda nel quinquennio 2007-2011.

Vediamo subito i risultati economico-finanziari: il primo semestre chiude con una perdita netta di 1,24 miliardi di euro, mentre l’anno scorso nello stesso periodo l’utile era stato di 735 milioni di €.

Secondo alcuni analisti e alcuni esponenti di ENI il dato economico dipende essenzialmente dalla attuale debolezza della domanda petrolifera e dei suoi prezzi ancora bassi, oltre che da un quadro economico ancora non in difficoltosa ripresa. L’azienda, ad esempio, inoltre non ha ancora potuto cedere parte del settore chimico e ha visto degli stop nella produzione in Val D’Agri e in Nigeria.

Dati che tuttavia non sembrano preoccupare l’amministratore delegato Claudio Descalzi che parla invece di “risultati di rilievo” visto il contesto.

Ma cosa ne pensa l’Ad di ENI delle spinose questioni dell’azienda del cane a sei zampe, quelle cioè relative alle tangenti che la società avrebbe erogato tra il 2007 e il 2011 per ottenere appalti in Algeria e in Nigeria?

Nuovi documenti, dai cosiddetti Panama Papers, confermerebbero l’ipotesi di tangenti pagate dall’ENI per lavori ottenuti in questi due paesi africani che ammonterebbero ad un miliardo e mezzo di dollari.

Denaro pagato a società offshore, controllate da faccendieri, tesorieri e familiari di politici dei due paesi africani, come riportato da una inchiesta de L’Espresso realizzata in collaborazione con il network americano International Consortium of Investigative Journalists, che grazie alle carte dello studio legale Mossack Fonseca di Panama ha rintracciato 12 delle 17 società offshore panamensi al centro dello scandalo Saipem-Sonatrach.

Per la questione algerina, allo stato attuale l’ex amministratore delegato, Paolo Scaroni, la Eni e la Saipem (partecipata ENI e Cassa Depositi e Prestiti) e altri sette imputati sono accusati di corruzione internazionale: le tangenti pagate, secondo l’accusa, ammonterebbero a 192 milioni di euro per assicurarsi appalti del valore di oltre 8 miliardi di euro. Secondo i nuovi documenti queste tangenti elargite da Saipem ammonterebbero invece a più di 400 milioni di dollari.

Il 2 ottobre 2015 Scaroni e l’ENI erano stati prosciolti dalle stesse accuse. Poi il 24 febbraio la Cassazione aveva annullato quella decisione, accogliendo il ricorso della Procura di Milano e ha rimandato gli atti a un altro giudice di Milano. Si è così tornati in aula per un nuovo procedimento. Il processo inizierà il 5 dicembre.

Eni, che si considera estranea da queste condotte illecite, ha avuto però sempre relazioni commerciali a livello internazionale piuttosto opache, per usare un eufemismo.

Come detto, è ancora aperto il caso delle presunte tangenti risalenti al 2011 orientate ad acquisire una importante concessione petrolifera in Nigeria, la Olp 245. Un’inchiesta che vede coinvolti Descalzi, l’ex Ad Paolo Scaroni, il nuovo capo della Divisione esplorazioni, Roberto Casula e Luigi Bisignani.

Da alcune email interne all’azienda, pubblicate dal giornalista del Sole24Ore Claudio Gatti a dicembre 2015, dopo la trasmissione Report dedicata appunto ad ENI, si era scoperto che quando la società firmava il suo accordo con la Nigeria sapeva già che solo 207 milioni di dollari sarebbero andati al governo per strade, ospedali o scuole.

Ma la cifra spesa per la concessione, 1 miliardo e 92 milioni, sarebbe andata invece al vero venditore, cioè alla società Malabu Oil & Gas dell’ex ministro Etete, che nel 1998, quando era ministro del petrolio, si era autoassegnato la concessione petrolifera per pochi milioni di dollari.

Su questa questione e sulla destinazione finale di questa somma sono aperti diversi e complessi procedimenti, anche internazionali. La Corte di Londra ad esempio ha mantenuto nel tempo il sequestro preventivo per 190 milioni di dollari dati ad un intermediario nigeriano residente in Inghilterra per l’acquisto della Olp 245.

Come ha scritto Il Fatto Quotidiano lo scorso 20 dicembre 2015, le email rivelate da Gatti svelano che nella faccenda c’è anche un profilo etico e politico: “Eni nel 2011 sapeva di trattare con un ex ministro che si era impadronito delle risorse del suo popolo e che era stato anche condannato nel 2007 per riciclaggio in Francia”.

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