Il referendum sulle trivelle e l’occupazione: le variegate posizioni della Cgil

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Mentre alcuni sindacalisti della Cgil, a livello individuale, appoggiano il “Sì” al referendum, il segretario nazionale dei chimici Cgil si è dichiarato contro. Il timore è la perdita di alcune migliaia di posti di lavoro. Lo stesso approccio di Renzi che però non ha mai detto nulla sull'enorme emorragia di posti di lavoro nei settori delle fonti pulite causata anche dalle sue politiche.

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Oltre 400 firme per sostenere l’appello a favore del referendum contro le trivelle il prossimo 17 aprile promosso da alcuni sindacalisti della Cgil che, a livello individuale, hanno deciso di appoggiare il “Sì”. “Come sindacalisti – dicono i primi firmatari dell’appello – siamo convinti dell’urgenza della transizione a un nuovo modello energetico, democratico e decentrato, 100% efficienza energetica e rinnovabili, grande opportunità di crescita economica e di nuova e qualificata occupazione per il nostro Paese”.

Le trivellazioni, il petrolio e le fonti fossili – si legge nell’appello – “rappresentano un passato fatto di inquinamento, dipendenza energetica, interessi e pressioni decisionali delle lobby, conflitti, devastazione ambientale e della salute, cambiamenti climatici. Vogliamo un futuro basato sull’efficienza energetica e le fonti rinnovabili distribuite, un’economia sostenibile ed equa, la piena occupazione e la democrazia partecipativa. Vogliamo che il nostro Paese acceleri la transizione energetica, si doti di un piano industriale strategico per lo sviluppo sostenibile e di un piano per la decarbonizzazione”.

Il referendum è “un’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le scelte energetiche e industriali strategiche del nostro Paese e dare la possibilità ai cittadini di partecipare a queste scelte”. L’impegno dei sindacalisti proseguirà anche dopo il referendum, “porteremo avanti questa battaglia anche in future campagne referendarie e più in generale nel nostro quotidiano impegno sindacale”, promettono.

Di ben altro tenore la recente posizione del segretario nazionale dei chimici della Cgil, Emilio Miceli, che si è dichiarato contro il referendum. Il segretario della Filctem sostiene che ci saranno “imprese che chiuderanno i battenti con emigrazione verso altri lidi di frotte di ingegneri e di complesse infrastrutture tecnologiche e logistiche che rischiamo di perdere, insieme a migliaia di posti di lavoro dell’indotto”. Ma non punta solo alle recriminazioni di natura occupazionale. In sintesi ha detto che: “visto che siamo ancora lontani dal superamento dell’energia da fonte fossile, e che di gas e petrolio c’è ancora bisogno, e possiamo estrarlo in Italia, perché ricorrere alle importazioni che sarebbero più costose?”. Ognuno può leggere le profonde contraddizioni insite in questa dichiarazione. Peraltro contraddette da Cgil Basilicata, che è a favore del “Sì” al referendum.

Critico con i promotori del referendum, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha dichiarato ieri che la consultazione referendaria è il “simbolo di una battaglia assolutamente rispettabile e comprensibile, ma non di buon senso, anche alla luce dell’idea di mandare a casa 4mila o 5mila persone”. Per Renzi si tratterebbe non di un referendum contro le trivelle, ma di un referendum politico per dire che al termine della durata delle concessioni non si può continuare ad estrarre.

A parte il fatto che ogni consultazione ha giustamente qualcosa di implicitamente “politico”, ci chiediamo come mai le stesse dichiarazioni Renzi non le abbia fatte mentre veniva smontata pezzo per pezzo, insieme ad altre istituzioni, una legislazione favorevole alle rinnovabili e all’efficienza energetica. Qui stiamo di fronte ad un comparto con oltre 80mila addetti diretti e indiretti, di migliaia di PMI, e l’emorragia di occupati in questi ultimi anni sono state ben più ingenti. Ad esempio dal 2011 circa 10mila addetti in meno nell’eolico e oltre 35mila in meno nel fotovoltaico. Ma Renzi su questo non ha mai, non solo detto, ma fatto nulla.

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