Per una mobilità davvero nuova

Politiche di rigenerazione urbana per una città low traffic: nuove tecnologie e comportamenti per gettare le basi di una mobilità nuova, che si intreccia con l'urbanistica sostenibile necessaria per affrontare le sfide dell'inquinamento e del cambiamento climatico. Ma per cambiare il nostro modo di spostarci serve un nuovo stile di pianificazione.

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Tre strategie per ridurre le emissioni di CO2 nel settore dei trasporti tracciano la strada per conseguire gli obiettivi di riduzione a livello comunitario: Improve, che intende migliorare le prestazioni, anche ambientali, dei veicoli e dei carburanti; Shift, che tende a trasferire la domanda di trasporto verso mezzi meno consumatori di energia da fonti fossili; infine Avoid, che propone di evitare mobilità.  Il bel libro, curato da Anna Donati e Francesco Petracchini, Muoversi in città (Edizioni Ambiente 2015) dà uno spaccato interessante del mix delle tre strategie che interessa oggi il sistema dei trasporti modificandone profondamente le logiche d’uso e di organizzazione.

Verso una mobilità nuova

L’insieme delle molte innovazioni tecnologiche, organizzative e comportamentali configura quella che allo stato delle cose va sotto il nome di “mobilità nuova”. Non solo l’innovazione tecnologica nelle motorizzazioni, le prospettive promettenti di elettrificazione e di automazione dei veicoli, la riduzione dei consumi hanno fatto grandi passi avanti migliorando le prestazioni dei mezzi privati e anche quelle del trasporto pubblico.

Ma le massicce dosi di telecomunicazione e tecnologie informatiche nella gestione e nell’uso delle flotte e dei mezzi privati hanno aperto prospettive fino a poco tempo fa impensabili verso la traslazione dell’automobile da bene di consumo durevole a servizio e verso nuove strategie di integrazione tra i diversi modi di trasporto.

Nella co-modalità, che punta sull’ampliamento delle possibili scelte da parte di utenti consapevoli, l’auto tende a divenire un servizio da usare solo quando serve, con vantaggi collettivi in termini di uso dello spazio urbano e riduzione dell’inquinamento nonché vantaggi individuali in termini di riduzione degli investimenti per l’auto e di liberazione dalle numerose incombenze connesse al possesso dell’auto medesima.

Non è difficile pensare che uno degli aspetti più interessanti della “novità” sia proprio la disponibilità al cambiamento dei comportamenti e che il fattore che differenzia “mobilità nuova” da “mobilità sostenibile” sia l’indicazione non solo tecnologica dei molti fattori convergenti attraverso i quali la sostenibilità può (deve?) divenire pratica corrente.

Meno dipendenti dall’auto privata

Tra questi molti fattori convergenti, la componente “risparmiare traffico” (Avoid) – sicuramente marginale nelle tradizionali analisi del sistema dei trasporti – riveste un’importanza senza precedenti sotto la spinta di molteplici fattori, molti dei quali nascono da problemi e settori disciplinari estranei all’ambito dei trasporti.

Fino a un recente passato (e in buona misura a tutt’oggi) le forme prevalenti di urbanizzazione diffusa e la mancata regolazione della rendita fondiaria sono stati un potente incentivo all’uso obbligatorio e sistematico dell’automobile privata.

È ben evidente la pesante zavorra posta al cambiamento dagli assetti insediativi, dai modi di abitare e di lavorare fondati sull’uso dell’automobile, progressivamente divenuta protesi individuale per far fronte a tutte le incombenze della vita quotidiana. Ma al contempo occorre riconoscere che nuovi modi di abitare, di lavorare, di rapportarsi al proprio intorno sociale ed economico tendono ad allentare la dipendenza dall’auto, a riconquistare distanze brevi, con un’organizzazione dello spazio pubblico meno asservita alla presenza dell’auto, e profonde modifiche delle logiche di possesso, circolazione e sosta delle automobili.

“Risparmiare” mobilità motorizzata non propone di perseguire un’improbabile esclusione dell’auto dal sistema, ma di migliorarne radicalmente le prestazioni ambientali, di “adattarne” saggiamente gli usi in combinazione con le altre modalità di trasporto e, insieme, di perseguire politiche di riorganizzazione degli spazi urbani intese a ottenere molteplici vantaggi dal punto di vista del benessere degli abitanti, tra cui quello di rendere meno necessario il possesso e l’uso sistematico dell’automobile.

Città resilienti

A questo rispondono le politiche di rigenerazione urbana che si vanno sviluppando in tutta Europa. Sono politiche che hanno profondi effetti sui modi di muoversi ma non nascono nell’ambito delle strategie di governo del traffico, neppure di quelle virtuosamente orientate a ottenere miglioramenti ambientali. Nascono piuttosto dal fenomeno globale della concentrazione della popolazione nelle città e da modalità di crescita degli agglomerati urbani tali da mettere a rischio il funzionamento dei servizi ecosistemici.

Nascono dal riconoscimento che proprio gli ambiti urbani sono il luogo di massima generazione delle emissioni climalteranti e dunque il luogo dove appaiono più promettenti le misure di mitigazione e adattamento. E nascono infine dai nuovi problemi di coesione sociale connessi alle migrazioni, alla multiculturalità e alle crescenti diseguaglianze. Problemi che trovano, proprio nelle pratiche urbane di uso dello spazio, nuove forme di espressione e tentativi inediti di soluzione.

Una componente particolarmente interessante di tali politiche di rigenerazione urbana, anche ai fini della mobilità nuova, è costituita dalla green infrastructure, ovvero dalla formazione della rete continua degli spazi aperti permeabili, ambiente urbano parchi e giardini (pubblici e privati), alberate così da realizzare una vera e propria nuova infrastruttura urbana.

L’infrastruttura verde assume tutti i caratteri di continuità e di strutturazione propria delle infrastrutture di base ma, al contrario della grey infrastructure (strade, reti di collettamento, sottoservizi, ecc.), svolge nello stesso spazio una molteplicità di funzioni importanti per la sostenibilità dell’organismo urbano. Alla scala urbana e alla scala di quartiere la green infrastructure aiuta a regolare il microclima, a mitigare l’isola di calore, ad assorbire CO2, ad alimentare le falde idriche, a depurare l’acqua, a restituire continuità alle reti ecologiche territoriali, a gestire il ruscellamento superficiale e i rischi di alluvione in occasione delle piogge intense che il cambiamento climatico rende ormai frequenti.

Ruoli per la green infrastructure

La buona qualità dell’infrastruttura verde, insieme alle misure di moderazione del traffico, costituiscono un potente incentivo alla mobilità non motorizzata. La continuità e la profonda compenetrazione della rete verde con le residenze e le attività urbane rende facile e piacevole muoversi a piedi, percorrere quella mezz’ora  giornaliera di cammino di buon passo che l’Organizzazione Mondiale della Santità ritiene indispensabile per la prevenzione delle malattie cardiocircolatorie e dell’obesità.

Anche da questi nuovi atteggiamenti nascono lo straordinario sviluppo delle misure per l’uso delle biciclette (dagli itinerari ciclabili di lunga e di breve distanza al bike sharing), le forme di accesso alle scuole a piedi o in bicicletta, le forme di acquisto collettivo, la fioritura di nuovi servizi di prossimità o di nuove forme di commercializzazione a km0. Certo si tratta di fenomeni ancora minoritari, ma non vi è dubbio che configurino innovazioni interessanti anche dal punto di vista della “mobilità nuova”, compresa la riduzione del bisogno di mobilità motorizzata.

La spinta dall’Europa

Nel nostro Paese tali politiche urbane sono ancora fatti del tutto episodici, affidati per lo più alla sensibilità e ai buoni sentimenti dell’assessore di turno. Ma sembrano destinati a trovare potenti alleati nelle direttive europee per il contrasto al cambiamento climatico, per la conservazione delle biodiversità e per i nuovi traguardi di resilienza urbana che gli eventi estremi rendono ormai ineludibili.

Il secondo ciclo di riduzione delle emissioni di CO2 per il settore dei trasporti si avvia a essere assai più impegnativo rispetto al primo e anche rispetto agli obiettivi al 2020. A quella data i settori non ETS (Emission Trading System, i trasporti, l’edilizia residenziale, i servizi, l’agricoltura, il trattamento dei rifiuti, ecc.) dovranno ridurre le loro emissioni a livello europeo del 30% rispetto ai livelli del 2005. Il contributo richiesto all’Italia per il raggiungimento di tale obiettivo è una riduzione delle emissioni del 13%.

Fissare una tale soglia di emissioni pone il concreto problema di stabilire obiettivi e modalità di misurazione delle riduzioni di CO2 anche per i settori, come i trasporti, attualmente non compresi nel sistema ETS. Problema che diverrà ancora più importante nel prossimo futuro, infatti il 23 ottobre 2014 il Consiglio Europeo ha stabilito un accordo per un ulteriore “pacchetto” di obiettivi da raggiungere entro il 2030 che comprende:

  • una riduzione delle emissioni climalteranti del 40% rispetto al 1990 come tappa obbligatoria per raggiungere entro il 2050 una riduzione di almeno l’80%;
  • la copertura di almeno il 27% dei consumi energetici da energie rinnovabili;
  • un aumento dell’efficienza energetica di almeno il 27%;
  • il rafforzamento e la riforma del sistema ETS di scambio delle emissioni.

Nel cammino verso la desiderata economia low carbon, la riduzione al 2050 richiesta al settore dei trasporti è compresa tra il 54% e il 67%: ben più coraggiosi mutamenti si rendono indispensabili rispetto a quelli necessari a conseguire gli obiettivi per il 2020.

L’importanza di un nuovo stile di pianificazione

Siamo dunque nel pieno di un nuovo contesto normativo, economico e sociale che pone, per il nostro Paese, urgenti necessità di cambiamento. Le esperienze dei Paesi europei che si sono incamminati con successo lungo la road map verso un’economia low carbon mostrano la necessità e l’importanza di un nuovo stile di pianificazione, guidata dall’Amministrazione pubblica.

Una pianificazione basata su obiettivi consapevoli, sulla collaborazione tra i diversi livelli di governo e i diversi interessi coinvolti, ma anche sulla partecipazione attiva degli utenti finali, la disponibilità a sperimentare e proporre, la reciproca fiducia tra Amministrazione e cittadini. Non è esattamente il caso della pianificazione urbanistica in Italia, dove l’Amministrazione pubblica si fa merito di aver dismesso ogni ambizione di guidare le trasformazioni urbane e l’urbanizzazione di nuove aree da parte dei Comuni risponde alle esigenze di cassa piuttosto che a qualche bisogno della collettività.

La fissazione di obiettivi quantitativi è un’occasione importante per riprendere in mano con atteggiamenti nuovi la questione della pianificazione e procedere realmente verso una migliore sostenibilità del sistema dei trasporti nel quadro di una rigenerazione urbana che deve portare entro il 2050 all’annullamento del consumo di suolo e al ripristino generalizzato dei servizi eco-sistemici.

Alcuni di tali atteggiamenti di raccordo tra pianificazione dei trasporti, rigenerazione urbana e partecipazione attiva degli abitanti sono già ora efficacemente rispecchiati nelle proposte comunitarie riguardo ai SUMP (Sustainable urban mobility plans). Secondo le indicazioni comunitarie il Piano per la mobilità sostenibile, di carattere strategico, deve puntare sugli obiettivi di qualità della vita piuttosto che su quelli di trasporto; obiettivi da costruire insieme agli abitanti e agli interessi locali.

L’invito è quello di partire da obiettivi ambiziosi, capaci di raccogliere condivisione, entusiasmo, partecipazione alla loro realizzazione. Anche i SUMP sono piani della mobilità e anche qui la responsabilità della loro attuazione sta in capo all’amministrazione dei trasporti. Ma la loro attuazione coinvolge costantemente tutta l’Amministrazione e la società civile. Il monitoraggio sistematico ed efficace deve dare dimostrazione concreta degli obiettivi raggiunti e dei vantaggi relativi.

Un efficace strumento di raccordo tra piani dei trasporti fondati su consapevoli obiettivi e piani di riorganizzazione urbana è già compreso nella cassetta degli attrezzi della programmazione. Si tratta della Valutazione ambientale strategica dei Piani e dei Programmi (VAS): uno strumento oggi assai sottovalutato nel nostro Paese e applicato in modo quasi del tutto privo di efficacia. In netto contrasto con le strategie europee per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, che considerano la VAS uno degli strumenti di maggiore potenzialità (cfr: Vivere bene entro i limiti del nostro Pianeta – 7° Programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020).

La VAS non solo è lo strumento adatto per tener conto delle differenze, ma è il luogo della costruzione partecipata delle decisioni, della ricerca di sinergie e coerenze, della sedimentazione delle esperienze e del flessibile ri-orientamento delle azioni in base ai cambiamenti, spesso rapidi, del contesto economico e sociale. Nel settore dei trasporti Avoid, Shift e Improve dovranno contribuire in modo armonico e in proporzioni equilibrate al raggiungimento degli obiettivi.

E i risultati saranno tanto migliori quanto più le risorse rese disponibili dalle aste dei diritti di emissione verranno distribuite in base alla domanda e alle aspirazioni dei cittadini piuttosto che alla forza degli interessi industriali e finanziari coinvolti. Gli strumenti per la “mobilità nuova” sono, anche nel nostro Paese, tutti potenzialmente presenti ed è chiaramente avvertibile la disponibilità al cambiamento dei cittadini. Ora tocca alla politica e alla sua capacità di inaugurare davvero uno stile di amministrazione finalmente adeguato ai tempi.

L’articolo è stato pubblicato sul n.5/2015 della rivista bimestrale QualEnergia.

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