Rinnovabili in Italia e in Europa: crisi o nuovo inizio?

In molte paesi europei, come Italia, Spagna e UK, stiamo assistendo ad una sorta di marcia indietro della politica sulle rinnovabili, dopo la spinta degli anni 2007-2013. Siamo in una fase di ripensamento della politica o si tratta solo di una situazione contingente? Facciamo il punto con Gianni Silvestrini, direttore scientifico della nostra testata.

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Ai “tifosi” delle rinnovabili non è piaciuta la notizia che fra gennaio e ottobre la produzione totale di elettricità verde in Italia sia scesa di ben 8 TWh sull’analogo periodo 2014, e che in Spagna, l’eolico, che era stato nel 2013 la prima fonte elettrica del paese, e nel 2014 la seconda dopo il nucleare, quest’anno si avvia a prendere la medaglia di bronzo, superato da nucleare e carbone.

Stiamo assistendo a una marcia indietro delle rinnovabili in Europa, dopo che la nostra «rivoluzione verde», partita in quarta fra 2007 e 2012, si è quasi impantanata nei mille ripensamenti della politica in quasi tutti i paesi del continente? Facciamo il punto con Gianni Silvestrini, direttore scientifico della nostra testata e autore del saggio ”2 °C” (Edizioni Ambiente).

«No, non la metterei in modo drammatico», ci dice Silvestrini. «Certo c’è stata una battuta d’arresto sia in Italia che in Spagna nei nuovi impianti rinnovabili, ma in entrambi i paesi la causa della riduzione del peso delle rinnovabili è legata alla drastica diminuzione dell’idroelettrico nel 2015. Nel caso italiano si è registrata una perdita della sua produzione di oltre 10 TWh, solo in piccola parte compensata dall’aumento del solare. In Spagna l’eolico nel 2015 ha perso appena l’1,7% rispetto all’anno “boom” 2013 e lo 0,8% sul 2014. Ciò che è veramente cambiato è la produzione idro, -4% sul 2014. Questo significa che l’eolico, quasi costante, è stato sorpassato dal nucleare, che varia pochissimo di anno in anno, e dal carbone, +3,3% sul 2014, che è stato usato per compensare il calo dell’idroelettrico e i maggiori consumi». 

E cosa ci dice tutto questo?

Ci dice che le rinnovabili in Spagna e ancora di più in Italia dipendono ancora molto dalla produzione idroelettrica, che è sì modulabile, ma è anche quella più soggetta al clima perché le precipitazioni possono variare moltissimo di anno in anno. Se ci vogliamo liberare da queste oscillazioni annuali, quindi, non possiamo che insistere a installare pannelli solari e turbine eoliche, o impianti che sfruttano l’energia delle onde, che sono fonti verdi con elevate potenzialità, mentre biomasse o geotermia nell’elettrico hanno minori margini di espansione.

Però, con poche eccezioni come la Germania per l’eolico, non sembra che il continente stia andando in quella direzione: è tutto un susseguirsi di provvedimenti, dall’Italia al Regno Unito, dalla Spagna alla Grecia, adottati per limitare l’ulteriore espansione delle rinnovabili …

Si tratta solo di una fase contingente di rallentamento, dovuta alla, spesso mal gestita, precedente fase di incentivazione, alla crisi economica, all’impressione che dal grande investimento in rinnovabili non siano derivate adeguate ricadute economiche e industriali e anche per le pressioni delle utilities elettriche convenzionali, messe in gravi difficoltà dal boom delle rinnovabili. Ma non perdiamo di vista un punto: gli Stati europei si sono impegnati a ridurre le emissioni di CO2 del 40% al 2030, con un 27% di rinnovabili. Quest’ultima cifra sembra poco ambiziosa, ma teniamo conto che si riferisce alla somma di elettricità, calore e trasporto: il contributo dei biocarburanti da qui al 2030 non potrà aumentare moltissimo, quindi si prevede che sarà il settore elettrico a dover crescere, arrivando a un 48-50% di produzione da rinnovabili. Non ci potrà quindi che essere un nuovo boom di installazioni, stavolta con aiuti pubblici molto ridotti, vista la riduzione dei prezzi di queste tecnologie.

Quindi dovremo di nuovo importare dalla Cina pannelli e turbine?

No, negli Stati Uniti il solare viene sempre di più prodotto in casa, e si annuncia l’apertura di fabbriche gigantesche. Anche in Europa Hollande e la Merkel stanno valutando una sorta di “progetto Airbus” per la produzione di moduli fotovoltaici. Il fatto è che la manifattura del solare è ormai altamente automatizzata, e il margine di vantaggio dell’Asia si è fortemente ridotto e dunque prodotti europei possono di nuovo competere, in particolare se ripartirà la domanda interna. Per l’eolico, poi, l’Europa ha mantenuto un forte presidio industriale.

Ma lei vede segni di questa ripartenza? Il panorama sembra in realtà piuttosto deprimente.

Sì che li vedo. Per esempio la Germania nel primo semestre ha installato 1.650 MW di eolico off-shore, il triplo rispetto allo stesso periodo del 2014, mentre nel 2016 si riattiverà anche la Spagna con 500 MW di eolico, e 200 MW di biomasse. Dal 2017, poi, tutti i paesi europei dovranno adeguarsi e cominciare ad installare nuove rinnovabili con il meccanismo delle aste. E non è detto che debbano per forza essere nuovi impianti, che potrebbero suscitare proteste per l’occupazione di nuovi spazi: in futuro un grande peso avrà il revamping, cioè la sostituzione di “vecchie” turbine eoliche, con altre di potenza ed efficienza maggiore.

Italia e Gran Bretagna, però, sembrano andare per conto loro, con la prima che ostacola il più possibile le rinnovabili per via burocratica e ora ha persino limitato l’eolico in Sicilia a 20, ridicoli, kilowatt di taglia. La Gran Bretagna, invece, sembra puntare più sul nucleare che sulle rinnovabili.

Anche questi due paesi si dovranno adeguare a quanto hanno sottoscritto a livello europeo. In Italia aspettiamo la normativa quadro, che, a partire dal 2017, potrebbe sbloccare, per esempio, la possibilità di fare SEU rivolti a più clienti, un condominio per esempio, o incentivare rinnovabili ed efficienza nelle aziende. La Gran Bretagna, invece, è un vero mistero: frena bruscamente sulle rinnovabili, ma annuncia l’uscita dal carbone e dai progetti per lo stoccaggio della CO2. In apparenza sembra voler puntare tutto su gas di scisto e nucleare: ma è una strada costosa, per gli enormi incentivi previsti per le nuove centrali atomiche, di incerta accettazione popolare e che entra in rotta di collisione con le fonti rinnovabili, per la tipica rigidità del nucleare, che rende difficile gestire grandi percentuali di vento o sole.

Se però entro il 2030 molte nazioni copriranno con solare e l’eolico la metà della produzione elettrica, si porrà presto il problema di come stabilizzare il sistema.

Certo, ma anche qui ci sono esempi che possiamo seguire. Non parliamo solo delle batterie, che certo nei prossimi anni caleranno di prezzo e stabilizzeranno la produzione di tanti impianti eolici e solari, ma di altre soluzioni già utilizzate oggi. Come le interconnessioni della Danimarca con la Svezia e i suoi bacini idroelettrici da usare per l’accumulo con il pompaggio, con le quali riesce a bilanciare il suo sistema, persino nei giorni in cui l’energia eolica supera da sola tutta la sua domanda di elettricità. Oggi la Danimarca produce il 39% della sua elettricità con il vento, ma vuole arrivare al 50% entro il 2020 e quest’anno si collegherà alla Norvegia per aumentare l’interscambio. Nel 2019 ci sarà una connessione di 700 km anche con la Gran Bretagna. E si parla anche di collegare l’Islanda alla Scozia, per usare in Europa le enormi potenzialità idroelettriche e geotermiche dell’isola, oggi non sfruttate. In Germania si stanno poi sperimentando le “centrali virtuali”, un insieme di impianti con fonti diverse, in parte intermittenti, in parte a cogenerazione, che forniscono energia ai consumatori: la loro fornitura alla rete è resa programmabile, compensando le diverse fonti fra loro, modulando la domanda e utilizzando gli accumuli. Anche in Italia stiamo aspettando il regolamento dell’Autorità, per poter partire con le prime esperienze.

Vede ancora spazio per le tecnologie per il sequestro della CO2, la CCS?

Si, ma non con la cattura e il sequestro nel sottosuolo che pare sempre più problematico. Il “buon CCS” sarà legato alla generazione di biometano: nel digestato, dopo la produzione del gas, resta tanto carbonio sottratto all’atmosfera, che viene poi incorporato nel suolo. Produrre biometano, quindi, vuol dire sottrarre CO2 dall’aria, e si spera che questo servizio che l’agricoltura del futuro compierà, sia riconosciuto e adeguatamente compensato.

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