L’Italia in overcapacity comprerà elettricità sporca dal Montenegro

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Un altro capitolo nella storia dell'elettrodotto Italia-Montenegro da un miliardo di euro, e pure a nostro carico. Il paese balcanico vuole costruire una centrale a lignite, il combustibile più inquinante, e quasi certamente esportare in Italia attraverso il cavo questi kWh sporchi. Dentro il progetto potrebbe esserci l'utility A2A. Con quale ruolo?

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Nuova svolta nella saga infinita dell’elettrodotto fra Italia e Montenegro: la storia diventa ancora più ‘fumosa’, anche per la lignite bruciata nella nuova centrale che verrà costruita nel paese balcanico e che potrebbe finire per esportare, a spese nostre, i suoi kWh saturi di CO2 in Italia. Come in ogni saga che si rispetti, cominciamo con il riassunto delle puntate precedenti.

Dopo lo spavento del black out del 2003, causato anche dalla insufficiente capacità produttiva elettrica italiana, i governi del nostro paese cercarono strade per incrementare la fornitura. Una di queste fu realizzare un elettrodotto fra Balcani e Italia (approdo in Abruzzo) in vista dell’importazione di elettricità da quelle aree. Nel tempo, però, l’undercapacity italiana si trasformò in overcapacity, ma l’elettrodotto fra Abruzzo e Montenegro, un’opera che oggi finirà per costare, se saremo fortunati, almeno un miliardo di euro, fu tutt’altro che accantonata.

Fra 2008 e 2011, sotto i governi Prodi e Berlusconi, il progetto fu infatti riesumato con un nobile scopo: importare energia idroelettrica dai Balcani, aiutando l’Italia a superare i limiti fissati al 2020 sull’uso di energia rinnovabile. Peccato che per questo fosse prevista la costruzione di nuove centrali idroelettriche in Serbia e l’import di elettricità a prezzi stratosferici attraverso l’elettrodotto.

Avendo dimostrato in questi anni che possiamo produrci in casa tutta l’energia verde che ci serve per raggiungere gli obbiettivi fissati a livello nazionale ed europeo, e che quindi dell’energia idroelettrica serba a peso d’oro oggi non ce ne facciamo nulla, sembrava che per l’interconnessione adriatica fosse calato il sipario. Ma, come si sa, le grandi opere in Italia sono più difficili da eliminare di Terminator.

Pochi mesi il governo Renzi ha confermato che il cavo verrà ugualmente posato, tanto che Terna ha già cominciato i lavori sulla sponda italiana, anche se ormai non è più chiaro a cosa dovrebbe servire, a parte contribuire a far rispettare la quota minima europea del 10% di interconnessione fra paesi, che però poteva magari essere soddisfatta con un’opera meno costosa e connettendoci con nazioni più adatte del piccolo Montenegro, non proprio un esempio di trasparenza e incorruttibilità. Oltretutto, come scrivemmo a marzo, se l’elettricità montenegrina dovesse correre oggi verso l’Italia sarebbe per il 64% prodotta con il carbone; quindi ci allontanerebbe dagli obbiettivi climatici.

Nello stesso articolo riferimmo che, secondo una nostra fonte, l’interconnessione era stato mantenuta in vita nel 2010 dal governo Berlusconi anche per fare un favore alla utility A2A, in maggioranza controllata dai comuni di Milano e Brescia, che aveva fatto un rischioso investimento in centrali elettriche in Montenegro, recuperabile, probabilmente, solo esportando kWh in Italia a prezzi ben più alti di quelli che vengono pagati, quando vengono pagati, nel paese balcanico.

Pochi giorni fa a questa già intricata vicenda si è aggiunto un ulteriore capitolo. Nel blog su Il Fatto Quotidiano tenuto da Mario Agostinelli, ex segretario Cgil in Lombardia e portavoce del ‘Contratto mondiale per energia e clima’, è apparsa la notizia che A2A avrebbe intenzione di costruire una nuova centrale a lignite in Montenegro, raddoppiando la potenza di quella esistente, e che la decisione si sarebbe potuta ratificare nell’assemblea annuale dell’11 giugno.

«La notizia – spiega Agostinelli – arrivava dagli abitanti di Pljevlja, dove si trovano la miniera di lignite e la relativa centrale, allarmati dalla possibilità di un raddoppio del già inquinante impianto. È il governo del Montenegro che vuole assolutamente quest’opera delegandone la realizzazione a Epcg, la società che gestisce le altre centrali del paese, di cui A2A detiene il 42% e il governo il resto».

Ma nell’assemblea dell’11 giugno le intenzioni di A2A su questa opera non sono state definite molto chiaramente, anche perché l’azienda, al momento, sembra piuttosto indecisa se continuare o meno la non certo redditizia partnership in Epcg.

«Verso l’uscita dal Montenegro – spiega Agostinelli – spingono, per la verità molto timidamente, i comuni di Milano e Brescia, azionisti di maggioranza. Ma a loro, in realtà, la cosa che più importa sembra essere che la società dia dividendi, poi, se li ottiene con l’idro o con il carbone, interessa poco. Il presidente di A2A, Giovanni Valotti, nel discorso in assemblea, non ha fatto invece molta chiarezza su questo punto. Vuole “trattare un’opzione di uscita” da Epcg, ma solo se la ridiscussione degli accordi con il governo montenegrino, scaduti a marzo, non dovesse portare a “stabilità del quadro regolatorio, redditività dell’investimento e piena autonomia di gestione”. Solo se entro il 30 giugno non si arrivasse a un accordo in questi termini, o a una uscita che garantisca ad A2A di recuperare gli oltre 370 milioni di euro di investimento, cosa che molto difficilmente i montenegrini garantiranno, allora A2A ricorrerà a un arbitrato internazionale per risolvere la questione. In altre parole, se si mettono d’accordo su un modo per far guadagnare qualcosa ad A2A dalla partnership in Epcg, probabilmente Valotti deciderà di non lasciare il Montenegro almeno per qualche anno».

Abbiamo chiesto ad A2A se qualcuno poteva chiarirci la loro posizione su Montenegro, import tramite nuovo elettrodotto e uso della lignite. L’ufficio stampa di A2A ci ha solo rimandato al comunicato ufficiale dell’assemblea, ma una fonte interna alla società lombarda ci ha detto «in realtà vorremmo andarcene dal Montenegro, ma con le clausole dell’attuale contratto non è facile uscire in modo indolore. Non a caso lo stiamo rinegoziando, con il massimo dello sforzo concentrato su  diverse e più favorevoli modalità di disimpegno. Nel frattempo dovremo destreggiarci per non compromettere l’esito favorevole delle trattative». Comunque al momento la società lombarda non sembra voler restare fuori dalla nuova centrale di Pljevlja.

«Non la costruiranno loro, visto che l’appalto indetto da Epcg l’ha vinto la società ceca Skoda Praha, ma pare che parteciperanno con una quota del 2% alla nuova società che la gestirà. E probabilmente, questa presenza di A2A nell’affare, è ciò che dovrebbe indurre Unicredit a concedere parte dei 338 milioni di euro necessari all’opera», ci spiega Agostinelli.

Quindi pare proprio che il Montenegro sia deciso a raddoppiare la sua produzione di energia elettrica, ma non con le fonti rinnovabili che noi volevamo importare dai Balcani, bensì con il più inquinante e climalterante dei combustibili, la lignite. Per capire come cambierebbe la produzione elettrica locale con questa nuova centrale basti considerare che Epcg oggi produce circa 1,5 TWh idroelettrici annui in Montenegro, e 1,2 dalla centrale a lignite di Pljevlja. Con il nuovo impianto la produzione da lignite balzerebbe intorno ai 3 TWh, e, sommandola con quella idroelettrica e le possibilità di import dalla Serbia, si andrebbe ben oltre ai consumi montenegrini.

«Visto che non pare proprio che il paese balcanico stia per diventare una potenza industriale affamata di energia – conclude Agostinelli – l’unica spiegazione per questa decisione è che Epcg, che presto dovrà anche recuperare i milioni investiti nel nuovo impianto di Pljevlja, conti di rivendere a noi, a prezzi concorrenziali sul nostro mercato, ma ben maggiori di quelli locali, l’elettricità montenegrina e serba, quasi interamente da lignite, utilizzando a tal scopo il famoso elettrodotto da un miliardo di euro, pagato da tutti noi per importare, almeno nelle originarie intenzioni, energia green dai Balcani».

La paradossale inversione dei fini di questa opera rende ancora più oscure le ragioni del perché siano i cittadini a doverla finanziare: importare energia prodotta in modo inquinante non fa bene all’ambiente, allontana il rispetto dei nostri impegni sul clima e contrasta con ogni dichiarazione pubblica dei nostri governanti nei consessi internazionali, ultima delle quali quella al G7 in Germania, dove con gli altri ci siamo impegnati a fare di tutto per mantenere l’aumento di temperatura globale sotto i 2°C.

E, fra l’altro, se un domani (chissà i miracoli talvolta accadono) i governi del mondo, decidessero sul serio di combattere il global warming, imponendo carbon tax nazionali e globali, forse l’affarone dell’energia sporca del Montenegro, potrebbe anche rivelarsi non tanto proficuo.

Quindi, se lo Stato balcanico, ed eventualmente A2A, se resterà in Ecbg, vogliono esportare elettricità da lignite in Italia, l’elettrodotto almeno se lo paghino da soli, che a produrre energia piena di gas serra, volendo, siamo capaci anche da soli.

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