Perché la combustione del pellet è più sostenibile del gas naturale e del GPL

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La combustione del pellet per la produzione di energia termica è più rispettosa dell’ambiente di tutti i combustibili fossili, inclusi quelli gassosi. Consente inoltre benefici socio-economici importanti. Un articolo di Valter Francescato di AIEL pubblicato sull'ultimo numero della rivista QualEnergia.

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Il pellet di legno sta diventando sempre di più una commodity energetica a scala internazionale. Si stima che nel 2025 il consumo supererà i 50 milioni di tonnellate, ovvero raddoppierà. Eppure in alcuni settori dell’opinione pubblica, e talvolta delle istituzioni, vi è ancora la percezione che le fonti fossili, in particolare quelle gassose (metano e GPL), siano ‘più rispettose dell’ambiente’ se confrontate alla moderna combustione del pellet, perché emettono meno polveri all’atto della combustione.

L’obiettivo di questo articolo è cercare di dimostrare – sulla base di dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili – che l’uso del pellet per la produzione di calore rinnovabile in caldaie automatiche allo stato della tecnica è rispettoso dell’ambiente anche quando è impiegato in sostituzione di combustibili fossili in forma gassosa.

È sicuramente vero che all’atto della combustione un combustibile solido (pellet) emette più polveri di un combustibile gassoso (metano e GPL). Ma è importante comprendere questa differenza oltre che in termini quantitativi, soprattutto in senso qualitativo/compositivo, ovvero in termini di effettiva tossicità sulla salute umana del particolato emesso.

Attualmente la preoccupazione delle autorità competenti (MATTM, ARPA), con particolare riferimento alle emissioni della combustione domestica del legno, sono riferite soprattutto alla qualità del particolato, ovvero al suo effetto di tossicità. I composti più temuti, legati alla combustione domestica tradizionale del legno, sono gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), tra questi il più noto e temuto è il Benzo(a)pirene. Nel bacino padano, infatti, si osserva che, mentre il PM10 è in costante diminuzione, il B(a)P mostra una tendenza in aumento in alcune valli alpine/montane/pedemontane chiuse, con scarso ricambio d’aria e fenomeni di inversione termica.

La combustione del pellet in moderne caldaie automatiche, allo stato della tecnica:

  • è caratterizzata dal fattore di emissione (FE) di particolato (PM) più basso rispetto ai tipi di generatori e biocombustibili legnosi. Il FE varia nell’intervallo 6-15 mg/MJ ed è composto essenzialmente da sali minerali, ovvero composti inorganici.
  • il particolato è (quasi) privo di composti carboniosi organici (IPA). Il FE di B(a)P di una caldaia a pellet è nell’ordine di 0,03 mg/ GJ, ovvero 300 volte inferiore alle aspettative degli attuali piani di qualità dell’aria (il FE riportato nel Guidebook 2013 per le caldaie a pellet è pari a 10 mg/GJ).
  • recenti studi scientifici svizzeri e austro-finlandesi, attraverso test di tossicità in vitro su cellule polmonari, hanno dimostrato che l’effetto di tossicità sulla salute del PM prodotto da moderne caldaie automatiche a pellet è trascurabile in quanto la mortalità cellulare rilevata sui campioni caricati con elevate concentrazioni di PM da combustione del pellet non ha dimostrato differenze significative rispetto ai campioni testimone (privi di PM). Gli studi austro-finlandesi più recenti hanno confermato inoltre che non ci sono effetti di tossicità significativi, rispetto al PM urbano, in termini sia di infiammazione cellulare sia di genotossicità.

A nostra conoscenza, non esiste alcuno studio scientifico che dimostri un significativo peggioramento della qualità dell’aria, in termini di PM10, NO2 e SO2, in prossimità del luogo di installazione di una moderna caldaia automatica a pellet. Esiste invece uno studio indipendente e autorevole condotto nel 2005 da ARPA Biella che, in seguito a un monitoraggio della qualità dell’aria (PM10, NO2, SO2) nei pressi della centrale termica alimentata a cippato del Comune di Occhieppo Superiore (quindi con un FE sicuramente superiore a quello di una caldaia a pellet, considerando anche il fatto che si tratta di uno studio di 10 anni fa), ha portato alle seguenti conclusioni: “Non sono osservabili effetti particolari dovuti all’accensione degli impianti di riscaldamento (tra il 27 settembre e il 3 ottobre), come pure non si evidenziano incrementi causati dal funzionamento della caldaia a cippato”.

Del resto basta fare semplici calcoli per dimostrare che 20 moderne caldaie a pellet con un FE di 15 mg/MJ che producono 1.000 MWh primari di energia termica emettono circa 50 kg di PM all’anno, ovvero la stessa quantità emessa da 4 stufe a legna tradizionali di 12 kW che producono in un anno 1/10 dell’energia primaria (100 MWh primari). Se consideriamo un solo chilometro di strada mediamente trafficata (10.000 veicoli al giorno, Euro 3) questo km produce in atmosfera circa 230 kg di PM all’anno. Le differenze in termini di impatto sulla salute si moltiplicano di molto se consideriamo che oltre il 90% del PM prodotto da una stufa tradizionale a legna è composto da sostanze carboniose organiche, le quali aumentano ulteriormente facendo riferimento alle emissioni degli autoveicoli (Diesel).

Gassoso vs Solido

L’affermazione secondo la quale la semplice sostituzione del combustibile fossile gassoso, sia esso ‘naturale’ o derivato dal petrolio, con moderni e performanti caldaie automatiche a pellet o la nuova installazione dei medesimi generatori, comporterebbe un peggioramento della qualità dell’aria e quindi un aumento dell’effetto di tossicità sulla salute umana, a causa soprattutto dell’aumento delle emissioni di polveri a scala locale o regionale, non trova quindi alcun riscontro nella letteratura tecnica e scientifica.

Il miglioramento della qualità dell’aria di una valle o di un ambito territoriale regionale si raggiunge attraverso piani di qualità dell’aria che considerano tutte le sorgenti inquinanti e applicano azioni di mitigazione complessiva e puntuale degli impatti. Il monitoraggio della qualità dell’aria nelle regioni del bacino padano, infatti, dimostra che il valore del particolato è sensibilmente diminuito negli ultimi decenni grazie ai piani di qualità dell’aria. Quello che aumenta talvolta localmente (specie in montagna, nelle valli chiuse con fenomeni di inversione termica) è il valore di alcuni composti policiclici aromatici – B(a)P – legati soprattutto alla combustione domestica della legna in generatori obsoleti con scarse prestazioni tecnico-ambientali che, proprio grazie alla sostituzione con moderne caldaie a pellet, caratterizzate invece da un fattore di emissione di polveri inferiore di oltre il 90% e una tossicità equivalente (TEQ) dei composti policiclici oltre 1.000 volte inferiore, sono in grado di determinare un significativo miglioramento della qualità dell’aria in queste aree critiche, ed è per questo che tali interventi sono sostenuti da strutturati incentivi statali attivati in seguito al recepimento in Italia di specifiche direttive europee (2009/28/EC).

Nella comparazione dell’impatto negativo sull’ambiente della combustione del pellet vs quella dei combustibili fossili gassosi non vengono considerati gli effetti di alterazione del clima generati da questi ultimi, nonostante questo argomento sia il principale driver delle politiche energetiche e ambientali dell’Europa e dell’Italia. Eppure il Report 2013 dell’IPCC, ovvero del panel intergovernativo per i cambiamenti climatici, ha espresso giudizi molto chiari ed estremamente allarmati, con effetti già in atto e che diventeranno ancora più evidenti e tangibili nei prossimi decenni. In estrema sintesi l’IPCC dice alla comunità internazionale che, in mancanza di concrete politiche energetiche su risparmio energetico e rinnovabili che taglino le emissione di gas climalteranti del 70%, non sarà possibile contenere il riscaldamento del Pianeta entro i 2 °C al 2050; inoltre, se l’attuale trend di emissione non cambia nei prossimi 86 anni, la temperatura media del Pianeta salirà fino 4,8 °C, con conseguenze catastrofiche e irreparabili per le future generazioni.

Sulla base di questi consolidati scenari, a gennaio 2014 la Commissione e il Parlamento europeo hanno avviato il dibattito sulla politica climatica ed energetica post 2030. A Ottobre 2014 gli Stati membri hanno adottato la posizione europea, ovvero nuovi e ambiziosi obiettivi post 20-20-20: 40% di riduzione dei gas serra, 27% di energia rinnovabile, 27% di efficienza energetica. Su tale base è opportuno confrontare gli impatti sul clima – che creano effetti negativi diretti e indiretti anche sulla qualità dell’aria – della combustione dei combustibili fossili gassosi rispetto al pellet con un approccio che consideri l’intero ciclo di vita (LCA).

In primo luogo, sulla base di nostre elaborazioni e con l’ausilio di appositi modelli, abbiamo calcolato mediamente per il pellet un’emissione di 30 kg di CO2eq/MWh utile e per il gas naturale e il GPL rispettivamente 250 e 270 kg di CO2eq/MWh utile, ovvero un risparmio netto di CO2eq di 220-250 kg/1.000 kWh utili ogni volta che si sostituiscono questi combustibili fossili con il pellet. Per un’abitazione di 150 m2, significa un risparmio annuo di 45-50 t di CO2eq, ovvero 900-1.000 t in 20 anni di vita tecnica dell’impianto di riscaldamento. Considerando che in Italia consumiamo circa 3 Mt di pellet all’anno, sostituiamo circa 1,2 Mtep producendo un risparmio – solo con il pellet – di oltre 2,5 milioni di tonnellate di CO2eq.
Recenti studi hanno dimostrato che l’effetto climalterante del gas naturale sarebbe addirittura superiore a quello di gasolio e carbone.

Considerando infatti l’intero ciclo produttivo del gas naturale – incluse le emissioni di metano, che hanno un effetto climalterante 50 volte superiore alla CO2 – e una scala temporale ventennale, molto più consona al potenziale effetto climalterante delle emissioni di metano nel ciclo produttivo (Global Warming Potential, GWP), risulta quanto riportato nella figura di seguito.

In giallo sono indicate le emissioni dirette di CO2eq attraverso la combustione e in rosso quelle derivate dalle emissioni di metano nel ciclo produttivo. Lo studio dimostra che il gas naturale convenzionale ha un effetto climalterante (GHG, in g di CO2eq/ MJ primario) nettamente superiore a quello del gasolio e del carbone, in particolare quando il gas naturale è impiegato nella produzione di calore a livello residenziale e commerciale.

Effetti socio-economici

L’Italia spende ogni anno oltre 60 miliardi di euro per l’approvvigionamento energetico delle fonti fossili che provengono da Paesi esteri. Il 60% dell’energia termica in Italia (80 Mtep) è prodotta con il gas naturale, il 70% di questo è acquistato da tre Paesi con situazioni geopolitiche tutt’altro che stabili: Russia, Algeria e Libia. Il pellet concorre a rendere l’Italia meno dipendente dalle fonti fossili e crea significativi livelli di risparmio per le famiglie del ceto medio-basso.

L’industria nazionale di produzione ha un potenziale produttivo di circa 0,7 Mt/anno con un notevole potenziale di sviluppo grazie alle risorse forestali nazionali inutilizzate. Basti pensare che la superficie forestale italiana è più che raddoppiata in mezzo secolo e preleviamo dai nostri boschi meno del 25% dell’incremento legnoso annuo, contro il 70-80% di Austria e Germania.

I boschi gestiti secondo criteri di sostenibilità contribuiscono molto di più alla protezione del clima rispetto a quelli abbandonati, poiché la valorizzazione a cascata dei prodotti legnosi nei settori industriale ed energetico consente di sostituire le materie prime fossili e minerali quali l’acciaio, il cemento, il gas, il petrolio e il carbone. Questo è quanto dimostrano i risultati di uno studio condotto dal prof. Hubert Hasenauer, direttore del Dipartimento Forestale e Scienze del Suolo dell’Università di Risorse Naturali e Scienze della Vita di Vienna (Universität für Bodenkultur). Così un ettaro di bosco gestito è in grado mediamente di generare (in 300 anni) un risparmio di 1.603 tCO2, ovvero 10 volte maggiore al risparmio conseguibile da una foresta abbandonata (146 tCO2). Inoltre, ricordiamo che l’abbandono dei territori montani e collinari, che rappresentano circa i 2/3 del Paese, sono una delle principali cause del profondo dissesto idrogeologico, vera e propria emergenza per l’Italia, con ingentissimi danni alle comunità che abitano i luoghi più soggetti a tali fenomeni.

Il settore del pellet è particolarmente significativo per l’industria italiana, con oltre 42.000 unità lavorative impiegate annualmente, di cui oltre 20.000 direttamente nella produzione e distribuzione del combustibile.

La sola produzione di pellet ha una ricaduta occupazionale pari a 8,3 unità lavorative per milione di euro fatturato, contro 0,5 per i derivati dalla raffinazione del petrolio. Inoltre, l’incidenza del valore aggiunto della produzione di pellet è 7 volte superiore rispetto a quello derivante della raffinazione del petrolio (dati ISTAT, elaborazione AIEL).

È importante evidenziare che i produttori italiani di generatori alimentati a pellet, con oltre 22.000 unità lavorative impiegate, sono oggi leader a scala internazionale, esportando oltre il 35% in Europa e Nord America, contribuendo al prestigio del Made in Italy nel mondo.

La combustione del pellet per la produzione di energia termica rinnovabile, in particolare in moderne caldaie automatiche, allo stato della tecnica non solo è di per sé rispettosa dell’ambiente, ma lo è ancor più in confronto a tutti i combustibili fossili, inclusi quelli gassosi. Questo assunto trova concreta applicazione anche nelle politiche incentivanti del nostro Paese, attivate da decreti di recepimento di direttive europee, di concerto tra i ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e dell’Agricoltura e foreste. Attualmente in Italia si incentiva (incentivi diretti e bonus fiscali) la nuova installazione di caldaie a pellet e l’installazione di queste caldaie in sostituzione di caldaie alimentate a combustibili fossili, inclusi i gassosi.

Il pellet in molti casi riceve gli incentivi maggiori, proprio perché consente di raggiungere le migliori prestazioni tecnico-ambientali. Quindi, concretamente, se un privato, un’azienda, un ente pubblico sostituisce il proprio generatore a gas naturale o GPL con una caldaia a pellet riceve un incentivo economico per i risparmi energetici che ottiene, il risparmio di gas climalteranti che consegue e quindi per un’azione considerata dall’Europa e dall’Italia più rispettosa dell’ambiente in cui viviamo e che lasciamo alle future generazioni. Non conosciamo invece sistemi incentivanti attivi a livello nazionale o europeo che incentivino la sostituzione di una moderna caldaia a pellet con una caldaia alimentata a gas naturale o a GPL.

È evidente che anche la combustione del pellet produce effetti negativi, qualsiasi attività e processo produttivo determina emissioni più o meno dannose; tuttavia, per quanto sopra riportato, la promozione del pellet al fine di farlo diventare una commodity energetica, in sostituzione dei combustibili fossili, rappresenta un percorso sostenibile per produrre energia termica rinnovabile, nel rispetto dell’ambiente e delle future generazioni.

L’articolo di Valter Francescato, Direttore Tecnico dell’Associazione Italiana Energie agroforestali (AIEL), pubblicato sul n.2/2015 della rivista bimestrale QualEnergia con il titolo ‘Il pellet è sostenibile’.

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