Cambiamenti climatici, i danni crescono e gli impegni di riduzione non bastano

Il Grantham Research Institute di Lord Nicholas Stern avverte: le riduzioni annunciate dalle grandi potenze non bastano per fermare il riscaldamento globale entro la soglia critica dei 2 °C. Intanto l'Onu fa il punto sui disastri naturali: quasi il 90% è dovuto al clima e con il global warming la situazione peggiorerà. Bisogna investire ora per contenere i danni.

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I disastri naturali ci costano già 250-300 miliardi di $ all’anno e la cifra aumenterà sensibilmente con i cambiamenti climatici in atto, mettendo addirittura a rischio l’esistenza di alcune piccole nazioni. Ma gli impegni proposti da Europa, Cina e Usa verso Parigi 2015 sono ancora inadeguati ad evitare gli effetti peggiori del global warming. Arrivano da altrettanti report queste due notizie che ci ricordano, per l’ennesima volta, come l’umanità stia prendendo sotto gamba il rischio connesso ai cambiamenti climatici.

A fare una stima sugli impatti economici dei disastri naturali è l’ultimo “Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction” delle Nazioni Unite, mentre l’allarme sulle insufficienti riduzioni delle emissioni proposte arriva dal Grantham Grantham Research Institute on Climate Change della London School of Economics.

Secondo l’istituto londinese guidato da Nicholas Stern, economista famoso per i suoi lavori sull’impatto economico del global warming, i tagli dei gas serra proposti a livello internazionale non basteranno a mantenere la febbre del pianeta entro la soglia critica dei 2 °C. Basondoci sulle riduzioni annunciate finora da Europa, Cina e Stati Uniti, emetteremmo comunque 20 miliardi di tonnellate di CO2 di troppo rispetto a quanto possiamo permetterci per stare entro i due gradi di aumento della temperatura media sui livelli pre-industriali, il riscaldamento massimo tollerabile senza effetti devstanti sulle comunità umane, oggi difficilmente prevedibili.

L’Europa con il nuovo pacchetto clima-energia si è impegnata a tagliare i gas ad effetto serra del 40% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, mentre, nella storica dichiarazione congiunta tra Stati Uniti e Cina, per lo stesso anno, i primi hanno annunciato una riduzione del 26-28% sui livelli del 2005 e la Cina che le sue emissioni inizieranno a calare entro quell’anno. Secondo quanto calcola il Grantham Institute (in un report in uscita la cui conclusione è anticipata dal Guardian) le tre potenze, stando agli impegni annunciati al 2030, emetteranno dunque 21-22 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Se a questo si sommano le emissioni del resto del mondo – circa 34 Gton/anno – si arriva a 55-56 miliardi di tonnellate di CO2/anno: appunto circa 20 Gton di troppo rispetto al valore massimo che secondo gli studiosi del Grantham darebbe buone possibilità (almeno del 50%) di restare entro i 2 °C.

Insomma, bisogna fare di più: “Il periodo che seguirà il vertice di Parigi a dicembre 2015 sarà fondamentale non solo per colmare il divario tra gli annunci di riduzione e l’obiettivo per il 2030, ma anche per porre le basi per un’azione ancora più incisiva dopo il 2030”, avvertono i ricercatori.

Fa il paio con questo avvertimento sulla mitigazione, quello sull’adattamento dell’UNISDR, l’agenzia Onu per la riduzione del rischio da disastri naturali. Ogni anno, quantifica l’agenzia, i disastri naturali ci costano tra 250 e 300 miliardi di dollari e l’87% dei eventi estremi degli ultimi 10 anni è stato dovuto a fenomeni climatici (anche se va detto che a livello di morti e danni terremoti e tsunami hanno fatto la parte del leone).

La situazione, si fa notare, peggiorerà ulteriormente con l’accentuarsi del riscaldamento globale. Per alcune nazioni, come le isole caraibiche e alcuni Paesi in via di sviluppo, l’aumento del danno economico da disastri climatici dovuto al global warming, si legge, “non è solo sproporzionatamente alto ma rappresenta un rischio esistenziale”.

Anche qui non manca l’appello ad agire subito: per ogni 6 miliardi di dollari investiti in disaster risk management si taglierebbero i danni economici di 360 miliardi: un rapporto di 1 a 60. E visto che 6 miliardi sono solo lo 0,1% dei 6.000 miliardi all’anno che si prevede saranno spesi in infrastrutture nei prossimi 15 anni, sarebbe proprio il caso di impegnarsi in questi investimenti fondamentali.

Il “Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction 2015

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