La schizofrenia delle utility alle prese con un mondo che cambia

Costruite attorno ad un paradigma, quello della generazione centralizzata, che sta per essere superato, le compagnie elettriche tradizionali si trovano scisse tra due atteggiamenti: continuare a resistere ad un cambiamento che le danneggia o cogliere le opportunità che vengono dalla generazione distribuita? Ne parliamo con Marco Carta di Agici.

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Da una parte c’è la crescita della generazione distribuita che sta mettendo in crisi il modello di business tradizionale: si pensi all’erosione della domanda dovuta anche all’autoconsumo o alla concorrenza delle rinnovabili che ha messo in ginocchio i cicli combinati a gas. Dall’altra si capisce ogni giorno di più che è proprio rinnovabili ed efficienza energetica darebbero le maggiori possibilità di guadagnare per le utility, forse i soggetti più avvantaggiate nell’operare su questi mercati. Le compagnie elettriche in questa fase stanno passando da un atteggiamento di difesa dello status quo ad uno di rassegnazione al cambiamento, e alcune iniziano anche a pensare a come cavalcare l’onda.  Questo sarà uno degli argomenti di cui si discuterà il prossimo 4 marzo a Milano al convegno “L’utility del futuro. Strategie per far fronte ai nuovi bisogni dei territori e battere la crisi”. Ne abbiamo parlato con Marco Carta di AGICI, tra gli organizzatori dell’evento.

Dottor Carta, in questi ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti nel mercato elettrico italiano. Quali conseguenze hanno portato per le utility?

Nel mercato elettrico italiano, ma anche in quello globale, negli ultimi anni è cambiato tutto. È cambiato il modo di produrre energia. È cambiato il modo di trasportarla, con il ruolo sempre più importante delle reti di distribuzione. Ed è cambiato anche il modo di consumarla, grazie all’efficienza energetica e alla generazione distribuita. In tutto ciò i soggetti che non hanno cavalcato questi cambiamenti si sono trovati in forte difficoltà; questo vale soprattutto per i player più impegnati sulla generazione da fossili, soprattutto gas, e meno attrezzati per la vendita.

Da quando hanno iniziato a manifestarsi i cambiamenti di cui parlava – cioè ascesa delle rinnovabili e della generazione distribuita – le compagnie elettriche tradizionali hanno avuto un atteggiamento di difesa delle status quo, testimoniato ad esempio dalle posizioni “anti-rinnovabili” assunte da Assoelettrica. Ora però sembra che l’approccio stia cambiando. Ad esempio l’annuncio fatto da Enel quest’autunno – di essere pronta a chiudere 11 GW di potenza termoelettrica in Italia e a puntare di più su rinnovabili ed efficienza – ha suscitato in alcuni la sensazione che i grandi dell’energia convenzionale si siano rassegnati all’inevitabilità del cambiamento. C’è un reale mutamento nell’atteggiamento delle utility o è solo una percezione?

Innanzitutto in molte aziende, va detto, c’è stato un cambio di management: Enel, A2A, Acea, Iren … Sono in genere dirigenti più giovani, ma, al di là della visione personale, i manager devono rispondere agli azionisti e creare utili. E gli utili si devono ricercare nel nuovo modo di fare energia, anche se non è facile: le rinnovabili, l’efficienza energetica, i servizi innovativi. Non certo con le centrali a gas o a carbone, quanto meno in Italia: anche quando (e se…) arriverà il capacity payment sarà più che altro una forma di integrazione del reddito, ma è chiaro che il focus sta da un’altra parte. 

La crescita del fenomeno prosumer, cioè dei consumatori che si producono da soli parte dell’energia, con relativo calo dei prelievi dalla rete, è stato finora visto con timore dalle utility. D’altra parte, con il calo dei prezzi del fotovoltaico e nei prossimi anni molto probabilmente anche delle batterie, sembra che questa tendenza non possa che accelerare. Le utility si sono rassegnate anche a questo? Stanno studiando nuovi modelli di business per trasformare l’autoconsumo dei clienti in un’opportunità?

Una parte del nostro rapporto che presenteremo il 4 marzo è proprio dedicata ai modelli di business per le utility nella generazione distribuita. Qui vale quanto detto: se l’atteggiamento dell’utility è passivo, la generazione distribuita è effettivamente una minaccia, perché toglie quote di mercato. Se invece c’è un management capace, che sceglie di cavalcare la tendenza, allora la generazione distribuita può diventare un’opportunità. Ad esempio può costituire una parte importante dell’offerta dell’azienda, che non si limiterà a vendere elettricità o gas, ma anche pannelli fotovoltaici, impianti di cogenerazione e quant’altro, magari facendoli pagare a rate, in modo da mantenere legato il cliente, mentre nel contempo lo si fa risparmiare. Altra possibilità di business è quella della virtual power plant, nella quale i piccoli impianti sul territorio possono giocare un ruolo importante se aggregati e gestiti in maniera intelligente. Certo non sono operazioni semplici: servono management in grado di rovesciare il paradigma seguito dalle utility finora, basato sulla produzione centralizzata e la vendita di energia al cliente. Ora ci vuole molta più intelligenza, ma è l’unico modo di sopravvivere.

Molti individuano le utility come i soggetti che sarebbero più avvantaggiati rispetto ad altri nel nascente mercato dei SEU, le configurazioni nelle quali si produce energia direttamente a casa del cliente, tipicamente con un impianto fotovoltaico non incentivato. È d’accordo? E nel mondo delle compagnie elettriche che atteggiamento c’è verso questa possibilità: ci si sta preparando?

La questione è complicata. La consapevolezza c’è: le utility, specialmente le ex municipalizzate sono effettivamente i soggetti più adatti a promuovere questo cambiamento di modello di business, per il legame che hanno con il territorio e con gli utenti. Però obiettivamente di utility che stanno pensando a queste nuove soluzioni ce ne sono poche. In effetti, queste aziende, si sono rinnovate a livello di top-management, ma non ancora a sufficienza nella dirigenza intermedia. Ci sono problemi interni ed è quasi impossibile il dialogo tra vecchi manager legati al mondo tradizionale della produzione centralizzata e nuovi manager, che sanno che questo mondo è ormai finito. Due fazioni che hanno però bisogno una dell’altra: i vecchi sono coscienti del fatto che è dalle nuove attività che possono venire gli utili, i nuovi sanno che è importante avere alle spalle la posizione solida data dagli asset convenzionali. Una soluzione certo interessante e coraggiosa per sciogliere questo nodo probabilmente è quella adottata da EOn (vedi qui, ndr), che si è scissa in due in modo da evitare conflitti interni. Una soluzione che ovviamente è quasi preclusa alle utility più piccole.

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