Storage, nuove gigafabbriche e super-batterie rivoluzioneranno il mercato?

Dopo la gigafactory di Tesla e Panasolic, arriva l'annuncio di un nuovo grande progetto di produzione di batterie. Non senza destare dubbi, la società svizzera Alevo prevede di realizzare una mega-fabbrica di accumuli al litio che abbatterebbero il costo di stoccaggio dell’elettricità, tanto da sostituire le centrali elettriche come regolatori della rete.

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Il boom del fotovoltaico e il crollo verticale dei suoi prezzi cominciò quando nel campo, tenuto fino ad allora per lo più da piccole e medie fabbriche europee, piombò come un rinoceronte la potenza industriale cinese, che in pochi mesi mise in funzione fabbriche in grado di sfornare GW di pannelli fotovoltaici, a prezzi così bassi che ben presto misero fuori mercato quasi tutti i competitori. Se succederà lo stesso per le batterie, pare che stavolta la rivoluzione partirà dagli Stati Uniti.

Molti sanno che Elon Musk, il proprietario di Tesla Motor, uno dei massimi produttori di auto elettriche del mondo, si è accordato con Panasonic per costruire una “gigafabbrica” in Nevada, i cui 6500 operai saranno in grado entro il 2020 di produrre ogni anno 500.000 batterie per auto elettriche, per una capacità totale di 50 GWh. In questo modo praticamente la produzione mondiale di batterie al litio raddoppierebbe e il prezzo delle batterie crollerebbe, permettendo a Tesla di diminuire drasticamente il costo delle proprie auto.

La preparazione del sito è già partita non appena lo Stato del Nevada ha fornito gratuitamente il terreno, la costruzione di una strada a 4 corsie che lo colleghi alla più vicina highway e altri benefici fiscali, come la rinuncia alle tasse locali nei primi anni di attività, per 1,3 miliardi di dollari. Da parte loro Tesla e Panasonic investiranno 5 miliardi nel nuovo impianto che sarà del tutto alimentato da fonti rinnovabili: un impianto eolico da 140 MW, moduli solari installati sui 64 ettari del tetto della fabbrica e un impianto geotermico.

Ma se la Gigafactory di Musk è stata pubblicizzata su tutta la stampa del mondo, molta meno risonanza ha avuto un’altra notizia simile, apparsa in questi giorni: la società svizzera Alevo (da ALEssandro VOlta) ha annunciato anch’essa l’apertura negli Usa di un’altra fabbrica in grado di impiegare, a pieno regime, 6000 operai e produrre 16,2 GWh di batterie al litio ogni anno.

Alevo vorrebbe trasformare in modernissima fabbrica di accumulatori un vecchio impianto per la fabbricazione di sigarette nel Nord Carolina, già acquistato al prezzo di 68,5 milioni di dollari. Il prodotto che dovrebbe uscire da questa nuova fabbrica, forse già dalla fine del 2015, è veramente particolare, persino più interessante delle batterie per auto di Musk. Si tratta di superbatterie da 1 MWh l’una, costituite da un container pieno di accumulatori al litio-fosfati realizzati con una nuova tecnologia tedesca, che grazie a elettrodi al nickel-grafite sovradimensionati e un elettrolita a base di biossido di zolfo, secondo Alevo, permettono la scarica completa della batteria senza danni, evitano surriscaldamento e incendi e portano la vita utile dell’accumulatore ad almeno 40.000 cicli di carica-scarica, contro i 3-4.000 delle attuali batterie al litio.

Alevo afferma di avere già ordini per 200 dei suoi container-batteria, abbastanza per far operare la nuova fabbrica nel suo primo anno di attività, e sostiene che, accoppiati al loro particolare software di gestione, questi accumulatori abbattono così tanto il costo di stoccaggio dell’elettricità, da poter sostituire le centrali elettriche come regolatori della rete, recuperare quel 30% di energia sprecata per eccesso di produzione e rendere programmabili le rinnovabili intermittenti.

Troppo bello per essere vero? Forse sì. Il problema con Alevo è che nessuno nel mondo delle batterie e dell’accumulo l’aveva mai sentita nominare prima del clamoroso annuncio di apertura della loro Gigafarm. In effetti la società esiste solo dal 2009 ed è essenzialmente una startup nata per sfruttare i brevetti tedeschi su elettrodi e elettrolita di un’altra startup, la Fortu, che ha fallito il suo tentativo.

Creata da un originale manager norvegese, Jostein Eikeland, che ha cominciato la sua carriera come promoter musicale, per divenire poi fornitore di software per Internet e, infine, passare a una fabbrica di ricambi per auto, senza mai troppa fortuna. Alevo dichiara ora nel suo sito di avere 9 sussidiarie in giro per il mondo, dalle quali fornirà accumulatori e tecnologie per gestirli, ma ammette anche che la sua prima fabbrica sarà quella ancora da costruire in Nord Carolina, mentre tutta la sua attività sembra consistere per ora in ricerca e sviluppo.

Per costruire la fabbrica in Nord Carolina Alevo avrà bisogno di almeno un miliardo di dollari, ma pare ne abbiano raccolti, per adesso, solo 350 milioni, e secondo molti analisti dovranno darsi molto da fare per trovare il resto. Devono convincere gli investitori delle eccezionali qualità di prodotti che, per ora, non esistono ancora. Questo perché il settore delle batterie è notoriamente molto ostico da sviluppare per la diffidenza dei clienti nell’accettare nuove tecnologie non ancora testate.  Ma anche per la difficoltà di passare da novità, che in laboratorio funzionano benissimo, al prodotto industriale, che può rivelarsi molto complesso da assemblare e far funzionare in modo affidabile su grande scala.

Già diverse startup con programmi simili a quelli di Alevo, sono cadute al momento di entrare nel mercato, mentre una grande società nata proprio per produrre batterie di potenza per auto e rete, l’americana A123, è fallita ed è stata acquistata recentemente dalla giapponese NEC.

Insomma, come capita a molte start up desiderose di farsi notare, pare che anche questa svizzera le stia, almeno per ora, sparando un po’ grosse. Vedremo se diventerà la ‘Tesla delle batterie per la rete’ o solo un vago ricordo sulla tortuosa strada verso il sistema elettrico a fonti rinnovabili.

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