Accordo Cina e Usa, perché può essere decisivo nella sfida ai cambiamenti climatici

L'accordo tra i due maggiori emettitori mondiali potrebbe essere il punto di svolta per riuscire a frenare il riscaldamento globale. Eviterà circa 640 Gt di CO2, ma soprattutto darà un forte impulso alla transizione energetica e ai negoziati mondiali sul clima. Se anche le altre nazioni si adeguassero ridurremmo di oltre 1 °C l'aumento della temperatura media globale.

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L’accordo dell’altro ieri tra Cina e Stati Uniti da solo non basta a tagliare le emissioni quanto servirebbe per evitare gli effetti più disastrosi del global warming, ma potrebbe essere il punto di svolta decisivo per permetterci di farlo.

I nuovi intenti annunciati dai due più grandi emettitori mondiali di gas serra sommati a quelli dell’UE si tradurrebbero infatti in un contenimento della febbre del pianeta di solo circa 0,5 °C rispetto all’aumento previsto. Se però tutte le altre nazioni del mondo si allineassero alla posizione di Cina e Usa, si potrebbe contenere il global warming di circa un grado.

Oltre a questo va detto che lo sforzo dei due giganti per decarbonizzare i propri sistemi energetici, dando un forte impulso allo sviluppo e alla riduzione dei prezzi delle tecnologie low-carbon, rinnovabili in primis, renderà più facile per tutti tagliare le emissioni.

La misura di quanto potrà pesare in termini di emissioni evitate il nuovo accordo la dà un’analisi realizzata dalla società di consulenza Climate Interactive, grazie al suo software per la simulazione degli scenari climatici C-ROADS.

Come si vede dal grafico (sopra) e dalla tabella (in basso), il nuovo patto tra Cina e Stati Uniti ridurrebbe le emissioni di CO2 (calcolate su un orizzonte al 2100) di circa 640 miliardi di tonnellate rispetto al volume che verrebbe rilasciato in atmosfera stando agli obiettivi sul tavolo fino al giorno prima dell’annuncio di Obama e Jingping, cioè quelli definiti a Copenhagen più il target per il 2030 che l’Europa si sta dando.

Tradotto in impatti sul riscaldamento globale, il nuovo impegno dei due più grandi emettitori mondiali permetterebbe di contenere le temperature di circa 0,2 °C che diventano 0,46 °C se sommato agli impegni già presi alla COP 15 e al target dell’Europa, variazioni calcolate rispetto allo scenario di progressione delle emissioni RCP8.5, il più pessimista tra i quattro pathway tracciati dall’IPCC, che prevede un aumento delle temperature a fine secolo con un range di 2,6-4,8 °C e in media 3,7 °C .

Ma il nuovo corso iniziato da Cina e Usa potrebbe avere un effetto valanga nel convincere anche altre nazioni ad agire. E in quel caso l’impatto sarebbe molto più rilevante. Ipotizzando che tutte le nazioni in via di sviluppo si impegnino a riduzioni paragonabili a quelle annunciate da Pechino e che tutti i paesi ricchi che ancora non hanno target vincolanti attuino tagli simili a quelli annunciati dagli Usa,  i miliardi di tonnellate di CO2 evitati salirebbero a  quasi 2500. Vorrebbe dire oltre 1 °C di riscaldamento in meno a fine secolo (sempre rispetto allo scenario RCP8.5); un fatto che, con un po’ di fortuna (i modelli sono incerti), potrebbe permetterci di non varcare la soglia critica dei 2 °C.

Dunque, la possibilità di frenare il global warming in maniera rilevante dopo l’accordo dell’altro ieri è più concreta, come mostrano queste proiezioni. Proiezioni che – per inciso  – scontano qualche approssimazione che porta a sottostimare il calo delle emissioni: ad esempio si assume che non ci siano nuove politiche di mitigazione dopo il 2030, non si contano le riduzioni per gas serra diversi dalla CO2 e per il cambio d’uso del suolo, né interazioni come quella con la riduzione degli aerosol; mentre il taglio aggiuntivo, nello scenario in cui tutti paesi si impegnano, potrebbe essere leggermente sovrastimato dal fatto che non si contano gli impegni già presi da alcuni alla COP15.

A rendere ancora più ottimisti (una volta ogni tanto) è il fatto che la probabilità che la Cina mantenga le promesse fatte è molto alta e che gli enormi investimenti in tecnologie low-carbon che dovrà mettere in campo daranno una forte spinta al mercato mondiale delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, rendendo più facile per tutti decarbonizzare la produzione energetica.

La Cina, con la sua forma di governo (peraltro molto discutibile dal punto di vista democratico e dei diritti civili), dà una notevole garanzia sulla stabilità delle proprie politiche energetiche, visto che pianifica sul medio-lungo termine. Nel prossimo piano quinquennale, quello 2016-2020, molti si aspettano che, accanto a misure per garantire un prezzo alla CO2 e per promuovere rinnovabili e mobilità elettrica, ci sia anche un tetto all’uso del carbone.

D’altra parte la motivazione di Pechino a ridurre la propria dipendenza da questo combustibile è forte e non si basa solo sulle preoccupazioni per il clima: l’inquinamento atmosferico, dovuto principalmente proprio al carbone,  ogni anno causa di danni sanitari pari all’11% del Pil cinese, ricorda l’ultimo report IRENA).

La Cina negli ultimi anni ha già ottenuto risultati importanti nella decarbonizzazione, slegando in maniera significativa la crescita del Pil da quella delle emissioni (vedi grafico a fianco, elaborazione da dati governativi cinesi).

Nel corso di quest’anno si è registrata la prima battuta d’arresto della crescita dei consumi cinesi di carbone, che pesano per circa metà di quelli mondiali; secondo varie analisi la domanda di carbone del colosso asiatico raggiungerà il picco già nel 2016 (la pensano così Carbon Tracker Initiative, Deutsche Bank, Morning Star e Bernstein, mentre la IEA stima che non calino prima del 2030).

Anche l’obiettivo che la Cina si è data sull’energia no-carbon, cioè rinnovabili e nucleare, si innesta su un cammino in atto da tempo: la superpotenza, che ha annunciato di voler arrivare al 20% di no-carbon su tutti i fabbisogni energetici entro il 2030, si era già data l’obiettivo di arrivare al 15% al 2020. In questi anni Pechino peraltro ha continuato con regolarità a rivedere al rialzo i propri target sulle rinnovabili e sta ottenendo risultati inimmaginabili solo alcuni anni fa.

Nel 2007 le fonti pulite rappresentavano il 21% della potenza elettrica cinese, lo scorso anno erano già passate al 30%. Alla fine del 2013 erano in funzione 89 GW eolici e 20 GW solari, con oltre 12 GW di fotovoltaico installato nel solo 2013 e un obiettivo 2014 di 14 GW, il doppio del totale installato in tutto il mondo nel 2009.

L’obiettivo cinese per il 2030 di arrivare al 20% di no-carbon sui consumi totali al 2030 implicherebbe l’installazione nei prossimi 16 anni di 800-1000 GW di nuova potenza elettrica a emissioni zero: un volume che, viste le prestazioni di questi ultimi anni, sembra alla portata della potenza asiatica che nel contempo darà una grossa spinta al mercato mondiale delle tecnologie low-carbon.

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