Sblocca Italia, la rivolta degli enti locali contro l’assist ai petrolieri

CATEGORIE:

Nello Sblocca Italia c'è un grosso assist per le compagnie petrolifere che operano in Basilicata, che richiedono carta bianca per poter raddoppiare le estrazioni. Si toglie potere alle comunità locali per aiutare i petrolieri su diversi fronti, dai procedimenti autorizzativi alla delicata questione della gestione delle acque di strato. E gli enti locali insorgono.

ADV
image_pdfimage_print

Craco è un paese di 766 abitanti, in provincia di Matera. Conosciuto come il borgo fantasma dei Calanchi lucani – in cui nel 1979 Francesco Rosi e Gian Maria Volonté fecero rivivere Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato a Eboli”. Da qualche giorno è anche il primo comune italiano ad aver espresso ufficialmente la sua contrarietà al decreto “Sblocca Italia”. Il primo cittadino Giuseppe Lacicerchia – sulla spinta di alcune associazioni di cittadini – con la delibera n.40 del 7 ottobre 2014 ha impegnato il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella, “ad impugnare la legittimità del Decreto legislativo n.133 del 12 settembre 2014, davanti alla Corte Costituzionale”. E lo stesso potrebbero fare altri sindaci lucani, presenti sabato 11 ottobre ad un incontro organizzato proprio a Craco, nella Sala consiliare di località Peschiera.

Un’iniziativa forte con l’obiettivo di scardinare l’immobilismo del massimo ente regionale e rimarcare la necessità di “tutelare il territorio della Basilicata dall’assalto delle compagnie petrolifere, contare nelle scelte di pianificazione e gestione del territorio e delle risorse naturali e difendere la salute e i diritti ad uno sviluppo eco-sostenibile delle popolazioni lucane”. Perché la Basilicata è finita nell’occhio del ciclone fossile e se c’è un decreto che incentiva lo sfruttamento di gas e greggio in Italia, e lo fa a scapito delle Regioni italiane, questo è lo “Sblocca Italia”.

Infatti, in materia energetica – attribuendo “carattere di interesse strategico […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili” a tutte le opere di rigassificazione e trasporto del gas in Italia e in Europa e a quelle di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas – gli enti regionali non avranno alcun potere decisorio. Ancor meno lo avrà la Basilicata (vedi anche altro articolo su Qualenergia.it), che sembrerebbe essere il territorio più colpito dallo “Sblocca Italia” e dagli articoli 36, 37 e 38 del capo IX riguardante “Misure urgenti in materia di energia”. Ai quali si è arrivati, anche e soprattutto, a seguito di un accesso dibattito interno tra tutte le forze politiche regionali.

Dalla Risoluzione petrolifera al Patto di Stabilità interno

Ad aprile 2014 il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, dopo aver rilanciato il tema del raddoppio delle estrazioni petrolifere lungo tutta la Penisola, organizza dei tavoli di trattativa con il presidente della Regione Basilicata. Sul piatto c’è la richiesta da parte di Eni di ottenere nuove autorizzazioni in Val d’Agri e il possibile aumento delle royalties da conferire nelle casse della Regione e dei Comuni interessati dalle attività di estrazione.

Il governatore lucano arriva a queste trattative con in mano una risoluzione votata a maggioranza dal Consiglio regionale. Un documento che – come è possibile leggere in un comunicato stampa ufficiale – “dà mandato al Presidente della Giunta, perché si faccia portavoce con i vertici istituzionali dello Stato di quanto emerso nel corso del Consiglio regionale della Basilicata dedicato al tema delle riforme costituzionali, in particolare in relazione alla materia ambientale”. In realtà, tra la Guidi e Pittella si è parlato dei proventi del petrolio, quelli che la Regione avrebbe voluto svincolare dal Patto di Stabilità interno per poterne usufruire liberamente, anche per la spesa corrente.

Ma l’accordo non arriva. La Guidi si tira fuori sminuendo il confronto e lanciando nel dibattito il sottosegretario allo Sviluppo economico, Simona Vicari, mentre il governatore lucano l’11 luglio 2014 vara la Legge Regionale n.17 recante “Misure urgenti concernenti il Patto di Stabilità interno”, cercando di escludere le royalties petrolifere dai vincoli stringenti del Patto di Stabilità, senza tutele. Un braccio di ferro che lo Stato risolve il 10 settembre 2014 decidendo di impugnare la legge regionale e che il governo Renzi seppellisce definitivamente riportando la questione “Royalties-Patto di Stabilità” nell’impianto dello “Sblocca Italia”, regolamentandola con l’articolo 36 e a proprio vantaggio.

Infatti nell’articolo in questione è prevista l’esclusione dal Patto di Stabilità delle sole “spese sostenute dalle regioni per la realizzazione degli interventi di sviluppo dell’occupazione e delle attività economiche, di sviluppo industriale e di miglioramento ambientale, nonché per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziata nelle aree in cui si svolgono le ricerche e le coltivazioni di idrocarburi, per gli importi stabiliti con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze da emanare entro il 31 luglio di ciascuno anno”. In poche parole un impegno economico deducibile dalle somme del Patto di Stabilità – vincolati a successivi decreti dei ministeri competenti da emanare entro il 31 luglio di ogni anno – strettamente legato a trasferimenti in royalties riguardanti l’aumento delle produzioni di idrocarburi, solo per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 e da investire anche nel settore petrolifero.

Così come configurato, l’articolo 36 ha fatto esplodere una vera e propria guerra interna al Partito Democratico, innescata dalla corrente legata all’ex governatore Vito De Filippo – oggi sottosegretario alla Sanità – capeggiata dal deputato Vincenzo Folino, uscito volontariamente dal partito. Il tentativo è quello di intavolare nuove trattative petrolifere sulla base dell’articolo 16 del Decreto Liberalizzazioni (n.1/2012), che di fatto mira allo sviluppo degli investimenti infrastrutturali e occupazionali nei territori interessati da attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi in cambio delle autorizzazioni e allo sviluppo di nuovi permessi di ricerca e concessioni.

Ancora una volta emerge l’aumento degli introiti regionali a fronte dell’aumento delle attività petrolifere. Quelle royalties che la Corte dei Conti ha messo al centro di una specifica indagine avviata nel 2009 e conclusa con una relazione nell’aprile di quest’anno, tracciando un quadro significativo e desolante. Dal 2001 al 2012 i fondi derivanti dall’estrazione del petrolio in Basilicata, e assegnati ai Comuni ammontano a circa un miliardo di euro. L’80% circa delle amministrazioni comuni ha utilizzato questi fondi per spese correnti e “non per sviluppo e lavoro”, comprese le erogazioni che la Regione Basilicata ha trasferito al Programma Operativo Val d’Agri. Una storia di spreco ed incapacità amministrativa che fa passare in secondo piano il dibattito sui rischi ambientali legati all’aumento delle estrazioni.

Come superare gli ostacoli delle comunità locali

Lo “Sblocca Italia” non è solo articolo 36, ma è anche e soprattutto l’articolo 38, in merito al quale sono stati presentati 191 emendamenti che ne chiedono l’abolizione o la modifica radicale, al centro della discussione in Aula prevista per lunedì 13 ottobre. L’articolo 38 fa paura, perché riporta in capo ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico il potere decisorio sulle autorizzazioni ambientali per concessioni di coltivazione in mare, e vincola quelle in terra a generiche intese con le Regioni interessate, il cui parere non sarà vincolante. Il tutto avverrà in presenza di un titolo concessorio unico che salterà diversi passaggi autorizzati imposti dalla normativa attuale, riducendo i tempi di esecuzione e limitando le opposizioni.

Un assist per le compagnie petrolifere che operano in Basilicata, che richiedono carta bianca per poter raddoppiare il numero di barili estraibili nelle valli dell’Agri e del Sauro, compresa la difficile gestione delle acque di strato derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti. Infatti, il comma 11 riporta le autorizzazioni per “la reiniezione delle acque di strato o della frazione gassosa estratta in giacimentoin capo al Ministero dello Sviluppo economico, cercando di superare alcuni blocchi autorizzativi.

Dal 2012, il Comune di Grumento Nova – che ospita il pozzo di reiniezione ‘Monte Alpi 9OR’, ubicato in area sismica – nega “il permesso a costruire”, applicando il Principio di Precauzione. “Questi pozzi di reiniezione – come sottolineato dalla Ola (Organizzazione lucana ambientalista) – sono necessari a smaltire il notevole incremento delle acque di strato dal giacimento incrementatosi a partire dal 2006. Ufficialmente le acque di strato smaltite presso il pozzo ‘Costa Molina 2’ sarebbero, secondo il Local Report 2013 redatto dall’Eni, pari a 2.500 metri cubi al giorno, per un totale annuo di 90 milioni di metri cubi. Miliardi i metri cubi di reflui reiniettati in 12 anni di attività del pozzo”. Anche per questo, i prossimi 15 e 16 ottobre si ritroveranno ai piazza Montecitorio a Roma, centinaia di associazioni, comitati e cittadini in una grande manifestazione contro lo “Sblocca Italia”, che toglie legittimità alle comunità.

ADV
×